Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 10070 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 10070 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 05/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato il 13/05/1985 a Aversa avverso la sentenza del 08/03/2024 della Corte d’appello di Ancona.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento in epigrafe, la Corte di appello di Ancona confermava la sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno con la quale NOME COGNOME era stato dichiarato colpevole e condannato, con la diminuente del rito, alla pena di mesi 4 di reclusione per il reato di cui all’art. 341-bis cod. pen. (pe
avere offeso l’onore e il prestigio del Sovr. Polizia penitenziaria NOME COGNOME proferendo al suo indirizzo l’espressione “infame di merda” e sputandogli alle spalle, all’interno della semisezione del reparto di alta sicurezza della Casa circondariale di Ascoli Piceno e in presenza di più persone).
La Corte territoriale, premesso che la cella e gli ambienti penitenziari costituiscono luogo aperto al pubblico, siccome destinati alla fruizione di un numero indeterminato di soggetti, ribadiva che la condotta dell’imputato era volta a compromettere la regolarità del servizio di vigilanza affidato all’ufficiale polizia penitenziaria e che nella semisezione di alta sicurezza erano ristretti in condizioni di contiguità altri detenuti presenti, i quali avrebbero potuto percepire le offese.
La Corte, dato atto della “proclività a delinquere dell’imputato”, attestata da due condanne definitive per reati omologhi oltre che da altri, plurimi precedenti per gravi delitti contro la persona e il patrimonio, respingeva la richiesta di applicazione di una sanzione sostitutiva “perché la potenzialità criminogena dell’imputato non garantiva il rispetto delle prescrizioni”.
Il difensore dell’imputato ha presentato ricorso per cassazione avverso la citata sentenza e ne ha chiesto l’annullamento, censurandone la violazione di legge e la mancanza di motivazione con riguardo: – al difetto di connessione delle offese, pronunciate all’esito del ricollocamento del detenuto nella sezione di appartenenza, con l’esecuzione in corso di un atto del proprio ufficio da parte dell’ufficiale di polizia penitenziaria; – alla mancanza di prova circa la effetti presenza di più persone che avrebbero potuto percepire le offese; all’immotivata e ingiustificata prognosi negativa posta a base del diniego di applicazione della sanzione sostitutiva in luogo della pena detentiva.
Il ricorso è stato trattato in forma cartolare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso risultano, oltre che meramente ripetitivi delle censure di merito già avanzate e motivatamente disattese nel giudizio di appello, manifestamente infondati per le seguenti ragioni.
Con apparato argomentativo logico e adeguato la Corte territoriale ha infatti correttamente valutato come le frasi ingiuriose del detenuto si fossero concretizzate in un atteggiamento volto a compromettere la regolarità del
servizio di vigilanza in atto dell’ufficiale di polizia penitenziaria, il quale s ricollocando l’imputato nella cella di pertinenza – cosi compiendo nel mentre un atto del proprio ufficio – ed erano altresì perfettamente udibili dagli alt detenuti, pure presenti nella sezione di alta sicurezza dell’istituto.
Trattasi, a ben vedere, per entrambi gli aspetti di una puntuale ricostruzione della situazione fattuale accreditata dai giudici di merito, in quanto tale insindacabile in sede di sindacato di legittimità della sentenza impugnata, nonché coerente, in linea di diritto, con il costante orientamento giurisprudenziale in materia.
Da un lato (Sez. 6, n. 26028 del 15/05/2018, DR, Rv. 273417), ai fini della configurabilità del delitto di oltraggio a pubblico ufficiale, la cella e gli ambie penitenziari sono da considerarsi luogo aperto al pubblico, e non come luogo di privata dimora, trovandosi tali ambienti nella piena e completa disponibilità dell’amministrazione penitenziaria, che ne può fare uso in ogni momento per qualsiasi esigenza d’istituto.
