Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 24721 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 3 Num. 24721 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/06/2025
TERZA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
-Presidente –
Sent. n.1030 sez.
NOME COGNOME
NOME COGNOME
NOME COGNOME
NOME COGNOME
– Relatore –
UP 12/06/2025
R.G.N. 7286/2024
ha pronunciato la seguente
sul ricorso proposto da COGNOME NOME nato a Venezia il 22/01/1961; nel procedimento a carico del medesimo; avverso la sentenza del 27/09/2024 del tribunale di Pordenone; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Sost. Procuratore Generale dr.ssa NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilitˆ del ricorso; udite le conclusioni del difensore di parte civile avv.to COGNOME Anna che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilitˆ del ricorso o il rigetto; udite le conclusioni del difensore di COGNOME COGNOME avv.ti COGNOME e COGNOME COGNOME che hanno insistito per l’accoglimento del ricorso.
Con sentenza di cui in epigrafe, il tribunale di Pordenone condannava COGNOME NOME in ordine al reato ex art. 110 c.p. 1161 cod. nav. perchŽ in concorso, arbitrariamente e contro legge faceva in modo che la RAGIONE_SOCIALE occupasse o comunque continuasse ad occupare un’area demaniale.
Avverso la predetta sentenza COGNOME Alberto mediante i suoi difensori, ha proposto ricorso per cassazione deducendo sette motivi di impugnazione.
3. Con il primo deduce, in relazione alle argomentazioni sviluppate per il capo b) dal tribunale, come anche avviene per i successivi motivi fino al n. 5, il vizio di violazione di legge in ordine all’art. 21 del regolamento per l’uso del demanio marittimo del Comune di San Michele al Tagliamento. Si contesta la tesi dei giudici per cui la RAGIONE_SOCIALE non avrebbe potuto beneficiare della applicazione dell’art. 1 commi 682 e 683 della L. 145/2018 in quanto prima della entrata in vigore della stessa (in data 1.1.2019) non era titolare di alcuna concessione e soprattutto in quanto non avrebbe attivato alcuna procedura amministrativa con istanza anteriore al 31 dicembre 2009, nel rispetto dell’art. 18 del codice della navigazione, che prevedeva la pubblicazione di quest’ultima istanza. Ci˜ perchŽ invece, in ossequio all’art. 21 del Regolamento prima citato vi sarebbe stato il deposito e quindi la pubblicazione di specifica istanza del 2005 n. 41475, di ampliamento dell’area demaniale da occupare, quale presupposto della concessione successiva del 2011 n. 4 ai fini della dichiarata applicabilitˆ, in apposito atto ricognitivo, n. 18 del 3.4.2019, della proroga della concessione ex L. 145/2018 citata. Si precisa che a seguito di accordo della RAGIONE_SOCIALE con altro concorrente, richiedente la stessa area in ampliamento, i due predetti soggetti concordavano di rettificare in riduzione la istanza di ampliamento della concessione demaniale, cos’ che in funzione di ci˜ la RAGIONE_SOCIALE presentava istanza n. 10112 del 30.3.2009, per cui la diversitˆ tra la precedente istanza del 2005, pubblicata, e quella del 2009, consisteva solo in una riduzione della superficie perchŽ parte della spiaggia di interesse veniva lasciata al concorrente. Perci˜ il ricorrente avrebbe considerato la istanza del 2009, da cui scaturiva la concessione del 2011 n. 4, una integrazione o modifica di quella originaria del 2005, che aveva dato origine al medesimo procedimento. Integrazione che secondo il citato regolamento comunale non avrebbe richiesto una nuova pubblicazione. Collegando cos’ il rilascio della concessione del 2011 a quella domanda primigenia del 2005. Tanto altres’ aderendo all’indirizzo del precedente dirigente che riteneva che in applicazione del giˆ citato regolamento non fosse necessaria la pubblicazione della istanza frutto del descritto accordo. Dunque, in tale quadro normativo si sarebbe ritenuto che la RAGIONE_SOCIALE disponesse della concessione n. 4/2011 rilasciata, come per legge, ai fini della proroga successiva, in base ad un procedimento iniziato prima del 2009 a fronte di istanza pubblicata ex art. 18 del cod. nav. Il contenuto, quindi, dell’atto ricognitivo attestante il diritto di VTI di usufruire di proroga secondo la L. 145/2018 dovrebbe essere ritenuto veritiero, diversamente da quanto reputato in sentenza. E si contesta la tesi del tribunale, frutto di errata applicazione dell’art. 21 del Regolamento di uso demaniale del Comune prima citato, per cui sarebbe falso che la concessione n. 4/2011 traesse origine dalla istanza n. 41475 del 2005 e non da quella del 2009 mai pubblicata. Da qui l’assenza di quell’abuso
posto quale presupposto, a monte del ritenuto reato per cui è intervenuta condanna.
