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Offesa in diretta social: ingiuria, non diffamazione

La Corte di Cassazione ha stabilito che un’offesa in diretta social, avvenuta durante una telefonata trasmessa live, costituisce illecito di ingiuria aggravata e non il reato di diffamazione. Elemento decisivo è la presenza della persona offesa, che ascolta le frasi offensive in tempo reale e ha la possibilità di replicare. La Corte ha quindi annullato la condanna penale, poiché l’ingiuria è stata depenalizzata, precisando che la permanenza del video online non modifica la natura del fatto. Resta ferma la possibilità per la vittima di agire in sede civile per il risarcimento.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Offesa in Diretta Social: Ingiuria e non Diffamazione, la Cassazione Chiarisce

Nell’era digitale, la linea di demarcazione tra lecito e illecito nelle comunicazioni online è sempre più sottile. Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un caso emblematico di offesa in diretta social, stabilendo un principio fondamentale per distinguere l’ingiuria dalla diffamazione. La decisione chiarisce che se la vittima assiste in tempo reale all’offesa e può replicare, si tratta di ingiuria (oggi solo un illecito civile), anche se la conversazione è trasmessa in streaming a un vasto pubblico.

I Fatti del Caso: Una Telefonata Offensiva in Diretta Streaming

La vicenda ha origine da una telefonata tra due persone. Uno degli interlocutori, durante la conversazione, decideva di avviare una diretta sul proprio profilo social, rendendo così pubblico l’intero dialogo. Nel corso della chiamata, proferiva frasi offensive e appellativi denigratori nei confronti dell’altro, insinuando anche il suo coinvolgimento in attività illecite.

La persona offesa, pur essendo parte della conversazione e ascoltando in diretta le offese, si trovava nell’impossibilità di replicare ai commenti che nel frattempo venivano postati dagli utenti che assistevano alla diretta, poiché il suo profilo era stato bloccato dall’autore della trasmissione. Il video, inoltre, rimaneva pubblicato sulla bacheca del social network per molto tempo, raggiungendo un elevato numero di visualizzazioni.

Il Percorso Giudiziario e l’Inquadramento dell’Offesa in Diretta Social

Il caso ha visto due interpretazioni opposte nei primi gradi di giudizio. Il Tribunale di primo grado aveva qualificato il fatto come ingiuria aggravata, un illecito che, a seguito della depenalizzazione del 2016, è stato trasformato in un mero illecito civile. Di conseguenza, non aveva emesso una condanna penale.

La Corte d’Appello, invece, aveva ribaltato la decisione, ritenendo che la condotta integrasse il più grave reato di diffamazione aggravata, ai sensi dell’art. 595, terzo comma, del codice penale. La motivazione si basava sulla vasta diffusione del video e sull’impossibilità per la vittima di interagire con i commenti, elementi che, secondo i giudici di secondo grado, escludevano la contestualità tipica dell’ingiuria. Contro questa decisione, l’imputato ha proposto ricorso in Cassazione.

La Differenza tra Ingiuria e Diffamazione nell’Era Digitale

Il nodo cruciale della questione risiede nella distinzione tra i due illeciti. L’ingiuria (art. 594 c.p., ora abrogato) puniva l’offesa all’onore di una persona presente. La diffamazione (art. 595 c.p.), invece, punisce l’offesa alla reputazione di una persona assente, comunicando con più persone.

La giurisprudenza ha chiarito che il requisito della ‘presenza’ nell’ingiuria non è solo fisico, ma può essere anche virtuale, come in una videochiamata o in una chat. L’elemento che discrimina le due fattispecie è la contestualità: nell’ingiuria, la comunicazione offensiva è diretta alla vittima, che la percepisce immediatamente ed è posta in condizione di replicare. Nella diffamazione, invece, la vittima è assente e viene a conoscenza dell’offesa solo in un secondo momento.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’imputato, annullando la sentenza di condanna. Secondo gli Ermellini, la Corte d’Appello ha errato nel qualificare il fatto come diffamazione. Il criterio distintivo fondamentale è la contestualità tra l’espressione offensiva e la sua percezione da parte della persona offesa.

Nel caso specifico, la vittima era parte attiva della telefonata trasmessa in diretta e ha ascoltato le offese nel momento stesso in cui venivano pronunciate. Questo realizza pienamente l’ipotesi dell’ingiuria aggravata dalla presenza di più persone (gli spettatori della diretta). La possibilità di una replica immediata era insita nella natura stessa del dialogo telefonico in corso.

La Corte ha inoltre precisato due aspetti importanti:
1. Irrilevanza della permanenza online: Il fatto che il video sia rimasto a lungo sulla bacheca, accumulando visualizzazioni, non trasforma l’ingiuria in diffamazione. La diffamazione è un reato istantaneo che si consuma nel momento in cui i terzi percepiscono l’offesa. La sua prolungata visibilità non ne muta la natura giuridica.
2. Irrilevanza dell’impossibilità di rispondere ai commenti: Anche l’impossibilità per la vittima di rispondere ai commenti di terzi non è decisiva. Ciò che conta è la possibilità di interloquire direttamente con l’offensore nel momento dell’offesa, possibilità che qui era garantita dalla telefonata.

Le Conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte ha riqualificato il fatto come ingiuria aggravata. Poiché questo illecito è stato depenalizzato nel 2016 e non costituisce più reato, la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza di condanna. Questo significa che l’imputato è stato prosciolto in sede penale.

La decisione, tuttavia, non lascia la persona offesa senza tutela. La Corte ha revocato anche le statuizioni civili, ma ha chiarito che la vittima ha il pieno diritto di agire ex novo in sede civile per ottenere il risarcimento del danno e l’eventuale irrogazione della sanzione pecuniaria civile prevista per l’ingiuria. Questa sentenza offre un importante precedente per tutte le controversie legate a un’offesa in diretta social, ribadendo che la percezione immediata da parte della vittima è l’elemento chiave per distinguere un illecito civile da un reato.

Quando un’offesa comunicata tramite social network si qualifica come ingiuria anziché diffamazione?
Si qualifica come ingiuria quando la comunicazione offensiva è diretta alla vittima che la recepisce contestualmente, ovvero nello stesso momento in cui viene pronunciata, ed è posta in condizione di interloquire con l’offensore. La presenza di più persone (anche virtuali, come gli spettatori di una diretta) configura l’aggravante.

La permanenza di un video offensivo online per lungo tempo trasforma l’ingiuria in diffamazione?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il reato si consuma nel momento in cui i terzi percepiscono l’espressione offensiva. Il prolungarsi della lesione, dovuto alla permanenza del contenuto online, non incide sulla struttura del reato e non lo trasforma da illecito istantaneo (come l’ingiuria) in reato permanente.

Cosa succede se un fatto viene riqualificato come ingiuria dopo la depenalizzazione del 2016?
La sentenza penale di condanna viene annullata ‘perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato’. Di conseguenza, cessano gli effetti penali della condotta. Tuttavia, la persona offesa conserva il diritto di iniziare una nuova causa in sede civile per chiedere il risarcimento del danno subito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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