Oltraggio a Pubblico Ufficiale in Carcere: la Cella è Luogo Aperto al Pubblico
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale per la configurabilità del reato di oltraggio a pubblico ufficiale all’interno degli istituti penitenziari. Con la decisione in esame, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di un detenuto, chiarendo in modo definitivo che la cella e gli ambienti carcerari non possono essere considerati privata dimora, bensì un luogo aperto al pubblico. Questa qualificazione ha implicazioni dirette sulla sussistenza del reato.
Il Caso: dal Ricorso alla Decisione della Cassazione
Un individuo, detenuto presso un istituto penitenziario, proponeva ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello che lo aveva condannato. Le censure mosse dal ricorrente riguardavano diversi aspetti: il giudizio di responsabilità, la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (prevista dall’art. 131-bis c.p.) e il trattamento sanzionatorio. Tuttavia, il punto centrale, e più interessante dal punto di vista giuridico, era la contestazione relativa alla natura del luogo in cui il presunto reato era stato commesso.
La Natura della Cella Penitenziaria e l’Oltraggio a Pubblico Ufficiale
Il ricorrente sosteneva, in sostanza, che la cella dovesse essere considerata alla stregua di una privata dimora, il che avrebbe inciso sulla configurabilità del delitto di oltraggio. Per questo reato, infatti, è necessario che l’offesa all’onore e al prestigio del pubblico ufficiale avvenga in un luogo pubblico o aperto al pubblico.
La Corte di Cassazione, nel respingere questa tesi, ha chiarito che la cella e gli ambienti penitenziari sono, per loro natura, luoghi aperti al pubblico. La ragione di tale qualificazione risiede nel fatto che questi spazi non rientrano nel ‘possesso’ dei detenuti. A questi ultimi, infatti, non è riconosciuto alcun ‘ius excludendi alios’, ovvero il diritto di escludere altre persone.
Le Motivazioni
Le motivazioni della Corte Suprema per dichiarare l’inammissibilità del ricorso sono state nette e fondate su principi giuridici consolidati. In primo luogo, i motivi di ricorso sono stati giudicati meramente riproduttivi di argomentazioni già esaminate e correttamente respinte dalla Corte territoriale. Questo vizio, noto come genericità e aspecificità del ricorso, è una causa tipica di inammissibilità.
Nel merito della questione principale, la Corte ha ribadito che gli ambienti carcerari si trovano nella piena e completa disponibilità dell’amministrazione penitenziaria. Quest’ultima può farne uso in qualsiasi momento per ogni esigenza legata alla gestione dell’istituto. Pertanto, la cella non può essere assimilata a un domicilio privato, ma va considerata come un luogo aperto al pubblico, rendendo pienamente configurabile il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale anche in tale contesto. La Corte ha richiamato una sua precedente pronuncia (Sez. 6, n. 26028 del 15/05/2018) a sostegno di questa interpretazione.
Le Conclusioni
L’ordinanza si conclude con la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Come conseguenza processuale, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese legali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. La decisione sottolinea che non vi erano elementi per ritenere che il ricorso fosse stato proposto senza colpa nella determinazione della causa di inammissibilità. Questa pronuncia consolida l’orientamento giurisprudenziale sulla natura degli spazi detentivi, confermando che la tutela del prestigio della pubblica amministrazione, protetta dalla norma sull’oltraggio, si estende pienamente anche all’interno delle mura carcerarie.
Una cella di un carcere può essere considerata una privata dimora ai fini del reato di oltraggio a pubblico ufficiale?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che la cella e gli ambienti penitenziari sono da considerarsi luogo aperto al pubblico e non privata dimora.
Perché la cella è qualificata come luogo aperto al pubblico?
Perché i detenuti non hanno il ‘possesso’ della cella né un ‘ius excludendi alios’ (diritto di escludere gli altri). Gli ambienti penitenziari sono nella piena e completa disponibilità dell’amministrazione penitenziaria, che può utilizzarli in ogni momento per esigenze d’istituto.
Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, come in questo caso, la Corte non esamina il merito della questione. Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 27942 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 27942 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME COGNOME
Data Udienza: 14/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/10/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza in epigrafe esaminati gli atti e il provvedimento impugnato;
ritenuto che il ricorso è inammissibile perché deduce motivi meramente riproduttivi di prof di censura in ordine al giudizio di responsabilità, all’applicazione della causa di non punibi cui all’art. 131-bis cod. pen. ed al trattamento sanzionatorio, già adeguatamente vagliat disattesi con corretti argomenti giuridici dalla Corte territoriale (si vedano le pagine 3, 4
ritenuto, in particolare, quanto alla censura relativa alla natura del luogo ove si verificati i fatti, che ai fini della configurabilità del delitto di oltraggio a pubblico uff e gli ambienti penitenziari sono da considerarsi luogo aperto al pubblico, e non come luogo d privata dimora, non essendo nel “possesso” dei detenuti, ai quali non compete alcuno “ius excludendi alios”; tali ambienti, infatti, si trovano nella piena e completa disponibi dell’amministrazione penitenziaria, che ne può fare uso in ogni momento per qualsiasi esigenza d’istituto (Sez. 6, n. 26028 del 15/05/2018, Rv. 273417);
ritenuto che all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagament RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila da versare in favore della RAGIONE_SOCIALE, non potendosi ritenere che lo stesso abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. Così deciso il 14 giugno 2024.