Occupazione Abusiva e Stato di Necessità: la Sentenza della Cassazione
L’occupazione abusiva per stato di necessità è un tema delicato che contrappone il diritto di proprietà alla tutela di diritti fondamentali della persona, come quello all’abitazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sui limiti di applicazione della scriminante dello stato di necessità in questi contesti, confermando un orientamento rigoroso.
I Fatti del Caso: Occupazione di un Immobile e il Ricorso in Cassazione
Due persone venivano condannate per il reato di invasione di terreni o edifici (art. 633 c.p.), in concorso tra loro (art. 110 c.p.), per aver occupato abusivamente un immobile. Contro la sentenza della Corte d’Appello, entrambi proponevano ricorso in Cassazione.
Un ricorrente lamentava la genericità della motivazione della sentenza di condanna. L’altra ricorrente, invece, fondava il suo ricorso su due motivi principali: primo, il mancato riconoscimento della scriminante dello stato di necessità (art. 54 c.p.), sostenendo di aver agito per far fronte a un’esigenza abitativa; secondo, il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.).
La Decisione della Corte: Ricorsi Inammissibili
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili entrambi i ricorsi. La decisione si basa su una rigorosa analisi dei requisiti richiesti dalla legge sia per l’ammissibilità del ricorso stesso, sia per l’applicazione delle cause di giustificazione invocate. La Corte ha ribadito che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti, ma di valutare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata.
Le Motivazioni: Analisi dell’occupazione abusiva per stato di necessità
La Corte ha smontato punto per punto le argomentazioni dei ricorrenti con motivazioni precise e fondate su principi giuridici consolidati.
Il Rigetto dello Stato di Necessità
Il motivo centrale della decisione riguarda l’inapplicabilità dello stato di necessità. La Cassazione ha chiarito che, per poter invocare tale scriminante, non è sufficiente una generica condizione di bisogno abitativo. È necessario dimostrare l’esistenza di un pericolo attuale e non altrimenti evitabile di un danno grave alla persona. Nel caso specifico, i giudici hanno evidenziato che:
1. L’occupazione non era temporanea, ma mirava a un uso abitativo stabile.
2. Non era stata fornita alcuna documentazione idonea a dimostrare un effettivo e imminente stato di pericolo che rendesse l’occupazione l’unica soluzione possibile.
La Corte ha ribadito che il diritto all’abitazione, pur essendo fondamentale, non può giustificare di per sé la lesione del diritto di proprietà attraverso un’azione illecita, se non ricorrono tutti i presupposti stringenti dell’art. 54 c.p.
L’Inapplicabilità della Particolare Tenuità del Fatto
Anche il secondo motivo di ricorso è stato respinto. La Corte ha sostenuto che la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) non poteva essere applicata per una ragione dirimente: la condotta illecita era ancora in corso. L’occupazione abusiva non era cessata, e questo impedisce di considerare il fatto come ‘tenue’. Inoltre, la Corte ha ricordato che la valutazione richiesta dall’art. 131-bis si basa su indicatori legati alla condotta, al danno e alla colpevolezza al momento del fatto, non sulla condotta post delictum.
La Genericità del Ricorso
Infine, il ricorso dell’altro imputato è stato dichiarato inammissibile per genericità, in quanto si limitava a contestare la motivazione senza indicare elementi specifici che ne dimostrassero l’illogicità o la contraddittorietà, trasformandosi in una richiesta di nuova valutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità.
Le Conclusioni: Quando l’Esigenza Abitativa non Giustifica l’Illecito
L’ordinanza in esame conferma un principio fondamentale: l’emergenza abitativa, pur essendo un problema sociale rilevante, non costituisce un’automatica ‘licenza’ per commettere il reato di occupazione abusiva. La scriminante dello stato di necessità opera solo in situazioni eccezionali e rigorosamente provate, caratterizzate da un pericolo imminente e grave per la persona, non altrimenti fronteggiabile. La decisione ribadisce inoltre che un reato permanente, come l’occupazione che perdura nel tempo, non può beneficiare della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto fino a quando la condotta illecita non sia cessata.
Quando l’occupazione abusiva di un immobile può essere giustificata dallo stato di necessità?
