Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 30335 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 30335 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOMECOGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 02/05/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME (c -h -e a conc L -h—rg-6-Eh-Tèagridzn
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 2 maggio 2023 la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della pronuncia del G.I.P. del locale Tribunale del 7 febbraio 2022, ha assolto NOME dal delitto previsto dall’art. 74 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, contestatogli al capo A), perché il fatto non sussiste, per l’effetto rideterminando la pena inflitta nei suoi confronti nella misura di anni cinque di reclusione ed euro 18.000,00 di multa in ordine ai residui reati ex artt. 110, 81 cod. pen., 73 D.P.R. n. 309 del 1990, ascrittigli ai capi C) e D).
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo due motivi di censura, con il primo dei quali ha lamentato inosservanza ed erronea applicazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione all’art. 73, commi l. e 4, D.P.R. n. 309 del 1990, per mancata configurazione dell’ipotesi delittuosa contestata al capo C) quale tentativo punibile ex art. 56, comma 2, cod. pen., lamentando che i giudici di merito avrebbero erroneamente ritenuto la consumazione del reato pur a fronte della mancata cessione della droga, a seguito dell’intervenuta effettuazione di una rapina.
A dire del ricorrente, infatti, le emergenze processuali non avrebbero consentito di ritenere integrata la sua responsabilità penale in ordine alla suddetta fattispecie criminosa, non risultando, in particolare, comprovato che costui avesse effettivamente partecipato alla condotta di detenzione a fine di cessione di sostanza stupefacente, considerato che la droga sarebbe stata direttamente sottratta al fornitore, senza mai passare per le sue mani, in quanto rapinata da parte di un altro soggetto. Non sarebbe intervenuta, cioè, nessuna trattativa tra le parti, ovvero un’attività di offerta in vendita della droga, at che la traditio dello stupefacente non sarebbe stata oggetto di nessun rapporto sinallagmatico tra venditore e acquirente, bensì solo di un’attività violenta (minaccia con pistola) integrata da parte del rapinatore.
Dalla dinamica fattuale, quindi, potrebbe, al più, ipotizzarsi solo una fattispecie di tentativo di cessione di sostanza stupefacente, della quale, tuttavia, non sarebbe stata neanche accertata la relativa quantità, né il suo effettivo principio attivo.
Con la seconda doglianza il ricorrente ha eccepito inosservanza ed erronea applicazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione agli artt. 132, 133 e 69 cod. pen., lamentando l’eccessiva entità del trattamento sanzionatorio
inflittogli, per essere stata applicata una pena base di ben quattro anni superiore rispetto al minimo edittale.
Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il difensore ha depositato conclusioni scritte, con cui ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
In primo luogo priva di ogni fondamento è l’introduttiva censura, con cui è stata riproposta la stessa doglianza di merito dedotta nel giudizio di appello, rispetto alla quale non può che essere ribadito quanto già, più volte, chiarito da questa Corte di legittimità, per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre: Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838-01).
2.1. In ogni modo, a prescindere dalla decisività della superiore argomentazione, il Collegio rileva come sia del tutto priva di fondamento la doglianza con cui il ricorrente ha negato la possibile configurazione della propria responsabilità penale in ordine al delitto rubricato sub C), di concorso in detenzione a fine di spaccio di sostanza stupefacente del tipo cocaina, nella sostanza prospettando una non consentita lettura alternativa dei fatti accertati in sede di merito.
Questa Suprema Corte non può non osservare, in proposito, come al giudice di legittimità siano precluse la rilettura degli elementi di fatto post fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., fra i molteplici arresti in tal se Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601-01; Sez. 6, n. 47204
del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482-01; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507-01). E’, conseguentemente’ sottratta al sindacato di legittimità la valutazione con cui il giudice di merito esponga, con motivazione logica e congrua, le ragioni del proprio convincimento.
2.2. Ebbene, nel caso di specie deve senz’altro ritenersi che la Corte di appello abbia fornito una chiara rappresentazione degli elementi di fatto considerati nella propria decisione, sulla cui scorta ha ritenuto di confermare il giudizio di colpevolezza espresso nei confronti dell’imputato in ordine al reato contestato al capo C).
