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Odio etnico: quando il sermone diventa reato

La Corte di Cassazione conferma la condanna per odio etnico a un Imam che, durante i sermoni in carcere, incitava all’odio contro ‘ebrei’ e ‘cristiani’. La Corte ha stabilito che il contesto religioso non giustifica la propaganda di idee fondate sull’odio razziale o etnico, poiché ‘gli ebrei’ costituiscono un popolo e un’etnia, e non solo un gruppo religioso.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Odio Etnico: La Cassazione Conferma, il Sermone d’Odio è Reato

La recente sentenza della Corte di Cassazione, Prima Sezione Penale, affronta un tema delicato e di grande attualità: il confine tra libertà di espressione religiosa e il reato di propaganda basata sull’odio etnico. La pronuncia conferma la condanna nei confronti di un uomo che, nel ruolo di Imam all’interno di un istituto penitenziario, aveva diffuso durante i suoi sermoni idee fondate sull’odio verso ebrei e cristiani. Questa decisione chiarisce come il contesto religioso non possa fungere da scudo per condotte che integrano una chiara fattispecie di reato.

I Fatti del Caso: Sermoni d’Odio in Carcere

Il caso ha origine dalle conversazioni registrate all’interno di un carcere di una città del nord Italia, dove un detenuto, che svolgeva il ruolo di Imam per gli altri reclusi, teneva dei sermoni. Durante questi discorsi collettivi, tenuti tra agosto e dicembre 2020, l’uomo aveva pronunciato frasi e diffuso idee di aperta ostilità nei confronti di ‘ebrei’ e ‘cristiani’, indicandoli come nemici.

Le corti di merito, sia in primo grado che in appello, avevano ritenuto che tali condotte integrassero pienamente il reato di propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, previsto dall’articolo 604-bis del codice penale. La pena inflitta è stata di sei mesi di reclusione.

Il Ricorso in Cassazione e la Tesi della Difesa

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che le espressioni utilizzate avessero un’accezione esclusivamente religiosa. Secondo questa tesi, il ‘nemico’ a cui si faceva riferimento era da intendersi come ‘nemico di Dio’ e non come un gruppo etnico specifico. L’argomentazione difensiva mirava a escludere la configurabilità del reato di odio etnico, riconducendo il tutto a una legittima, seppur ‘forte’, manifestazione del pensiero religioso.

La Risposta della Suprema Corte sull’Odio Etnico

La Corte di Cassazione ha respinto categoricamente questa linea difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza. I giudici hanno sottolineato come lo sfondo religioso non possa in alcun modo giustificare manifestazioni di odio rivolte a un intero popolo. Nel caso specifico, l’avversione manifestata verso ‘gli ebrei’ non ha un fondamento meramente religioso, poiché gli ebrei costituiscono un popolo e un’etnia.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si concentrano sulla natura inequivocabile delle espressioni utilizzate dall’imputato. Frasi che auguravano una ‘brutta morte’, rievocavano lo sterminio e invocavano il ‘massacro’ di nemici identificati come ‘ebrei’ non lasciano spazio a interpretazioni alternative. Queste parole, secondo la Cassazione, integrano pienamente la fattispecie incriminatrice.

La Corte ha richiamato un proprio precedente orientamento, secondo cui ‘odiare’ significa ‘manifestare un’avversione tale da desiderare la morte o un grave danno per le persone odiate’. Le parole pronunciate durante i sermoni rientravano perfettamente in questa definizione, concretizzando una chiara dimensione di odio etnico.

La decisione sottolinea un principio fondamentale: la libertà di manifestazione del pensiero, anche religioso, non è assoluta, ma trova un limite invalicabile nella tutela della dignità umana e nel divieto di discriminazione e incitamento all’odio. Identificare un intero popolo o un’intera etnia come ‘nemico’ da annientare esula dalla critica religiosa e sfocia nel campo del diritto penale.

Le Conclusioni

La sentenza in esame riafferma con forza che il reato di propaganda di idee fondate sull’odio razziale o etnico non ammette giustificazioni di natura religiosa. La condotta di chi, abusando del proprio ruolo spirituale, diffonde messaggi di intolleranza e violenza contro specifici gruppi etnici o religiosi, viene correttamente sanzionata penalmente.

La Suprema Corte, dichiarando inammissibile il ricorso, ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro alla cassa delle ammende. Questa pronuncia costituisce un importante monito: la legge penale interviene per proteggere la società da messaggi che, mascherati da credo religioso, promuovono in realtà divisione e violenza, minando le basi della convivenza civile.

Un discorso con connotazione religiosa può integrare il reato di propaganda basata sull’odio etnico?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, il contesto religioso non giustifica in alcun modo le manifestazioni di odio che si rivolgono a un popolo o a un’etnia, integrando così la fattispecie di reato prevista dall’art. 604-bis del codice penale.

Perché rivolgersi agli ‘ebrei’ è stato considerato odio etnico e non una questione religiosa?
La Corte ha specificato che l’avversione verso ‘gli ebrei’ non ha un fondamento esclusivamente religioso, in quanto gli ebrei costituiscono un popolo e un’etnia. Pertanto, incitare all’odio contro di loro configura un’azione basata sull’odio etnico.

Cosa significa ‘odiare’ dal punto di vista giuridico in questo contesto?
Citando un proprio precedente, la Corte ha definito l’odio penalmente rilevante come ‘manifestare un’avversione tale da desiderare la morte o un grave danno per le persone odiate’. Le espressioni usate dall’imputato, come augurare la ‘brutta morte’ o invocare il ‘massacro’, rientrano pienamente in questa definizione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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