Offerta risarcitoria: la Cassazione spiega perché una lettera di scuse non è sufficiente
Nel processo penale, la volontà dell’imputato di rimediare al danno causato è un elemento di grande importanza, che può portare a significative riduzioni di pena. Tuttavia, un recente provvedimento della Corte di Cassazione ci ricorda che non basta un gesto qualunque: l’offerta risarcitoria, per essere giuridicamente valida, deve seguire delle regole precise, specialmente se la persona offesa non la accetta. Analizziamo una decisione che fa luce sui requisiti formali necessari per ottenere l’attenuante del risarcimento del danno.
I fatti di causa e il ricorso
Il caso trae origine da una condanna per tentato furto aggravato, confermata in secondo grado dalla Corte di Appello di Milano. L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando due vizi di motivazione nella sentenza d’appello:
1. Il mancato riconoscimento della causa di estinzione del reato per condotte riparatorie (art. 162-ter c.p.).
2. La mancata concessione dell’attenuante comune per aver risarcito il danno (art. 62, n. 6 c.p.).
Alla base di entrambe le richieste vi era il tentativo dell’imputato di porre rimedio al danno, concretizzatosi nell’invio alla persona offesa di una lettera di scuse e di un vaglia postale, che però non era stato accettato.
L’analisi della Corte sull’offerta risarcitoria
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo i motivi presentati una mera riproposizione di argomenti già correttamente respinti dai giudici di merito. La decisione si sofferma in modo particolare sulla validità dell’offerta risarcitoria e sui suoi effetti.
Per quanto riguarda la causa di estinzione del reato per condotte riparatorie, i giudici hanno ribadito un punto procedurale fondamentale: questa causa estintiva non può essere applicata se il Pubblico Ministero si oppone espressamente, come avvenuto nel caso di specie. La mancata opposizione del PM è una condizione indispensabile per avviare la valutazione di congruità della condotta riparatoria.
L’importanza dell’offerta reale
Il punto centrale della pronuncia riguarda la seconda doglianza, relativa all’attenuante del risarcimento. La Corte ha richiamato la propria giurisprudenza consolidata, secondo cui l’attenuante può essere riconosciuta anche se la persona offesa non accetta il risarcimento, ma a una condizione ben precisa. L’imputato deve procedere con una “offerta reale” ai sensi degli articoli 1209 e seguenti del codice civile.
Questo significa che non è sufficiente un’offerta informale, come una lettera o un vaglia postale. L’imputato deve depositare la somma e metterla formalmente a disposizione della persona offesa. Solo questa procedura consente due cose:
* Alla persona offesa, di valutare con la dovuta ponderazione se l’offerta è adeguata a risarcire il danno.
* Al giudice, di apprezzare la congruità della somma e la reale resipiscenza (pentimento) dell’imputato.
Nel caso esaminato, il difensore si era limitato a un’iniziativa informale, non seguita dalle formalità dell’offerta reale. Inoltre, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, non aveva nemmeno allegato la prova dell’invio della comunicazione alla persona offesa.
Le motivazioni della decisione
La Corte Suprema ha ritenuto le argomentazioni della Corte d’Appello corrette e prive di vizi logici. La decisione si fonda su due pilastri giuridici chiari. Primo, l’applicazione dell’istituto delle condotte riparatorie è preclusa dall’opposizione del Pubblico Ministero. Secondo, per ottenere l’attenuante del risarcimento del danno in caso di rifiuto della persona offesa, l’imputato ha l’onere di attivare la procedura formale dell’offerta reale. Un semplice tentativo di contatto, seppur lodevole, non soddisfa i requisiti di legge, perché non garantisce né la serietà dell’offerta né la possibilità per la vittima di valutarla adeguatamente.
Le conclusioni
Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica. Chi intende beneficiare delle attenuanti legate al risarcimento del danno non può affidarsi a iniziative informali. Per dimostrare in modo inequivocabile la propria volontà riparatoria di fronte a un rifiuto della parte lesa, è indispensabile seguire la strada formale dell’offerta reale prevista dal codice civile. Questa procedura, sebbene più complessa di una semplice lettera, è l’unica in grado di tutelare le ragioni dell’imputato e di permettere al giudice una valutazione completa della sua condotta post-reato. In assenza di ciò, il tentativo di risarcimento rischia di essere giuridicamente irrilevante.