Con il secondo motivo deduce vizi di motivazione, con riguardo ad una telefonata valorizzata in sentenza, in ordine ad un colloquio tra il ricorrente ed altro soggetto e si contesta la valorizzazione, ivi, di un termine, “furbata”, come prova della collusione ascritta all’imputato in ordine al capo per cui è condanna, evidenziandosi la mancata motivazione sulle ragioni della ritenuta inaffidabilitˆ, sul tema, del rappresentante del soggetto giuridico che oper˜ in concorrenza con la RAGIONE_SOCIALE NŽ si sarebbe motivato nel senso che la predetta espressione potesse essere indicativa della gioia per la proroga ottenuta. Vi sarebbe una motivazione contraddittoria anche in ordine alla descrizione del contenuto delle due concorrenti domande del 2009, che il ricorrente descrive come integrative di precedenti. Ed egualmente si sostiene circa la descrizione, in motivazione, della grandezza dell’area oggetto delle predette richieste del 2009. Ribadendo, piuttosto, come le due nuove richieste fossero semplicemente riduttive dell’estensione dell’oggetto di precedente domanda. In tale senso avrebbe deposito anche un teste, presidente della societˆ in concorrenza alla RAGIONE_SOCIALE ed un geometra dell’ufficio del ricorrente. Si aggiunge che la tesi del tribunale, per cui si sarebbe dato documentalmente atto che la richiesta del 2009 annullava quella del 2005 sarebbe illogica e contraddetta dal testo di vari documenti, compreso quello citato dal medesimo tribunale. Si valorizza, in particolare, il termine “”sostituzione” come confermativo della tesi difensiva.
Con il terzo motivo deduce vizi di violazione di legge in ordine al predetto regolamento comunale e alla legge 241/90 sul procedimento amministrativo. Il tribunale, a sostegno della tesi accusatoria avrebbe affermato l’intervenuto annullamento e sostituzione della domanda del 2005, violando la L. 241/90 e il regolamento citato, perchŽ la pubblica amministrazione non avrebbe potuto normativamente annullare e quindi privare di valore la primigenia istanza del privato, essendo riservato solo a costui tale potere. Potendo quindi solo accogliere la prima domanda o negarla.
Con il quarto motivo rappresenta vizi di motivazione, in ordine alle considerazioni del tribunale circa l’atto ricognitivo del ricorrente. Si esclude che esso sia stato strumentale a fini collusivi, e si sostiene che la tesi dei giudici per cui tale atto non aveva margini di discrezionalitˆ sarebbe contraddetta e illogica, atteso che lo stesso tribunale sostiene che non si trattava di un semplice atto ricognitivo ma di atto con profili di discrezionalitˆ che il ricorrente sottolinea.
Con il quinto motivo deduce il vizio di violazione di legge nella parte in cui si è sostenuta la sussistenza, a monte della condotta ascritta all’imputato, dell’abuso di ufficio, pur abrogato, stante l’assenza di violazioni di legge di cui non residuino margini di discrezionalitˆ e dell’elemento psicologico, essendo il ricorrente, al più, caduto in un errore scusabile per l’incertezza del quadro normativo.
Con il sesto motivo deduce il vizio di violazione di legge e di motivazione, osservandosi che il tribunale per il capo c) rinvia alle argomentazioni formulate per il capo b) e quindi si richiamano le precedenti censure proposte in relazione alle argomentazioni inerenti al capo b).
Con il settimo motivo deduce il vizio di violazione di legge perchŽ la intervenuta condanna sarebbe affetta da vizi di ultra petizione, con violazione degli artt. 112 c.p.c., 74, 523 e 538 cod. proc. pen. Si sostiene che la parte civile avrebbe circoscritto le sue richieste risarcitorie solo al reato di cui al capo a/1 di cui al 353 bis c.p., per cui vi è stata assoluzione.