Dall’altro (Sez. 6, n. 19010 del 28/03/2017, COGNOME, Rv. 269828), ai fini della configurabilità del medesimo reato, è sufficiente che le espressioni offensive rivolte al pubblico ufficiale possano essere udite dai presenti, poiché già questa potenzialità costituisce un aggravio psicologico che può compromettere la sua prestazione, disturbandolo mentre compie un atto del suo ufficio, facendogli avvertire condizioni avverse, per lui e per la P.A. di cui fa parte, e ulterio rispetto a quelle ordinarie.
Con riguardo, infine, alla lamentata violazione dell’art. 58 I. 689 del 1981, la motivazione del provvedimento impugnato appare logicamente congrua e coerente sia con gli indicatori normativi che con il criterio di discrezionalit decisoria, utilizzato per la prognosi sfavorevole in relazione alla concedibilità di una delle pene sostitutive, essendo stati legittimamente utilizzati i parametri di orientamento previsti dall’art. 133 cod. pen.
L’art. 20-bis cod. pen., aggiunto dal d.lgs. n. 150 del 2022, elenca espressamente le pene sostitutive, la cui disciplina è declinata dalla I. n. 689 del 1981. A sua volta, l’art. 58, primo comma, della I. n. 689 del 1981, modif. dal d.lgs. n. 150 del 2022, attribuisce al giudice, nei limiti fissati dalla legge e tenu conto dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen., il potere di applicare le pe sostitutive della pena detentiva “quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando, anche attraverso opportune prescrizioni, assicurano la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati”, mentre “la pena detentiva non può essere sostituita quando sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato”.
L’indirizzo giurisprudenziale formatosi con riguardo al quadro legislativo precedente la novella del 2022 (per il quale la sostituzione delle pene detentive brevi è rimessa a una valutazione discrezionale del giudice, condotta con l’osservanza dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., prendendo in considerazione, tra l’altro, le modalità del fatto per il quale è intervenuta condanna e l personalità del condannato: Sez. 3, n. 19326 del 27/01/2015, COGNOME, Rv. 263558), va confermato anche per le pene sostitutive configurate dalla riforma, la cui disciplina continua a subordinare la sostituzione a una valutazione giudiziale e a un giudizio prognostico positivi, ancorati ai parametri di cui all’art 133 cod. pen. (Sez. 6, n. 33027 del 11/5/2023, Agostino, Rv. 285090, in motivazione).
Di talché, i “fondati motivi” che, ai sensi della dell’art. 58, comma 1, seconda parte, legge n. 689 del 1981, sost. dall’art. 71, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 150 del 2022, non consentono la sostituzione della pena, richiedono un’adeguata e congrua motivazione in merito al giudizio di bilanciamento, in chiave prognostica, tra le istanze volte a privilegiare forme sanzionatorie consone alla finalità rieducativa – le pene sostitutive – e l’obiettivo di assicura l’effettività alla pena, in un’ottica di salvaguardia dei beni giuridici penalmente protetti (in tal senso, Sez. 5, n. 17959 del 26/01/2024, Avram, Rv. 286449).
Ciò posto, la Corte di appello, nella sentenza impugnata, trattando contestualmente i motivi di appello relativi alla negata applicazione delle attenuanti generiche e della sanzione sostitutiva, ha valutato discrezionalmente e giustificato adeguatamente la prognosi sfavorevole, facendo esplicito e fondato riferimento agli indici previsti dall’art. 133 cod. pen. e, in particolare, al fat ostativo dei numerosi e gravi precedenti per gravi delitti contro la persona e il patrimonio, fra i quali due condanne definitive per reati omologhi a quello contestato, dimostrativi di una “proclività a delinquere” e di una “potenzialità criminogena” che non garantivano il rispetto delle prescrizioni da parte dell’imputato.
Anche per questo profilo di merito si verte, pertanto, in tema di accertamento di fatto, non illogicamente motivato e perciò non sindacabile in sede di sindacato di legittimità (Sez. 1, n. 35849 del 17/5/2019, COGNOME, Rv. 276716).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 05/02/2025