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Oltraggio a pubblico ufficiale: colleghi non contano

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per oltraggio a pubblico ufficiale, stabilendo che il reato non sussiste se le offese sono proferite solo in presenza di un civile e dei colleghi dell’agente, impegnati nella stessa operazione. Per la Corte, il requisito della ‘presenza di più persone’ richiede testimoni estranei al contesto funzionale, a tutela del prestigio della Pubblica Amministrazione nel suo complesso.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Oltraggio a Pubblico Ufficiale: Quando i Colleghi Presenti Non Bastano

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale sui requisiti del reato di oltraggio a pubblico ufficiale, previsto dall’art. 341 bis del codice penale. La Corte ha stabilito che, ai fini della configurabilità del reato, i colleghi dell’agente offeso, presenti sul posto per lo stesso motivo d’ufficio, non possono essere conteggiati nel novero delle ‘più persone’ la cui presenza è richiesta dalla legge. Questa decisione ridefinisce i confini di un reato posto a tutela del prestigio della Pubblica Amministrazione.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da un controllo di polizia effettuato durante il periodo di emergenza sanitaria. Un cittadino, durante le operazioni di verifica, rivolgeva parole offensive all’indirizzo di un Vice Sovrintendente della Polizia. Alla scena assistevano un amico dell’imputato e altri agenti di polizia che stavano partecipando alla medesima attività di controllo. Nei primi due gradi di giudizio, l’uomo veniva condannato per il reato di oltraggio, ritenendo che la presenza dell’amico e degli altri agenti fosse sufficiente a integrare il requisito della pluralità di persone richiesto dalla norma.

La Questione Giuridica: Chi sono le ‘Più Persone’?

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la Corte di Appello avesse errato nell’interpretare l’art. 341 bis c.p. La questione centrale sollevata dalla difesa era se i pubblici ufficiali, presenti sul luogo del fatto non come semplici spettatori ma come partecipanti attivi alla stessa funzione di servizio in cui si inseriva l’offesa, potessero essere considerati parte delle ‘più persone’ richieste dalla legge per la sussistenza del reato. Secondo la tesi difensiva, la loro presenza non poteva ledere il bene giuridico tutelato, ovvero il prestigio della Pubblica Amministrazione presso la collettività.

L’interpretazione del reato di oltraggio a pubblico ufficiale

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, fornendo un’interpretazione precisa della norma. I giudici hanno chiarito che la ratio dell’art. 341 bis non è tanto la tutela dell’onore del singolo funzionario (uti singuli), quanto piuttosto la salvaguardia della reputazione e dell’autorevolezza dell’intera Pubblica Amministrazione. L’offesa assume rilevanza penale quando può compromettere la percezione che i cittadini estranei hanno dell’istituzione.

Per questo motivo, la ‘pluralità di persone’ deve essere composta da soggetti estranei al contesto specifico dell’azione d’ufficio. Questi possono essere:
1. Civili (‘quisque de populo’).
2. Pubblici ufficiali presenti sul posto per ragioni diverse da quelle che hanno dato origine all’intervento.

I colleghi che assistono all’offesa mentre svolgono le loro medesime funzioni insieme all’agente offeso non sono considerati ‘esterni’. La loro presenza non crea quel pericolo di discredito pubblico che la norma intende prevenire. Nel caso di specie, essendo presente solo un civile (l’amico dell’imputato) oltre agli agenti operanti, non è stato raggiunto il numero minimo di due persone richiesto dalla legge.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che la tutela rafforzata concessa ai pubblici ufficiali presuppone che la condotta oltraggiosa possa creare un pericolo concreto per la considerazione sociale e l’autorevolezza della Pubblica Amministrazione. Tale pericolo si manifesta solo quando l’offesa ‘raggiunge’ persone estranee alla funzione pubblica esercitata in quel momento. I colleghi, agendo nel medesimo contesto operativo, non rappresentano quel ‘pubblico’ esterno di fronte al quale l’istituzione deve essere tutelata. Pertanto, includerli nel computo delle persone presenti snaturerebbe la finalità della norma. La Corte ha quindi annullato la sentenza di condanna per questo specifico reato ‘perché il fatto non sussiste’.

Le conclusioni

Con questa sentenza, la Cassazione ha annullato la condanna per il reato di oltraggio, rideterminando la pena complessiva per gli altri reati contestati. La decisione stabilisce un principio di diritto chiaro: per il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, non basta la presenza di più persone, ma è necessario che almeno due di queste siano estranee al contesto operativo in cui l’offesa viene proferita. Questa pronuncia ha importanti implicazioni pratiche, poiché delimita con maggiore precisione l’ambito di applicazione della norma, evitando che ogni diverbio con le forze dell’ordine, anche se avvenuto in presenza di altri agenti, si trasformi automaticamente in un reato.

Per configurare il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, i colleghi dell’agente offeso presenti sul posto contano come ‘più persone’?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che i pubblici ufficiali presenti per lo stesso motivo d’ufficio in cui si svolge l’azione oltraggiosa non possono essere computati nel numero delle ‘più persone’ richiesto dalla legge.

Qual è lo scopo della norma che punisce l’oltraggio a pubblico ufficiale?
Lo scopo non è solo proteggere l’onore del singolo funzionario, ma tutelare e salvaguardare la reputazione e l’autorevolezza dell’intera pubblica amministrazione, che potrebbe essere compromessa agli occhi di persone estranee.

Cosa succede se l’offesa avviene in presenza di un solo cittadino e dei colleghi del pubblico ufficiale?
Come deciso in questo caso, il reato di oltraggio a pubblico ufficiale non sussiste, perché manca il requisito della presenza di ‘più persone’ (almeno due) estranee alla funzione pubblica in corso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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