Secondo la Corte, l’occupazione abusiva è giustificata dallo stato di necessità solo in presenza di un pericolo attuale e non altrimenti evitabile di un danno grave alla persona. Una generica difficoltà abitativa, specialmente se l’occupazione è stabile e non temporanea, non è sufficiente a integrare i requisiti di questa scriminante.
È possibile ottenere la non punibilità per ‘particolare tenuità del fatto’ se l’occupazione abusiva è ancora in corso?
No. La Corte ha stabilito che la causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis del codice penale non è applicabile se la condotta illecita, come l’occupazione di un immobile, non è cessata al momento della decisione.
Per quale motivo un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso può essere dichiarato inammissibile se è generico, ovvero se non indica in modo specifico i vizi logici o giuridici della sentenza impugnata, ma si limita a reiterare argomenti già respinti o a chiedere una nuova valutazione dei fatti, compito che non spetta alla Corte di Cassazione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9028 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9028 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/02/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a CASSANO ALLO IONIO il 03/12/1997 COGNOME NOME nato a REGGIO CALABRIA il 20/03/1994
avverso la sentenza del 10/10/2024 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letti i ricorsi di NOME e COGNOME NOME COGNOME
ritenuto che l’unico motivo di ricorso di COGNOME NOME COGNOME che contesta la correttezza della motivazione posta a base della dichiarazione di responsabilità per il reato di cui agli artt. 110 e 633 cod. pen. , è generico per indeterminatezza perché privo dei requisiti prescritti dall’art. 581, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. in quanto, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata logicamente corretta, non indica gli elementi che sono alla base della censura formulata, non consentendo al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato;
ritenuto che il primo motivo di ricorso di NOMECOGNOME che contesta la correttezza della motivazione posta a base della dichiarazione di responsabilità per il reato di cui agli artt. 110 e 633 cod. pen., non è consentito dalla legge in sede di legittimità perché tende ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento nella parte in cui ha correttamente ritenuto l’imputata pienamente consapevole del disvalore della condotta perpetrata non potendo, inoltre, essere applicata la scriminante di cui all’art. 54 cod. pen. considerato l’uso abitativo e non temporaneo dell’immobile, senza essere stata allegata, peraltro, una documentazione idonea a verificare lo stato di pericolo attuale e non altrimenti evitabile necessario per accertare lo stato di necessità (si vedano, in particolare, pag. 6-10 della sentenza impugnata);
considerato, inoltre, che l’illecita occupazione di un bene immobile é scriminata dallo stato di necessità conseguente al danno grave alla persona, che ben può consistere, oltre che in lesioni della vita o dell’integrità fisica, nella compromissione di un diritto fondamentale della persona come il diritto di abitazione, sempre che ricorrano, per tutto il tempo dell’illecita occupazione, gli altri elementi costitutivi, e cioè l’assoluta necessità della condotta e l’inevitabilit del pericolo (Sez. 2, n. del 11/02/2011, Rv. 249915 – 01), elementi, questi ultimi, del tutto assenti come sopra riportato per quanto concerne il caso di specie;
che esula, infine, dai poteri della Corte di cassazione quello di una ‘rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito (per tutte: Sez. U, n. 6402, del 30/4/1997, COGNOME, Rv. 207944);
ritenuto che il secondo motivo di ricorso di NOMECOGNOME che contesta la correttezza della motivazione posta a base del mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen., è indeducibile perché fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito nella parte in cui ha correttamente sostenuto che non fosse possibile applicare la predetta causa di non punibilità considerato che non è ad oggi cessata la condotta di occupazione abusiva dell’immobile da parte degli imputati (si veda in particolare pag. 11 della sentenza impugnata), dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
considerato, inoltre, che ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen. non rileva la mera condotta “post delictum”, sicché l’eliminazione delle conseguenze pericolose del reato non integra di per sé una lieve entità dell’offesa, atteso che l’esiguità del disvalore deriva da una valutazione congiunta degli indicatori afferenti alla condotta, al danno e alla colpevolezza (Sez. 3, n. GLYPH del 28/06/2017 Ud. (dep. 12/01/2018 ) Rv. 272249 – 01)
rilevato, pertanto, che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di euro tremila alla cassa delle ammende.
Roma, 18/02/2025
Il GLYPH