I primi sei motivi riguardano la ricostruzione della condotta del ricorrente in funzione della attribuzione al medesimo dei fatti di reato di cui al capo c). Essi, pertanto, siccome convergenti verso il medesimo scopo, riguardante la responsabilitˆ penale in contestazione, appaiono omogenei e devono essere esaminati congiuntamente.
Le argomentazioni sviluppate dal tribunale, e qui censurate, si articolano nella ricostruzione della insussistenza dei requisiti di legge necessari per consentire alla RAGIONE_SOCIALE di proseguire nella occupazione di suolo demaniale di cui al capo c), nella individuazione di una condotta del ricorrente, in collusione con altro coimputato, volta a rappresentare, in contrasto con i dati fattuali e le previsioni normative applicabili, e dunque falsamente e arbitrariamente, la sussistenza dei presupposti giustificativi di una proroga “”ope legis” di una preesistente concessione demaniale della RAGIONE_SOCIALE citata, nella individuazione della produzione del conseguente beneficio, per la RAGIONE_SOCIALE, consistente nella occupazione, apparentemente lecita, di un tratto di area demaniale.
Il tribunale, in particolare, ha rappresentato il quadro normativo vigente all’epoca dei fatti, e la necessitˆ, affinchè la RAGIONE_SOCIALE potesse continuare a disporre di un’area demaniale in sostanziale continuitˆ con una precedente concessione
demaniale del 2011 – ai sensi della L. 145/2018 (entrata in vigore il 1.1.2019) che sanciva, alle condizioni di seguito indicate, una sostanziale e automatica proroga di 15 anni (a decorrere dal 1.1.2019) per titoli concessori demaniali preesistenti -, che tale titolo potesse ritenersi rilasciato con procedura attivata anteriormente al 31.12.2009 e con istanza pubblicata ai sensi dell’art. 18 del Regolamento del Codice della Navigazione.
Ha quindi illustrato le ragioni della insussistenza di tali requisiti e, piuttosto, la consapevole redazione, da parte del ricorrente, di un atto illegittimamente denominato “ricognitivo” e volto, scientemente, in contrasto con la situazione di fatto e le predette condizioni normative, a far apparire le medesime come esistenti, cos’ da legittimare la continuazione dell’occupazione dell’area demaniale di interesse, da parte di RAGIONE_SOCIALE
In particolare, la motivazione si incentra sul rilievo della titolaritˆ, in capo alla RAGIONE_SOCIALE, originariamente, di una concessione demaniale, poi oggetto di una richiesta del 2005 – pubblicata ex art. 18 del Regolamento del codice della navigazione citato – di ampliamento della precedente concessione, tuttavia successivamente sostituita, a seguito di accordo con altra societˆ concorrente egualmente interessata al medesimo tratto demaniale e dal tenore “spartitorio” dello stesso, con altra domanda del 30.3.2009, inerente uno spazio demaniale ridotto rispetto a quello di cui alla istanza del 2005, ma, diversamente da quest’ultima, non pubblicata. La predetta concessione andava poi in scadenza nel 2016, e ad essa seguiva una concessione provvisoria n. 5/2018 rilasciata ex art. 10 del Regolamento del Codice della Navigazione ”
ossia per un periodo
necessariamente ridotto e decorrente dalla scadenza della concessione del 2011 n. 4 all’eventuale rilascio del nuovo titolo. Nella ricostruzione di cui alla sentenza impugnata, quest’ultima concessione provvisoria, unica, dopo il 2016, ad essere ancora operativa, proprio per la sua peculiare connotazione, quale atto “temporaneo” strumentalmente correlato ad una altra procedura amministrativa in corso e volta al rilascio di una concessione definitiva, non avrebbe potuto essere interessata (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata) dalla sostanziale proroga quindicinale di cui alla citata legge 145/2018 e relativa a concessioni definitive, come del resto confermato al coimputato del ricorrente, COGNOME e da due legali di cui si citano, da parte del tribunale, le relative mail al riguardo. Da qui, allora, la soluzione che il ricorrente avrebbe concordato con il coimputato e confermata, secondo i giudici, da apposita conversazione intercettata, consistita nella redazione, da parte del COGNOME, di un suo atto, definito ricognitivo, con cui attestava che la concessione n. 4/2001 doveva ritenersi correlata alla originaria domanda del 2005 – siccome pubblicata come richiesto normativamente ai fini in parola – cos’ da assolvere ai requisiti di legge, anche a
