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Occupazione Demaniale: illegittima con atto finto

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per l’illegittima occupazione demaniale marittima. La Corte ha confermato che la società concessionaria non aveva i requisiti per la proroga legale della concessione, in quanto basata su un’istanza non pubblicata che sostituiva una precedente. L’atto ‘ricognitivo’ redatto dall’imputato è stato ritenuto un falso funzionale a consentire l’occupazione abusiva.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Occupazione Demaniale: Illegittima se Basata su un Atto Amministrativo Fittizio

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un complesso caso di occupazione demaniale marittima, confermando la condanna penale nei confronti di un soggetto per aver contribuito a mantenere un’occupazione abusiva di un’area di proprietà dello Stato. La decisione si concentra sull’illegittimità di un atto amministrativo, formalmente ‘ricognitivo’, ma in realtà utilizzato per creare artificiosamente i presupposti per una proroga di una concessione demaniale che altrimenti non sarebbe spettata. Analizziamo i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso

La vicenda giudiziaria trae origine dalla condanna di un imputato per il reato previsto dall’articolo 1161 del Codice della Navigazione, ovvero l’arbitraria occupazione di spazio demaniale. Una società, titolare di una concessione su un’area marittima, aspirava a beneficiare di una proroga di 15 anni introdotta dalla legge di bilancio 2019 (L. 145/2018).

Per ottenere tale proroga, era necessario che la concessione fosse in essere e che il procedimento amministrativo originario fosse stato avviato prima del 31 dicembre 2009, con un’istanza regolarmente pubblicata. La società aveva presentato una prima istanza di ampliamento nel 2005, che era stata pubblicata. Tuttavia, nel 2009, a seguito di un accordo con un concorrente, la stessa società presentava una nuova istanza, che non solo modificava l’oggetto della richiesta riducendo l’area, ma sostituiva espressamente quella precedente. Questa seconda istanza del 2009 non veniva mai pubblicata.

Il problema sorge quando, per accedere alla proroga, l’imputato redige un atto ‘ricognitivo’ in cui si attesta falsamente che la concessione, poi rilasciata nel 2011, derivava dalla prima istanza del 2005 (pubblicata) e non dalla seconda del 2009 (non pubblicata). Questo stratagemma era finalizzato a far apparire esistenti i requisiti di legge, legittimando così la continuazione dell’occupazione del suolo demaniale.

La Questione Giuridica dell’Occupazione Demaniale

Il ricorrente ha presentato diversi motivi di impugnazione dinanzi alla Corte di Cassazione, sostenendo principalmente che l’istanza del 2009 fosse una semplice modifica di quella del 2005 e non una richiesta nuova. Secondo la difesa, non era quindi necessaria una nuova pubblicazione e, di conseguenza, la concessione era legittimamente prorogabile. Inoltre, si contestava la natura dolosa della condotta e la qualificazione dell’atto ricognitivo come strumento di un disegno collusivo.

L’Analisi della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendolo inammissibile. I giudici hanno smontato la tesi difensiva punto per punto, confermando la ricostruzione del tribunale di merito. La Corte ha stabilito che l’istanza del 2009 non poteva essere considerata una mera integrazione della precedente, ma costituiva una domanda nuova e distinta. Ciò era evidente da diversi fattori:

1. Sostituzione espressa: La stessa società, nella documentazione, aveva dichiarato di voler ‘annullare e sostituire’ la domanda del 2005.
2. Oggetto diverso: La richiesta del 2009 riguardava un’area demaniale significativamente diversa e ridotta rispetto a quella del 2005.
3. Nuovo iter amministrativo: A seguito della nuova istanza, l’imputato stesso aveva richiesto nuovi pareri agli enti competenti, un’azione tipica dell’avvio di un nuovo procedimento.

Di conseguenza, la concessione rilasciata nel 2011 si basava su un’istanza (quella del 2009) mai pubblicata, rendendo la società priva del requisito fondamentale per accedere alla proroga prevista dalla legge. L’occupazione demaniale successiva alla scadenza originaria della concessione era, pertanto, abusiva.

La Natura Fittizia dell’Atto Ricognitivo

La Corte ha inoltre confermato che l’atto ‘ricognitivo’ non era un mero atto di accertamento, ma un atto con profili di discrezionalità, utilizzato in modo arbitrario e falso. Invece di limitarsi a registrare dati oggettivi, l’atto conteneva una valutazione strumentale a collegare artificiosamente la concessione del 2011 all’istanza del 2005. Questa condotta è stata considerata la prova del consapevole favoritismo verso la società, finalizzato a consentire l’arbitraria occupazione demaniale.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte si fondano su una rigorosa analisi documentale e sulla logicità della ricostruzione operata dai giudici di merito. La Cassazione sottolinea come la tesi difensiva si ponga su un piano di ‘rivalutazione soggettiva’ degli elementi di prova, inammissibile in sede di legittimità. I documenti processuali, incluse le stesse istanze presentate dalla società e le richieste di parere, dimostravano in modo inequivocabile la presentazione di una domanda nuova e distinta nel 2009. La Corte ha evidenziato la discrasia tra l’etichetta formale dell’atto (‘ricognitivo’) e il suo contenuto sostanziale, che era palesemente valutativo e in contrasto con i dati oggettivi e normativi. Anche il riferimento a conversazioni intercettate, in cui si parlava di una ‘furbata’, è stato ritenuto un elemento coerente a sostegno della tesi accusatoria di un’operazione artatamente diretta a far apparire sussistenti requisiti di legge inesistenti.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

La sentenza ribadisce un principio fondamentale in materia di concessioni pubbliche: la trasparenza e il rispetto sostanziale, e non solo formale, delle procedure amministrative sono requisiti imprescindibili. Non è possibile utilizzare atti amministrativi, come un atto ricognitivo, per sanare a posteriori la mancanza di presupposti di legge essenziali. La decisione serve da monito per i funzionari pubblici, chiarendo che attestare il falso per favorire un privato nell’ottenere un beneficio non dovuto, come la proroga di una concessione per l’occupazione demaniale, integra una condotta penalmente rilevante. Per le imprese, la sentenza sottolinea l’importanza di seguire scrupolosamente gli iter procedurali, poiché eventuali scorciatoie o alterazioni della realtà documentale possono portare a conseguenze penali e alla perdita del titolo concessorio.

Una domanda che modifica una precedente richiesta di concessione demaniale deve essere nuovamente pubblicata?
Sì. Se la nuova domanda sostituisce integralmente la precedente e ne modifica elementi essenziali (come l’area richiesta), si considera una domanda nuova e distinta. Per essere valida ai fini di determinate proroghe legali, deve seguire l’iter previsto dalla legge, inclusa la pubblicazione.

Cos’è un atto ‘ricognitivo’ e può essere usato per sanare la mancanza di requisiti di legge?
Un atto ricognitivo dovrebbe limitarsi a certificare una situazione di fatto o di diritto già esistente. Secondo la sentenza, non può essere utilizzato per creare surrettiziamente i presupposti di legge mancanti, attribuendo arbitrariamente a una concessione un’origine diversa da quella reale per renderla idonea a una proroga non spettante. Un simile atto è considerato falso e illegittimo.

La condanna per occupazione demaniale illegittima può comportare anche il risarcimento del danno?
Sì. La sentenza conferma che la condotta illecita, che ha permesso l’occupazione arbitraria di un’area demaniale impedendone l’uso pubblico, può generare un danno risarcibile. Questo può includere sia le spese per avviare nuove procedure di assegnazione sia il danno all’immagine dell’ente pubblico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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