In modo logico e congruo, infatti, la sentenza di secondo grado ha esplicato, con motivazione esente da vizio alcuno, come la norma dell’art. 73, comma 1, D.P.R. n. 309 del 1990 punisca, con identica pena, varie differenti condotte illecite, tra cui quella di offerta di sostanza stupefacente, nella specie certamente integrata da parte dell’NOME, essendovi stato il sicuro perfezionamento di un accordo tra le parti c:ui l’imputato, per come evinto dai dialoghi captati, aveva indubbiamente partecipato.
A fronte dell’indicato aspetto, allora, i giudici di merito hanno adeguatamente osservato, in maniera consequenziale e logica, come ciò fosse sufficiente a far ritenere integrata la piena consumazione del reato ascritto al prevenuto, senza possibilità di configurazione della più lieve ipotesi del tentativo, e ciò a prescindere da ogni valutazione inerente all’intervenuta effettuata cessione della droga.
La condotta criminosa di “offerta” di sostanze stupefacenti, infatti, si perfeziona già solo nel momento in cui l’agente manifesta la disponibilità a procurare ad altri droga, indipendentemente dall’accettazione del destinatario, a condizione, tuttavia, che si tratti di un’offerta collegata ad una effetti disponibilità, sia pure non attuale, della droga, per tale intendendosi la possibilità di procurare lo stupefacente ovvero di smistarlo in tempi ragionevoli e con modalità che “garantiscano” il cessionario (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263716-01).
Ciò chiarito, deve, poi, essere osservato come non possa assumere rilievo alcuno la doglianza difensiva per cui, nel caso in esame, non sarebbe stata neanche accertata la quantità e la qualità della droga trattata, avendo i giudici di appello adeguatamente evidenziato, con motivazione esente da vizi, come dalle risultanze acquisite nelle intercettazioni svolte fosse stato chiaramente evinto che la cessione avrebbe riguardato 2 kg. di sostanza stupefacente del tipo cocaina.
In ragione dell’indicata motivazione, allora, non appare esservi dubbio di sorta in ordine al fatto che la Corte di merito abbia fornito adeguata e
convincente motivazione circa le risultanze fattuali considerate ai fini del riconoscimento della penale responsabilità dell’imputato in ordine al delitto rubricato sub C).
Ne consegue che la censura di merito dedotta dal ricorrente si appalesa come sostanzialmente finalizzata ad ottenere solo una rivalutazione del materiale probatorio raccolto nelle fasi di merito, il che, avuto riguardo alla coerenza ed alla logicità della motivazione espressa, fa ritenere la stessa del tutto infondata.
Parimenti inammissibile è la seconda doglianza eccepita da parte del ricorrente, inerente all’eccessiva entità del trattamento sanzionatorio inflittogli.
La decisione impugnata, infatti, risulta sorretta da conferente apparato argomentativo anche con riguardo all’effettuata determinazione del trattamento sanzionatorio, essendosi, in particolare, dato rilievo all’ingente quantitativo di droga offerto e alla negativa personalità dell’imputato, già coinvolto in altr giudizi penali pendenti per fatti analoghi. Per il Collegio tale ultimo aspetto è da ritenersi certamente vagliabile ai fini della determinazioni2 del trattamento sanzionatorio, dovendo, nella specie, trovare applicazione il principio per cui, in funzione della determinazione della pena, il giudice può trarre elementi di valutazione sulla personalità dell’imputato dalla pendenza di altri procedimenti penali a suo carico, anche se successivi al compimento dell’illecito per cui si procede (così, espressamente, Sez. 6, n. 21838 del 23/05/2012, Giovane, Rv. 252881-01).
In ogni modo, una specifica e dettagliata motivazione in merito ai criteri seguiti dal giudice nella determinazione della pena si richiede solo nel caso in cui la sanzione sia quantificata in misura prossima al massimo edittale o comunque superiore alla media, risultando insindacabile, in quanto riservata al giudice di merito, la scelta implicitamente basata sui criteri di cui all’ari:. 133 cod. pen. irrogare – come disposto nel caso di specie – una pena in misura media o prossima al minimo edittale (così, tra le altre; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243-01; Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013, COGNOME, Rv. 25835601; Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, COGNOME, Rv. 256464-01; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, COGNOME, Rv. 256197-01).
Il ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 12 aprile 2024
Il Consigliere estensore
Presidente