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Offerta Riparatoria: quando la PEC non estingue il reato

Due imputate, condannate per tentato furto, hanno presentato ricorso in Cassazione chiedendo l’estinzione del reato tramite un’offerta riparatoria di 300 euro, comunicata alla parte lesa via PEC. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo che un’offerta riparatoria, per essere valida, deve seguire le rigide procedure dell’offerta reale previste dal codice civile e non può essere una semplice comunicazione via email, anche se certificata. Inoltre, l’offerta è stata ritenuta tardiva, consolidando un principio di rigore formale e temporale per l’applicazione di questa causa di estinzione del reato.

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Pubblicato il 5 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Offerta Riparatoria: quando la PEC non estingue il reato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema di grande attualità, quello dell’estinzione del reato per condotte riparatorie. In particolare, la Corte ha chiarito i requisiti formali e temporali necessari per una valida offerta riparatoria, specificando che una semplice comunicazione via Posta Elettronica Certificata (PEC) non è sufficiente. Questa decisione fornisce indicazioni cruciali per gli operatori del diritto, delineando un perimetro rigoroso per l’applicazione dell’art. 162-ter del codice penale.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da una condanna per tentato furto aggravato, emessa dal Tribunale e confermata dalla Corte d’Appello. Le due imputate, attraverso il loro difensore, hanno proposto ricorso per cassazione, basando la loro difesa principalmente sulla mancata applicazione della causa di estinzione del reato per condotte riparatorie, introdotta dalla Riforma Cartabia.

Nello specifico, la difesa aveva presentato, dopo la sentenza di primo grado, un’offerta di 300,00 euro alla persona offesa a titolo di risarcimento per un tentato furto di beni del valore di circa 190,00 euro. Tale proposta era stata avanzata tramite un messaggio di posta elettronica certificata (PEC) inviato al legale rappresentante della parte lesa. La Corte d’Appello, tuttavia, non aveva motivato su questo punto, confermando la condanna.

L’Offerta Riparatoria e i Motivi del Ricorso

Il ricorso in Cassazione si fondava su tre motivi principali:
1. Vizio di motivazione: si lamentava l’omessa motivazione della Corte d’Appello sulla richiesta di applicare l’art. 162-ter c.p., sostenendo che tale omissione rendesse nulla la sentenza.
2. Erronea applicazione della legge: si sosteneva che l’art. 162-ter c.p. dovesse essere applicato, essendo stata fatta un’offerta economica superiore al valore del danno arrecato.
3. Illogicità della motivazione: si contestava un passaggio della sentenza d’appello che, a causa di un probabile errore materiale, sembrava affermare illogicamente che la riparazione del danno potesse ritenersi integrale, nonostante i beni fossero stati danneggiati.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato in ogni suo punto e fornendo chiarimenti decisivi sull’applicazione dell’offerta riparatoria.

L’Invalidità Formale dell’Offerta Riparatoria

Il cuore della decisione risiede nella valutazione della forma con cui l’offerta è stata presentata. La Corte ha stabilito che la proposta di risarcimento non era stata avanzata nelle forme proprie dell'”offerta reale”, come richiesto implicitamente dall’art. 162-ter c.p. Un semplice messaggio PEC, sebbene tracciabile, non equivale alla procedura formale disciplinata dagli articoli 1208 e 1209 del codice civile, la quale prevede l’intervento di un pubblico ufficiale per mettere la somma concretamente a disposizione della vittima. Senza un effettivo risarcimento o un’offerta reale, il danno non può considerarsi riparato ai fini dell’estinzione del reato.

La Tardività della Proposta

Oltre al difetto di forma, la Corte ha rilevato anche un vizio di tempestività. L’offerta era stata avanzata e dedotta in giudizio solo con i motivi aggiunti d’appello, depositati nel giugno 2023. Tuttavia, il primo atto utile per presentare tale istanza era l’atto d’appello principale, depositato nel gennaio 2023. L’aver atteso diversi mesi ha reso la richiesta tardiva e, quindi, inammissibile.

L’Errore Materiale e la Manifesta Infondatezza

Infine, riguardo al terzo motivo, la Cassazione ha riconosciuto che la frase contestata nella sentenza d’appello conteneva un evidente errore materiale, ovvero l’omissione dell’avverbio “non”. La Corte territoriale intendeva chiaramente affermare che, essendo la merce stata danneggiata, la riparazione “non” poteva ritenersi integrale. Inoltre, poiché i motivi d’appello erano manifestamente infondati, l’omessa motivazione da parte della Corte d’Appello su quel punto specifico non viziava la sentenza, in quanto una risposta non avrebbe comunque cambiato l’esito del giudizio.

Le Conclusioni

La sentenza in esame consolida un orientamento rigoroso sull’applicazione dell’estinzione del reato per condotte riparatorie. Per essere efficace, l’offerta riparatoria deve essere non solo congrua nell’importo, ma anche formalmente corretta e tempestiva. Non basta una comunicazione informale o una PEC: è necessaria la procedura dell’offerta reale prevista dal codice civile per garantire la serietà e l’effettività della volontà riparatoria. Questa pronuncia serve da monito per la difesa, che deve agire con la massima diligenza sia nella forma che nei tempi per poter beneficiare di questo importante istituto deflattivo del processo penale.

Un’offerta di risarcimento inviata via Posta Elettronica Certificata (PEC) è sufficiente per estinguere il reato ai sensi dell’art. 162-ter cod. pen.?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che una semplice PEC non è sufficiente. La legge richiede un'”offerta reale” secondo le forme previste dal codice civile (artt. 1208 e 1209), che è una procedura formale che mette concretamente la somma a disposizione della vittima, e non un mero messaggio elettronico.

Entro quale termine deve essere presentata l’offerta riparatoria nel processo penale?
L’offerta deve essere presentata tempestivamente. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto tardiva un’offerta avanzata con i motivi aggiunti d’appello, quando avrebbe potuto e dovuto essere presentata con l’atto di appello principale, che costituiva il primo atto utile a tal fine.

Cosa succede se la Corte d’Appello non risponde a un motivo di ricorso?
Se il motivo di appello è “manifestamente infondato”, come in questo caso, la mancanza di una risposta specifica da parte della Corte d’Appello non porta all’annullamento della sentenza. L’imputato, infatti, è privo di interesse a dolersi della lacuna, poiché l’esito del giudizio non sarebbe comunque cambiato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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