fronte della precisazione, pure riportata nel predetto atto “ricognitivo”, per cui alla data dello stesso sarebbe venuta a scadenza la concessione provvisoria (n. 5/2018), prima citata, con
Con la sopra riportata ricostruzione, il tribunale ha sostenuto che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe continuato ad occupare l’area demaniale in contestazione al capo c) in apparente legalitˆ, assicurata attraverso il predetto atto “ricognitivo”, sebbene rispetto ai dettami di cui alla legge 145/2018 fosse mancante ogni requisito per configurare la ivi prevista sostanziale proroga: mancava, alla data di entrata in vigore della citata legge di bilancio 145/2018, una concessione cui collegare l’ulteriore durata di 15 anni, atteso che quella n. 4/2011 era giˆ scaduta nel 2016, era sostituita dopo 2 anni, da un titolo precario, quale la concessione provvisoria n. 5/2018 cui, per quanto prima giˆ rilevato, non poteva connettersi l’operativitˆ della “proroga”, siccome presupponente titoli concessori demaniali definitivi, nŽ peraltro poteva ricollegarsi alla istanza (e relativa procedura di rilascio) del 2005 (unica a presentare il requisito pure previsto per legge n. 145, della pubblicazione), di cui la successiva ulteriore domanda del 30.3.2009, cui era seguita la concessione n. 4/2011, non era in continuitˆ – come sostenuto in sostanza nell’atto ricognitivo -, costituendo, piuttosto, una nuova e distinta istanza, presentata in sostituzione ovvero in luogo di quella del 2005.
Rispetto a tale motivazione, appare del tutto infondata la censura relativa alla spiegazione del tribunale sulla assenza di correlazione tra le due domande del 2005 e del 2009, che invece la difesa sostiene esistente; collegamento che invero il ricorrente riafferma in ricorso e che sembra doversi ricondurre alla previsione dell’art. 1 comma 683 della legge citata (poi abrogato dalla L. 5 agosto 2022, N. 118) per cui “
Questa Corte osserva, al riguardo, che non solo il tribunale ha evidenziato , senza specifica confutazione su tale specifico aspetto, come in assenza di una concessione operativa alla data di entrata in vigore della l. 145/2018 (posto che la concessione n. 4/2011 era scaduta nel 2016 cfr. pag. 6) la RAGIONE_SOCIALE non poteva usufruire della predetta normativa in ordine alla prima ipotesi normativa sopra riportata, ma anche che, comunque, la istanza avanzata dalla RAGIONE_SOCIALE in data 11.5.2009 e che port˜ alla concessione n. 4/2011, aveva espressamente annullato e sostituito la domanda del 2005, come tale da reputarsi distinta e distante da quest’ultima del 2009, e connotata peraltro da un oggetto diverso, per ubicazione e grandezza, posto che con la domanda del 2005 si era chiesto un ampliamento dell’area demaniale, passando dagli originari 4800 metri giˆ ottenuti con altra precedente concessione, ad una fascia di spieggia prospiciente il RAGIONE_SOCIALE, più due aree laterali, per un fronte mare lungo 290 metri, mentre con quella del 2009, a seguito del citato accordo di tipo “spartitorio” con altro concorrente interessato, si era chiesta l’occupazione di un fronte spiaggia di soli 150 metri.
A fronte di tale nuova domanda, lo stesso ricorrente aveva chiesto, secondo il tribunale, con apposita domanda del 11.5.2009 a sua firma, nuovi pareri agli enti competenti, esplicitando in essa come la domanda del 2009 annullasse e sostituisse la precedente.
La conferma della sostituzione operata con la nuova domanda del 2009 viene sottolineata dal tribunale attraverso anche la citazione della stessa concessione n. 4/2011, nelle cui premesse si dava atto (cfr. pag. 7) che la domanda del 12.10.2005 era stata ” ” da quella del 30.3.2009.
