Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28089 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 28089 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nata a FIRENZE il DATA_NASCITA
COGNOME NOME nata a ORISTANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/07/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria a firma del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La sentenza impugnata è stata pronunziata il 14 luglio 2023 dalla Corte di appello di Firenze, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Firenze che aveva condannato COGNOME NOME e COGNOME NOME per il reato di furto
tentato, aggravato dall’avere commesso il fatto su cose esposte alla pubblica fede e dall’avere commesso il fatto con violenza sulle cose.
Avverso la sentenza della Corte di appello, entrambe le imputate, con un unico atto, hanno proposto ricorso per cassazione a mezzo del loro difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deducono il vizio di motivazione, in relazione agli artt. 192 e 546 cod. proc. pen. e 162-ter cod. pen.
Rappresentano che: «con le note di trattazione e con i contestuali motivi aggiunti depositati il 13 giugno 2023», la difesa, a seguito della riforma Cartabia, entrata in vigore dopo il deposito della sentenza di primo grado, aveva chiesto l’applicazione dell’art. 162-ter cod. pen.; ai motivi aggiunti, aveva allegato la proposta con la quale le imputate avevano offerto alla persona offesa la somma di 300,00 euro, a riparazione del danno da loro arrecato con il reato, un tentato furto di beni dal valore di 189,74 euro; la proposta era stata avanzata mediante un messaggio di posta elettronica certificata, inviato dal difensore delle imputate al legale rappresentante della persona offesa»; la Corte di appello non ha motivato sul punto.
Tanto premesso, il ricorrente sostiene che l’omessa motivazione in ordine alla richiesta della difesa avrebbe determinato la nullità della sentenza.
2.2. Con secondo motivo, deduce il vizio di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 162-ter cod. pen.
Secondo il ricorrente, l’art. 162-ter cod. pen. dovrebbe essere applicabile anche rispetto a reati – come quello in esame – giudicati in primo grado con sentenza emessa prima dell’entrata in vigore della riforma Cartabia.
La Corte di appello, non applicando l’art. 162-ter cod. pen., a fronte di un’offerta avente a oggetto una somma di denaro superiore al valore degli oggetti del furto tentato, sarebbe incorsa in un’evidente violazione di legge.
2.3. Con un terzo motivo, deduce il vizio di motivazione, in relazione agli artt. 192 e 546 cod. proc. pen.
Rappresenta che, a pagina 2 della sentenza impugnata, si legge: «il quinto motivo è infondato perché parte della merce sottratta era stata danneggiata e, pertanto, può ritenersi la integrale riparazione del danno».
Tanto premesso, il ricorrente sostiene che tale motivazione sarebbe illogica, poiché, scrivendo che «può ritenersi la integrale riparazione del danno», si lascerebbe intendere che tutto il danno sia stato riparato e che quindi il quinto motivo sia fondato.
Il ricorrente sostiene che, in ogni caso, tale motivazione non potrebbe essere riferita al motivo aggiunto relativo all’estinzione del reato per condotte riparatorie atteso che non vi è alcun espresso riferimento all’art. 162-ter cod. pen.
Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
AVV_NOTAIO, per le imputate, ha presentato conclusioni scritte con le quali ha chiesto di annullare la sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato.
1.1. I primi due motivi di ricorso – che devono essere trattati congiuntamente, atteso che sono strettamente connessi tra loro – sono infondati.
In primo luogo, deve essere rilevato che la proposta di risarcimento non era stata presentata nelle forme proprie dell’offerta reale, cui la previsione dell’art. 162-ter cod. pen., subordina la declaratoria di estinzione del reato. La proposta, invero, era stata avanzata, come dedotto anche dallo stesso ricorrente, con un mero messaggio di posta elettronica, inviato dal difensore delle imputate al legale rappresentante della persona offesa, in totale assenza dei requisiti previsti dagli artt. 1208 e 1209 cod. civ. Il danno, dunque, non era stato riparato né mediante un effettivo risarcimento né mediante l’effettiva offerta reale di una somma di denaro, concretamente lasciata nella disponibilità della vittima (cfr. Sez. 4, n. 48058 del 16/112023, Bul, n.m.; Sez. 1, n. 16493 del 23,/02/2024, S., Rv. 286309).
Va, peraltro, rilevato che la presunta offerta riparatoria non risulta tempestivamente presentata e dedotta in giudizio, neppure rispetto al momento in cui la causa di estinzione è risultata applicabile al reato in questione. Le imputate, infatti, avevano presentato la presunta offerta riparatoria solo con il messaggio di posta elettronica inviato il 1° giugno 2023 e la difesa aveva dedotto la circostanza solo con i motivi aggiunti depositati il 13 giugno 2023, quando, invece, il primo atto utile, era costituito dall’atto di appello, presentato il gennaio 2023 (cfr. Sez. 4, n. 640 del 29/11/2023, COGNOME, Rv. 285631).
La questione posta con l’atto di appello, in relazione alla quale il ricorrente si duole che la Corte territoriale non abbia fornito adeguata risposta, risulta manifestamente infondata. Deve, pertanto, ritenersi che la mancanza di una risposta specifica della Corte di merito non conduca all’annullamento della
sentenza, trattandosi di motivo di appello manifestamente infondato, rispetto al quale il ricorrente è privo di interesse a dolersi di una lacuna motivazionale, che, in caso di annullamento, non sortirebbe alcun esito positivo nel giudizio di rinvio (Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, COGNOME, Rv. 277281; Sez. 2, n. 35949 del 20/06/2019, COGNOME, Rv. 276745; Sez. 6, n. 47722 del 06/10/2015, COGNOME, Rv. 265878; Sez. 2, n. 10173 del 16/12/2014, COGNOME, Rv. 263157).
1.2. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Risulta, invero, evidente il mero errore materiale nel quale è incorso l’estensore della sentenza (omettendo l’avverbio “non”), laddove, a fronte del motivo di appello con il quale la difesa aveva chiesto il riconoscimento dell’attenuante di cui all’alt 62, n. 6, cod. pen., stante la restituzione della merce la Corte di appello ha ritenuto infondato il motivo, in quanto la merce sottratta era stata danneggiata e per questo la riparazione del danno “non” poteva ritenersi integrale.
2. Al rigetto del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M,
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, 1’11 aprile 2024
Il Presiden