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Occupazione abusiva: restare in casa popolare è reato

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per occupazione abusiva nei confronti di una donna rimasta in un alloggio popolare dopo il decesso del legittimo assegnatario, nonostante avesse il consenso dell’erede. La sentenza stabilisce che l’occupazione senza un titolo legale costituisce reato, poiché le regole di assegnazione degli alloggi pubblici non possono essere derogate da accordi privati. Il reato è procedibile d’ufficio e la lunga durata dell’occupazione impedisce l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Occupazione Abusiva di Casa Popolare: Restare è Reato Anche con il Consenso dell’Erede

L’occupazione abusiva di un immobile, specialmente se di edilizia residenziale pubblica, è un tema di grande attualità. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: permanere in un alloggio popolare dopo la morte del legittimo assegnatario costituisce reato, anche se si ha il consenso degli eredi. Questa decisione chiarisce la natura del reato e l’irrilevanza di accordi privati di fronte alle norme pubblicistiche che regolano l’assegnazione di tali beni.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda una donna condannata in primo e secondo grado per il reato di invasione di terreni o edifici (art. 633 c.p.). La donna aveva continuato ad abitare in un appartamento di proprietà dell’Istituto Autonomo Case Popolari dopo il decesso del soggetto a cui era stato originariamente assegnato. A sua discolpa, sosteneva di non aver commesso alcuna “invasione”, in quanto già conviveva nell’immobile e vi era rimasta con il consenso esplicito della figlia del defunto assegnatario.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione basandosi su tre argomenti principali:
1. Assenza dell’elemento oggettivo del reato: Non vi sarebbe stata un'”invasione” poiché la donna si trovava già legittimamente nell’immobile e vi era rimasta, senza un’introduzione arbitraria dall’esterno.
2. Difetto della condizione di procedibilità: La persona offesa non sarebbe l’ente pubblico proprietario, ma l’erede del legittimo assegnatario (la figlia), l’unica, a dire della difesa, titolare del diritto di sporgere querela.
3. Mancata applicazione della non punibilità per tenuità del fatto: La Corte d’Appello non avrebbe adeguatamente considerato la lieve entità dell’offesa e l’assenza di abitualità nel comportamento.

La Decisione della Corte sulla Occupazione Abusiva

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la condanna. I giudici hanno colto l’occasione per consolidare l’orientamento giurisprudenziale più rigoroso in materia di occupazione abusiva di immobili pubblici, sottolineando la prevalenza dell’interesse pubblico alla corretta gestione del patrimonio immobiliare destinato a finalità sociali.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha smontato punto per punto le argomentazioni difensive con un ragionamento giuridico chiaro e lineare.

In primo luogo, ha chiarito che il concetto di “invasione” ai sensi dell’art. 633 c.p. non implica necessariamente un’azione violenta o clandestina. Esso si concretizza nell’introduzione arbitraria, ovvero contra ius (contro la legge), in un immobile altrui con lo scopo di occuparlo stabilmente. La permanenza nell’alloggio dopo la cessazione del titolo che la giustificava – in questo caso, la morte dell’assegnatario – integra pienamente questa fattispecie. L’ospitalità o il rapporto di parentela non creano un diritto di subentro automatico, il quale è invece regolato da precise norme di diritto pubblico che richiedono specifici requisiti soggettivi. Occupare l’immobile sine titulo (senza titolo) è, pertanto, un’azione arbitraria.

In secondo luogo, la Corte ha respinto la questione sulla procedibilità. Trattandosi di un immobile di proprietà di un ente pubblico e destinato a una funzione pubblica, il reato è perseguibile d’ufficio, come previsto dall’art. 639-bis c.p. Non è quindi necessaria la querela di un privato. L’interesse tutelato è quello dello Stato a garantire che i beni pubblici siano utilizzati secondo le finalità previste dalla legge, e l’ente proprietario è la vera persona offesa.

Infine, riguardo alla causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), i giudici hanno ritenuto corretta la valutazione della Corte d’Appello. La prolungata durata dell’occupazione arbitraria e l’entità del danno causato all’ente pubblico (privato della disponibilità di un alloggio da destinare a chi ne ha diritto) sono elementi che escludono la particolare tenuità dell’offesa.

Le Conclusioni

Questa sentenza riafferma con forza un principio cruciale: la gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica è soggetta a regole pubblicistiche inderogabili. Accordi privati, come il consenso di un erede, non possono legittimare un’occupazione che è, a tutti gli effetti, abusiva. Chiunque permane in un alloggio popolare senza possedere i requisiti e senza aver seguito la procedura di assegnazione prevista dalla legge, commette il reato di cui all’art. 633 del codice penale, con tutte le conseguenze che ne derivano.

Rimanere in una casa popolare dopo la morte dell’assegnatario è reato?
Sì, la Corte di Cassazione ha stabilito che la permanenza in un alloggio popolare dopo il decesso del legittimo assegnatario costituisce il reato di invasione di edifici (art. 633 c.p.), poiché l’occupante è privo di un titolo giuridico che lo legittimi (occupazione sine titulo).

Il consenso dell’erede dell’assegnatario rende legale l’occupazione?
No, il consenso dell’erede è giuridicamente irrilevante. Le procedure di assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica sono regolate da norme di diritto pubblico che tutelano l’interesse collettivo e non possono essere derogate da accordi tra privati.

Per il reato di occupazione abusiva di un immobile pubblico è necessaria la querela di un privato?
No. Quando l’immobile invaso è di proprietà di un ente pubblico o è destinato a un uso pubblico, il reato è perseguibile d’ufficio. Ciò significa che l’azione penale viene avviata dallo Stato senza la necessità di una denuncia-querela da parte di un soggetto privato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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