Oltraggio a Pubblico Ufficiale: Quando l’Offesa è Reato?
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un’importante delucidazione sulla configurabilità del reato di oltraggio a pubblico ufficiale, delineando con chiarezza i confini che lo separano dal più grave reato di resistenza. La decisione sottolinea come l’elemento chiave non sia la contemporaneità dell’offesa con un atto d’ufficio, bensì il legame psicologico tra l’insulto e la funzione pubblica svolta dalla vittima. Analizziamo insieme i dettagli di questa pronuncia e le sue implicazioni pratiche.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un cittadino contro la sentenza della Corte d’Appello che lo aveva condannato per il reato di cui all’art. 341-bis del codice penale. L’imputato, nel suo ricorso, sosteneva l’insussistenza del reato, tentando erroneamente di applicare alla sua fattispecie un elemento tipico di un’altra norma, quella sulla resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.), ovvero la necessità che l’azione illecita avvenga contemporaneamente all’esecuzione di un atto d’ufficio. Il suo motivo di ricorso è stato però ritenuto generico e infondato dalla Suprema Corte.
La Distinzione tra Resistenza e Oltraggio a Pubblico Ufficiale
Il cuore della decisione della Cassazione risiede nella netta distinzione tra due fattispecie penali che, sebbene coinvolgano entrambe un pubblico ufficiale, hanno finalità e strutture diverse.
Resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.): In questo reato, la minaccia o la violenza sono finalizzate a impedire o ostacolare* il compimento di un atto d’ufficio. L’azione dell’agente è proattiva e mira a interferire con l’operato del funzionario. Per questo motivo, è necessaria la contemporaneità tra la condotta di resistenza e l’atto che si vuole contrastare.
Oltraggio a pubblico ufficiale (art. 341-bis c.p.): Qui, lo scopo è differente. L’offesa non è diretta a bloccare un’azione, ma costituisce una manifestazione di disprezzo e disistima*. L’obiettivo è ledere l’onore e il prestigio del pubblico ufficiale in quanto rappresentante della pubblica amministrazione. Ciò che conta è il “nesso di causalità psicologica”, ovvero il fatto che l’offesa sia arrecata a causa delle funzioni esercitate.
La Corte ribadisce che confondere questi due piani è un errore giuridico. Applicare il requisito della contemporaneità al reato di oltraggio significherebbe snaturarne la funzione, che è quella di tutelare il decoro della funzione pubblica stessa.
Le Motivazioni della Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, giudicando il motivo presentato come “generico”. Secondo i giudici, il ricorrente non ha contrastato efficacemente l’esistenza dell’elemento costitutivo del reato di oltraggio, ossia il nesso causale tra l’offesa e le funzioni del pubblico ufficiale. Al contrario, ha tentato di estendere indebitamente un requisito (la contemporaneità) proprio del diverso reato di resistenza.
La Corte ha specificato che l’offesa che integra il reato di cui all’art. 341-bis c.p. è una semplice manifestazione di disprezzo che lede l’onore e il prestigio del funzionario. Non è richiesto che tale offesa sia contestuale a un atto d’ufficio, ma solo che sia motivata dalla funzione pubblica della persona offesa. Di conseguenza, il ricorso è stato rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di 3.000 euro a favore della Cassa delle ammende.
Le Conclusioni
Questa ordinanza consolida un principio giuridico fondamentale: per il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, non è la tempistica a essere decisiva, ma l’intenzione e il contesto. L’offesa è penalmente rilevante quando colpisce l’individuo non come privato cittadino, ma proprio in ragione del ruolo istituzionale che ricopre. La decisione serve da monito, chiarendo che le manifestazioni di disprezzo verso chi esercita una funzione pubblica possono costituire reato anche se non sono finalizzate a impedirne concretamente l’operato, purché sia evidente il legame tra l’insulto e la funzione stessa.
Qual è la differenza principale tra il reato di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.) e quello di oltraggio (art. 341-bis c.p.)?
La differenza risiede nello scopo della condotta. Nella resistenza, la minaccia o violenza mira a impedire o ostacolare un atto d’ufficio e richiede quindi la contemporaneità. Nell’oltraggio, l’offesa è una manifestazione di disprezzo diretta a ledere l’onore e il prestigio del funzionario a causa delle sue funzioni, senza necessità di contemporaneità con un atto specifico.
Per configurare il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, l’offesa deve avvenire mentre il funzionario sta compiendo un atto del suo ufficio?
No, l’ordinanza chiarisce che la contemporaneità tra l’offesa e l’atto d’ufficio non è un elemento costitutivo del reato di oltraggio. È sufficiente che sussista un “nesso di causalità psicologica”, ovvero che l’offesa sia arrecata a causa delle funzioni esercitate dal pubblico ufficiale.
Qual è stata la decisione finale della Corte di Cassazione in questo caso?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché generico e infondato. Di conseguenza, ha confermato la condanna del ricorrente e lo ha condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3941 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 3941 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 20/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a PALMANOVA il 31/10/1966
avverso la sentenza del 07/12/2023 della CORTE APPELLO di TRIESTE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminato il motivo di ricorso.
Il motivo è generico perché non contrasta la sussistenza dell’elemento costitutivo del reato di cui all’art. 341-bis cod. pen., e cioè il nesso di causalità psicologica tra l’offesa arrecata e le funzioni esercitate, ma si limita ad estendere, erroneamente, al reato per il quale è intervenuta condanna un elemento costitutivo del reato di cui all’art. 337 cod. pen., e cioè la contemporaneità tra la resistenza e l’atto.
Il criterio distintivo tra il reato di cui all’art. 337 e quello previsto dall’art. 341 cod. pen., è costituito dallo scopo della minaccia: nel primo caso, essa è diretta ad impedire od ostacolare il compimento di un atto proprio delle funzioni del pubblico ufficiale (da qui la necessaria contemporaneità), nel secondo caso, invece, costituisce una semplice manifestazione di disprezzo e di disistima, diretta a ledere l’onore e il prestigio del pubblico ufficiale medesimo.
Osservato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 20/09/2024