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Odio razziale: Cassazione su aggravante nel reato

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per tentato omicidio plurimo, aggravato da odio razziale. L’aggressione, avvenuta con veicoli e spranghe contro un gruppo di cittadini stranieri, è stata ritenuta correttamente qualificata. La Corte ha ribadito che l’uso di espressioni palesemente razziste durante il crimine è sufficiente a integrare l’aggravante, respingendo le doglianze sulla disparità di trattamento con altri coimputati giudicati separatamente.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Odio Razziale: Quando un Insulto Aggrava il Reato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso di tentato omicidio plurimo, mettendo in luce i criteri per l’applicazione dell’aggravante dell’odio razziale. La pronuncia chiarisce come le espressioni discriminatorie proferite durante un’aggressione possano essere sufficienti a configurare tale aggravante, anche in un contesto di scontro tra gruppi. Analizziamo la decisione per comprendere meglio i confini tra un reato comune e un crimine d’odio.

I Fatti di Causa

Il caso origina da una violenta aggressione ai danni di un gruppo di cittadini stranieri. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, più persone, tra cui l’imputato, a bordo di autovetture, avrebbero tentato di investire le vittime in un’area adibita a parcheggio, per poi scendere dai veicoli armati di spranghe di ferro e continuare l’attacco. Durante l’aggressione, sarebbero state pronunciate frasi dal chiaro tenore razzista.

L’imputato, condannato in primo grado e in appello per tentato omicidio plurimo aggravato, ha presentato ricorso in Cassazione, contestando diversi aspetti della sentenza, tra cui la sua stessa identificazione, la qualificazione del reato come tentato omicidio anziché lesioni, e l’applicazione dell’aggravante della discriminazione razziale.

I Motivi del Ricorso

La difesa ha articolato il ricorso su quattro punti principali:

1. Travisamento della prova: Contestata l’identificazione dell’imputato, avvenuta tramite una foto non recente e senza considerare un suo notevole dimagrimento. Si lamentava inoltre la disparità di trattamento rispetto ad altri coimputati, giudicati separatamente e con esiti diversi.
2. Errata qualificazione giuridica: Si sosteneva che i fatti dovessero essere qualificati come lesioni personali gravi e non tentato omicidio, mancando la prova del dolo omicidiario, ossia l’intenzione di uccidere.
3. Disparità di trattamento: Si denunciava una violazione del principio di uguaglianza, poiché altri partecipanti agli stessi fatti, in un altro processo, avevano ricevuto condanne per reati meno gravi.
4. Insussistenza dell’aggravante dell’odio razziale: L’imputato negava di aver pronunciato frasi discriminatorie e sosteneva che l’aggravante non potesse essere applicata in modo indiscriminato a tutti i partecipanti senza prove individualizzanti.

La Decisione della Cassazione: Inammissibilità e Conferma sull’Odio Razziale

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo i motivi presentati generici e ripetitivi di censure già respinte dalla Corte d’Appello con motivazioni adeguate. La Suprema Corte ha colto l’occasione per ribadire principi fondamentali in materia di prova, dolo e, soprattutto, di odio razziale.

le motivazioni

La Corte ha specificato che la valutazione sulla pericolosità di una condotta, come l’investimento con un’auto in un’area chiusa, è sufficiente a configurare il tentato omicidio, in quanto l’azione è di per sé idonea a cagionare la morte. L’intento omicida (dolo) si desume dalla natura stessa dell’azione collettiva, finalizzata a travolgere le vittime.

Sul punto cruciale dell’aggravante per odio razziale, i giudici hanno confermato la decisione dei gradi precedenti. La motivazione si basa sulla testimonianza di una delle vittime, che ha attribuito all’imputato la frase “neri, figli di puttana dovete andare via di qui”, pronunciata mentre brandiva una mazza di ferro. Secondo la giurisprudenza consolidata, citata nella sentenza, l’aggravante è configurabile non solo quando l’azione mira a suscitare sentimenti di odio, ma anche quando si rapporta a un manifesto pregiudizio di inferiorità di una razza. L’uso di espressioni come “negro di merda” o “sporco negro”, per il loro carattere intrinsecamente ingiurioso e fondato sul disprezzo, è stato ritenuto sintomatico di un orientamento discriminatorio che giustifica l’aumento di pena.

Infine, la Corte ha respinto la doglianza sulla disparità di trattamento, chiarendo che esiti processuali diversi in procedimenti separati non determinano un'”inconciliabilità” di giudicati, specialmente quando, come nel caso di specie, i quadri probatori sono differenti. Ogni processo si basa sulle prove in esso formate, e una diversa valutazione dei fatti in un altro giudizio non inficia la validità della sentenza impugnata.

le conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso: le parole contano, specialmente in un contesto criminale. L’uso di epiteti razzisti non è una mera ingiuria, ma può trasformare un reato in un crimine d’odio, con un conseguente inasprimento della pena. La decisione sottolinea che la finalità di discriminazione razziale può essere desunta dalle modalità stesse della condotta e dalle frasi pronunciate, rendendo la condotta stessa un veicolo di disprezzo razziale. Questa pronuncia serve da monito, riaffermando che nel nostro ordinamento non c’è spazio per la violenza motivata da pregiudizi razziali.

Quando un insulto razzista integra l’aggravante di odio razziale in un reato?
Secondo la Corte, l’aggravante è configurabile quando l’azione criminosa si rapporta a un manifesto pregiudizio di inferiorità di una razza. L’utilizzo di espressioni palesemente discriminatorie e fondate sul disprezzo razziale durante la commissione del reato è ritenuto sintomatico di tale finalità e sufficiente a giustificare l’aumento di pena.

Una sentenza diversa per un coimputato in un altro processo può influenzare il mio?
No. La Corte ha chiarito che diversi esiti processuali in procedimenti separati non creano un contrasto tra giudicati, soprattutto se basati su prove diverse. Ogni processo è autonomo e la valutazione dei fatti e delle responsabilità avviene sulla base delle prove raccolte in quel specifico giudizio.

Cosa è sufficiente per provare l’intenzione di uccidere (dolo omicidiario) in un tentato omicidio?
La Corte ha ritenuto che l’intenzione di uccidere può essere desunta dalla natura stessa dell’azione. Nel caso di specie, una condotta collettiva finalizzata a travolgere un gruppo di persone con veicoli in un’area chiusa, seguita da un’aggressione con spranghe, è stata considerata di per sé idonea a causare la morte e, quindi, sufficiente a dimostrare la sussistenza del dolo omicidiario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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