Perché non è stata concessa la causa di estinzione del reato per condotte riparatorie (art. 162-ter c.p.)?
Non è stata concessa perché la sua applicazione è condizionata, a pena di nullità, alla mancata opposizione del pubblico ministero e dell’imputato. In questo caso, il pubblico ministero si era espressamente opposto.
Una lettera di scuse con un vaglia postale è sufficiente per ottenere l’attenuante del risarcimento del danno se la vittima rifiuta?
No. Secondo la Corte di Cassazione, se la persona offesa non accetta il risarcimento, l’imputato deve procedere con le forme dell’offerta reale (art. 1209 e ss. cod. civ.), depositando la somma e mettendola a disposizione della vittima. Solo questa procedura formale dimostra un’effettiva volontà di risarcire.
Cosa significa che il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Significa che la Corte di Cassazione non ha esaminato il merito delle questioni sollevate perché i motivi del ricorso erano una semplice riproposizione di censure già respinte correttamente in appello e mancavano dei requisiti procedurali, come il rispetto del principio di autosufficienza. Di conseguenza, l’imputato è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma alla Cassa delle Ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2877 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2877 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME COGNOME nato il 30/04/1999
avverso la sentenza del 19/06/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano del 4 dicembre 2023, con la quale NOME era stato condannato alla pena di mesi otto di reclusione ed euro duecento di multa in relazione al reato di cui agli artt. 56, 110, 624 e 625, nn. 4 e 5, cod . pe n .
L’imputato, a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo due motivi di impugnazione.
2.1. Vizio di motivazione in relazione alla richiesta di concessione della causa estintiva del reato di cui all’art. 162 ter cod. pen.
2.2. Vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6 cod. pen.
3. Il ricorso è inammissibile.
Entrambi i motivi di ricorso risultano essere meramente riproduttivi di censure disattese con corretti argomenti dal Giudice di merito.
La Corte territoriale, richiamando la giurisprudenza di questa Corte, ha sottolineato che in tema di estinzione del reato per condotte riparatorie, la procedura diretta alla valutazione di congruità della condotta è quella prevista dall’art. 469, cod. proc. pen., che è condizionata, a pena di nullità, alla mancata opposizione del pubblico ministero e dell’imputato (Sez. 2, n. 39252 del 22/06/2021, Rv. 282133). Di conseguenza, come ritenuto dai giudici d’appello, è ostativa la richiesta espressa del Pubblico Ministero relativa alla non applicazione del suddetto istituto.
Quanto al secondo motivo di ricorso, la sentenza impugnata richiama parimenti la giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui l’attenuante di cui all’art. 62, n. 6), cod. pen. può essere riconosciuta, nel caso in cui la persona offesa non abbia accettato il risarcimento, solo qualora l’imputato abbia proceduto nelle forme dell’offerta reale di cui agli artt. 1209 e ss. cod. civ., depositando la somma e lasciandola a disposizione della persona offesa, così da consentire a quest’ultima di valutarne l’idoneità a risarcire il danno e di decidere con la necessaria ponderazione se accettarla o meno, ed al giudice di apprezzarne la congruità e la riconducibilità ad una effettiva resipiscenza del reo (Sez. 1, n. 16493 del 23/02/2024, Rv. 286309; Sez. 2, n. 56380 del 07/11/2017, Rv. 271556 – 01). Tale ipotesi non si è verificata nel caso di specie, essendosi il difensore limitato ad inviare alla persona offesa una lettera di scuse con offerta risarcitoria e un vaglia postale non accettato dalla predetta persona offesa. Né risulta allegata al ricorso, in ossequio al principio di
autosufficienza, la e mail che il ricorrente deduce di aver inviato alla persona o informandola della messa a disposizione della somma offerta a titolo risarcitorio.
Per tali ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, co conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa dell ammende, determinabile in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 12 dicembre 2024.