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Occupazione immobile: profitto non necessario per reato

La Corte di Cassazione chiarisce che per il reato di invasione di terreni o edifici (art. 633 c.p.), è sufficiente il solo fine di occupare la proprietà, non essendo necessario un ulteriore scopo di profitto personale. La sentenza ha annullato, ai soli effetti civili, l’assoluzione di alcuni individui che avevano proceduto all’occupazione di un immobile comunale per destinarlo a sede di associazioni sindacali. Questa decisione sottolinea che l’occupazione immobile costituisce reato quando l’agente ha la volontà di stabilirsi nel bene altrui, a prescindere dalla natura, anche non patrimoniale o sociale, dello scopo perseguito.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Occupazione Immobile: Reato Anche Senza Scopo di Lucro? La Cassazione Chiarisce

L’occupazione immobile è una questione complessa che si colloca al confine tra diritto di proprietà e manifestazioni di dissenso sociale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione Penale ha fornito un chiarimento fondamentale sull’interpretazione dell’art. 633 del codice penale, stabilendo che il reato di invasione di terreni o edifici si configura anche quando manca un fine di profitto personale, essendo sufficiente la sola volontà di occupare il bene altrui.

I fatti del caso: l’occupazione di un ex casello doganale

Il caso ha origine dall’occupazione di un immobile di proprietà del Comune, un ex casello doganale destinato a diventare sede del Museo della Resistenza. Alcuni individui avevano preso possesso della struttura per stabilirvi la sede fisica di due entità sindacali, svolgendo attività di sostegno alla popolazione. Nei primi due gradi di giudizio, i tribunali avevano assolto gli imputati con la formula “perché il fatto non costituisce reato”. La motivazione si basava sulla constatazione che l’occupazione non era avvenuta per fini abitativi o di profitto personale, ma per scopi sociali e sindacali, escludendo così l’elemento soggettivo del reato.

Il ricorso della parte civile e la questione di diritto

Il Comune, costituitosi parte civile, ha impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione. Il punto centrale del ricorso era l’errata applicazione dell’art. 633 c.p. da parte dei giudici di merito. Secondo il ricorrente, la norma penale non richiede necessariamente un fine di profitto, ma punisce la condotta di chi invade un immobile altrui alternativamente “al fine di occuparlo” o “per trarne altrimenti profitto”. La Corte d’Appello, secondo il ricorso, non aveva adeguatamente considerato questo aspetto, limitandosi a confermare la decisione di primo grado basata sull’assenza di un vantaggio personale per gli occupanti.

L’interpretazione della Cassazione sulla occupazione immobile

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili e rinviando la causa al giudice civile competente. La decisione si fonda su un’analisi rigorosa del testo normativo e della giurisprudenza consolidata.

Il dolo specifico nell’art. 633 c.p.: “fine di occupare” O “fine di profitto”

Il cuore della motivazione risiede nella natura disgiuntiva, e non cumulativa, dei due fini che caratterizzano il dolo specifico del reato. Il legislatore ha usato la congiunzione “o”, il che significa che per integrare il reato è sufficiente la presenza di una delle due finalità. Pertanto, la volontà di occupare stabilmente un immobile altrui, invadendolo arbitrariamente, è di per sé sufficiente a configurare l’elemento soggettivo richiesto dalla norma, senza che sia necessario indagare sull’esistenza di un ulteriore fine di profitto.

La nozione ampia di “profitto”

La Corte ha inoltre ribadito un principio consolidato: la nozione di “profitto” nel contesto di questo reato non deve essere intesa in senso strettamente patrimoniale. Esso può consistere in qualsiasi utilità, vantaggio o uso strumentale del bene, anche di natura non economica, morale o sociale. Di conseguenza, anche l’utilizzo di un immobile come sede per attività sindacali o politiche, sebbene non generi un guadagno economico diretto per gli occupanti, rappresenta comunque un “profitto” giuridicamente rilevante, in quanto si traduce in un vantaggio (il risparmio dei costi di una sede, la disponibilità di uno spazio) ottenuto attraverso la lesione del diritto di proprietà altrui.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione sottolineando come i giudici di merito abbiano commesso un errore di interpretazione giuridica. La sentenza chiarisce che il tenore letterale dell’art. 633 c.p. è inequivocabile nel prevedere due ipotesi alternative per l’integrazione del dolo specifico: il fine di occupazione e quello di trarne altrimenti profitto. La presenza di una sola di queste finalità è condizione sufficiente. I giudici hanno errato nel ritenere necessaria l’assenza di un fine di profitto personale per escludere il reato, ignorando che la stessa finalità di occupazione stabile integra l’elemento soggettivo. Inoltre, la Corte ha corretto l’interpretazione di alcune sentenze precedenti, evocate a sproposito dai giudici di merito. Tali pronunce escludevano il reato solo in casi di ingresso momentaneo e occasionale in un fondo altrui per scopi specifici (es. riparare un acquedotto), senza la volontà di stabilire una vera e propria occupazione, una circostanza del tutto diversa da quella in esame, dove l’intento era quello di insediare permanentemente la sede di organizzazioni.

Le conclusioni

La sentenza rappresenta un importante punto fermo in materia di occupazione immobile. Le conclusioni che se ne possono trarre sono chiare: l’invasione arbitraria di un immobile altrui con l’intenzione di occuparlo stabilmente costituisce reato, a prescindere dalle motivazioni, anche se nobili o di valore sociale, che animano gli agenti. Il diritto di proprietà e la disponibilità del bene sono tutelati dalla norma penale contro qualsiasi forma di spossessamento arbitrario finalizzato a un’utilizzazione stabile. La decisione, pur annullando la sentenza solo ai fini civili, riafferma un principio di legalità fondamentale: l’ordinamento non tollera che il diritto di un soggetto venga compresso da azioni unilaterali, anche se mosse da finalità non strettamente egoistiche. Sarà ora un giudice civile a determinare l’entità del risarcimento dovuto al Comune per il danno subito a causa della prolungata occupazione.

Per commettere il reato di occupazione immobile è necessario agire per un guadagno economico personale?
No. Secondo la Corte di Cassazione, per la configurazione del reato è sufficiente il “fine di occupare” l’immobile, indipendentemente dalla ricerca di un profitto personale. Le due finalità previste dalla norma (occupare o trarne profitto) sono alternative e non cumulative.

Occupare un edificio per scopi sociali o politici, come stabilire la sede di un sindacato, è considerato reato?
Sì. La sentenza chiarisce che anche quando l’occupazione persegue scopi di valore sociale o politico, il reato sussiste se è presente la volontà di occupare stabilmente l’immobile altrui. Inoltre, anche il vantaggio di disporre di una sede senza pagarne i costi può essere considerato un “profitto” ai fini della norma.

Cosa significa che il fine di occupare e quello di trarre profitto sono “disgiuntivi” nel reato di invasione di edifici?
Significa che la legge li considera come due ipotesi separate e alternative. Per integrare l’elemento psicologico del reato, è sufficiente che l’agente abbia agito con una sola di queste due intenzioni: o con lo scopo di occupare l’immobile, oppure con lo scopo di ricavarne un qualsiasi altro profitto. Non è necessario che siano presenti entrambe.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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