Nella motivazione qui contestata, la tesi di un’operazione provvedimentale del ricorrente artatamente diretta a far apparire e, quindi, consentire, contro ogni dato obiettivo, la sussistenza dei requisiti necessari per l’operativitˆ della “proroga” di cui alla legge 145/2018 e pertanto la persistenza della occupazione di spazi demaniali marittimi, trova conferma nella citata conversazione intercorsa tra il coimputato COGNOME NOME e un architetto, COGNOME, in cui si evidenziava, da parte del primo, la “furbata” dell’avere evitato il rilascio di una nuova concessione (che sarebbe risultata, anche alla luce della disciplina sopra citata, estranea ad ogni valido quadro normativo concessorio), e si spiega, da parte del secondo, che tutto era stato concordato, e che la scelta di andare “indietro al 2005” era giustificata dalla circostanza per cui la domanda del 2005 era stata “pubblicata”, a differenza di quella del 2009, che “non l’avevano pubblicata”. Alla considerazione in sentenza, di tale eloquente conversazione, si
aggiunge la citazione, altres’, di diverse altre conversazioni in ambito comunale, oltre che riguardanti ancora una volta il Granzotto, ritenute dimostrative di una preoccupazione, nel predetto ambito, di “
a fronte della intervenuta scadenza, nelle more, in data 4.4.2019, della concessione provvisoria n. 5 del 2018, giˆ rilasciata alla predetta societˆ dopo la scadenza, al dicembre 2016, della concessione 4/2011. La ritrosia dei vertici politici comunali ad una esplicita presa di posizione favorevole per la RAGIONE_SOCIALE con apposita delibera comunale, portava allora, secondo i giudici, al giˆ citato atto ricognitivo, recante un contenuto ben lontano dalla sua ineludibile essenza ontologica, quale mero atto di riscontro e non, come di fatto avvenuto, di valutazione discrezionale (ed arbitraria e falsa), per le ragioni giˆ in precedenza riportate. Atto come tale reputato idoneo a permettere alla RAGIONE_SOCIALE di continuare ad occupare, arbitrariamente, l’area demaniale in questione.
Si tratta di un’argomentazione articolata, ragionevole, organica, coerente, completa nella sua strutturazione, che si compone di una adeguata analisi degli atti, dal contenuto eloquente quanto alla sostituzione dell’una domanda con l’altra e alla loro ampia e reciproca distinzione, nonchŽ coerentemente corroborato e spiegato attraverso le citate conversazioni.
La censura difensiva sul punto appare allora del tutto carente.
Da una parte, rispetto al rilievo dei giudici per cui con la stessa istanza del 2009 si era affermato di volere annullare e sostituire la domanda del 2005, nulla si deduce nŽ si allega, pur trattandosi, all’evidenza, di un atto per cos’ dire di interpretazione autentica di quanto effettuato dalla interessata RAGIONE_SOCIALE
Dall’altra, rispetto, alla pure citata, dai giudici, richiesta di nuovi pareri, inviata dal ricorrente all’indomani della nuova istanza del 2009, si valorizza una prima pagina della stessa laddove si riporta la documentazione allegata, tra cui la ” ” che, attraverso tale dizione, non pare corrispondere ai significati prospettati dalla difesa: atteso che da una parte tale espressione pare riaffermare la avvenuta presentazione di una domanda “nuova” e quindi distinta da quella del 2005, dall’altra, il termine “e integrazione” non risulta inequivocabilmente dimostrativo della tesi difensiva circa la presentazione di una domanda puramente modificativa di un’altra istanza precedente e persistente. Sia perchŽ preceduto dalla citazione di una intervenuta domanda “nuova”, sia perchŽ seguito, come evidenziato dal tribunale, dalla riaffermazione per cui la richiesta di concessione in oggetto “. Espressione, quest’ultima, che
appare inequivoca, come tale ragionevolmente valorizzata nei termini di cui alla sentenza, nonchè coerente in ultima analisi anche con quella precedente relativa ad una “nuova” istanza.
In proposito dunque, la valorizzazione dei due documenti da parte dei giudici, nel senso della avvenuta presentazione di una nuova e distinta domanda nel 2009, appare ragionevole, e non superata dalla tesi difensiva, la quale, da una parte, non riesce a dimostrare alcuna erronea cognizione e valutazione di tali atti, nel quadro dell’eventuale vizio di travisamento della prova che, in ultima analisi, sembra volersi prospettare. Dall’altra, in ragione di ci˜, si pone solo su un piano di rivalutazione soggettiva di elementi di prova, compresi quelli dichiarativi, come tale non ammissibile in questa sede.
Analoghe osservazioni devono formularsi rispetto alla considerazioni difensive in punto di contenuto della concessione n. 4/2011.
Va a tale ultimo riguardo ricordato, innanzitutto, che il vizio del travisamento della prova si realizza allorchŽ si introduce nella motivazione un’informazione rilevante, che non esiste nel processo oppure quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronunzia. AffinchŽ tale vizio sia apprezzabile in sede di legittimitˆ, non è sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano in contrasto con la valutazione complessiva del giudicante in ordine ai fatti e alla responsabilitˆ dell’interessato ne’ che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Inoltre, in tema di ricorso per cassazione, ai fini della configurabilitˆ del vizio di travisamento della prova dichiarativa è necessario che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare -diversamente dal caso in esame – la palese e non controvertibile difformitˆ tra il senso intrinseco della dichiarazione e quello tratto dal giudice, con conseguente esclusione della rilevanza di presunti errori da questi commessi nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017 (dep. 20/02/2018) Rv. 272406 Ð 01). Si è pertanto in tal senso precisato che il giudice di legittimitˆ pu˜ rilevare il dedotto travisamento solo qualora la difformitˆ emergente sia evidente, manifesta, apprezzabile ed assuma anche carattere decisivo in una valutazione globale di tutti gli elementi probatori esaminati dal giudice di merito (il cui giudizio valutativo non è sindacabile in sede di legittimitˆ se non manifestamente illogico e, quindi, anche contraddittorio (cfr. in motivazione, Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015 Rv. 262575 Ð 01).
Dall’altro lato, va altres’ ricordato che in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimitˆ la rilettura degli elementi di fatto, quali sono in questo caso gli atti citati dal tribunale e controversi dalla difesa, posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacitˆ esplicativa rispetto a
quelli adottati dal giudice del merito (cfr. Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 Rv. 265482 Ð 01 Musso).
Appare inadeguata anche la critica che mira ad escludere la sussistenza di una nuova e distinta domanda del 2009 sul rilievo per cui in altri documenti ( autorizzazione alla anticipata occupazione, del 20.5.2009, e concessione n. 4/2011) si farebbe solo riferimento alla “sostituzione” della precedente istanza. Sia perchŽ il solo uso di tale ultima parola non appare in contrasto anche con la formula, che appare invero equivalente, “annullamento e sostituzione”, sia per le ragioni suesposte circa i limiti e presupposti rigorosi necessari per dedurre un eventuale vizio di travisamento della prova piuttosto che una rivalutazione dei dati disponibili.
Posto poi che questa Corte è legittimata ad analizzare interamente gli atti allegati dalle parti, non pare estranea alla tesi del tribunale, circa l’intervenuta sopravvenienza di una domanda nuova e distinta, la precisazione, presente nella autorizzazione alla anticipata occupazione, per cui le due societˆ concorrenti avevano sostituito le precedenti domande in adeguamento al nuovo Piano Particolareggiato dell’Arenile: cos’ introducendosi una ragione anche giuridica, che attribuisce una diversitˆ profonda e pregnante tra le domande succedutesi anche sul piano del necessario rispetto di disposizioni di livello normativo.
Coerente appare anche la valorizzazione della diversitˆ di quanto richiesto, non essendo certamente marginale la domanda, da una parte, di spazi demaniali differenti in maniera consistente ( fronte di 150 metri piuttosto che 290) e anche logisticamente diversi, atteso che nella prima si prospettava anche la occupazione di due aree laterali accanto al fronte mare.
In proposto, appare chiaro che viene in rilievo in tal modo anche l’oggetto del provvedimento concessorio richiesto.
Invero, come noto, l’Õoggetto dellÕatto amministrativo è, in sintesi, la situazione giuridica del soggetto nei cui confronti lÕatto esplica i suoi effetti, o la cosa sulla quale esso produce una trasformazione giuridica.
Il contenuto, poi, è ci˜ che lÕatto di volta in volta dispone (ordina, autorizza, acconsente, accertaÉ).
Consegue che la presentazione di una successiva domanda concessoria, diversa anche in ordine al bene rispetto al quale si chiede l’esplicazione del potere concessorio, non pu˜ che prospettare l’adozione di un provvedimento diverso rispetto a quello in precedenza richiesto e, quindi, l’apertura di una corrispondente procedura nuova e distinta.
Non osta alla criticata ricostruzione dei giudici, neppure il rilievo per cui sarebbe erroneo il riferimento ad un annullamento della domanda del privato da parte della P.A.
Nel caso di specie, non è la Pubblica amministrazione ad avere annullato o sostituito alcunchè e, in particolare, alcun atto amministrativo (unico possibile oggetto di un tale potere pubblico) bens’ è l’istante, che nell’esercizio delle sue facoltˆ, peraltro non escluse neppure dal ricorrente, ha comunicato alla pubblica amministrazione – che non poteva che prenderne atto, anche nel quadro di una necessaria economicitˆ dei procedimenti amministrativi -il proprio “annullamento” (in senso estremamente lato e pratico) della sua precedente domanda, con sostituzione della stessa con altra nuova.
Del resto, posto che non esiste un atto tipico amministrativo di “sostituzione”, mentre per quanto sinora osservato è ben possibile la scelta del privato di “annullare” e quindi “sostituire” una sua precedente domanda con altra, quest’ultimo termine non pu˜ che intendersi nel senso suo proprio, di proporre una istanza nuova e non di integrarla (come vorrebbe sostenere il ricorrente); espressione, quest’ultima, che presuppone, diversamente dalla sostituzione, la conservazione di una domanda precedente solo per piccola e marginale parte modificata.
Quanto alle critica per cui l’affermazione del tribunale, secondo cui l’atto “ricognitivo” non aveva margini di discrezionalitˆ, sarebbe contraddetta e illogica, atteso che lo stesso tribunale sostiene che non si trattava di un semplice atto ricognitivo ma di atto con profili di discrezionalitˆ, essa è manifestamente infondata, atteso che travisa il senso dell’argomentazione, con cui, in modo chiaro, si evidenzia la discrasia tra la etichettatura dell’atto come “ricognitivo” come tale limitato a registrare dati obiettivi -ed il suo contenuto, inammissibilmente valutativo oltre che in contrasto con i dati oggettivi e normativi, come sinora evidenziato.
Con riguardo poi al quinto motivo, esso è manifestamente infondato, perchŽ va evidenziato come dalla complessiva motivazione non emerga l’accertamento del reato ex art. 323 c.p. ormai abrogato, bens’ la ricostruzione di una condotta di consapevole favoritismo per la RAGIONE_SOCIALE, realizzata attraverso il più volte citato atto “ricognitivo”, reputato poi funzionale a consentire l’arbitraria occupazione demaniale di cui al capo c). In altri termini, gli elementi che in un altro regime penale avrebbero potuto eventualmente integrare il predetto reato, in questa sede assumono una portata eminentemente descrittiva di una condotta preordinata a consentire l’arbitraria occupazione del demanio marittimo. Come contestato.
Riguardo al settimo ed ultimo motivo, esso è inammissibile. Da una parte, non si allega nŽ la costituzione di parte civile nŽ le relative conclusioni. Le quali ultime, ad ogni modo, quale atto processuale, vengono qui reperite da questa corte. Dall’altra, a fronte della ammessa avvenuta
costituzione di parte civile anche in ordine al capo c) e di una pur essa ammessa – dal ricorrente – intervenuta richiesta di risarcimento, ancorchè correlata alle spese per nuove procedure di assegnazione demaniale e danno di immagine conseguente, ma, lo si ripete, ricondotta dalla parte richiedente – come risulta pure in atti – anche al reato per cui è intervenuta condanna, emerge una correlata condanna al risarcimento dei danni espressamente ricondotta dal tribunale al capo c). Dunque, non è dato rinvenire una restrizione, in sentenza, del danno richiesto, rispetto ai soli capi diversi da quello per cui è condanna: con conseguente esclusione di ogni vizio di ultrapetizione come invece dedotto dal ricorrente. Inoltre, la tesi per cui non vi sarebbero danni ricollegabili al capo c) è solo affermata ma non specificamente confutata e dimostrata.
Del resto, alla luce della ricostruzione dei giudici come sopra rappresentata, secondo la quale il ricorrente ha artatamente elaborato un atto falsamente ricognitivo ed illegittimo, in funzione dell’arbitraria occupazione demaniale altrui, non pare sostenibile la tesi per cui, a fronte di un’area cos’ illecitamente occupata, non sia necessario avviare nuove procedure di assegnazione. NŽ che non sussista anche un correlato danno di immagine.
5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza Òversare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilitˆÓ, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Inoltre, si condanna lÕimputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 3686,00 oltre accessori di legge.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, lÕimputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 3686,00 oltre accessori di legge.
12 giugno 2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME