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Occupazione abusiva: restare in casa dopo il decesso

La Corte di Cassazione ha confermato che rimanere in un alloggio popolare dopo la morte del legittimo assegnatario, con cui si conviveva, integra il reato di occupazione abusiva. La sentenza analizza il concetto di ‘invasione’ e sottolinea l’obbligo del giudice di motivare la mancata concessione della sospensione condizionale della pena, annullando la decisione su questo specifico punto e rinviando alla Corte d’Appello.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Occupazione abusiva di alloggio popolare: cosa succede se si resta dopo il decesso dell’assegnatario?

La questione dell’occupazione abusiva di immobili, specialmente se di edilizia residenziale pubblica, è un tema di grande attualità. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito un aspetto cruciale: rimanere nell’alloggio popolare dopo il decesso del legittimo assegnatario, con cui si conviveva, costituisce reato. Analizziamo insieme questa importante pronuncia per capire le ragioni giuridiche e le implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un uomo condannato sia in primo grado che in appello per il reato di occupazione abusiva di un alloggio popolare. L’imputato, che conviveva con la precedente e legittima assegnataria dell’immobile, aveva continuato a risiedere nell’abitazione anche dopo il decesso di quest’ultima, senza alcun titolo che lo autorizzasse. I suoi difensori hanno presentato ricorso alla Corte di Cassazione, sostenendo che non potesse configurarsi un’invasione illegittima, dato che l’uomo si trovava già all’interno dell’immobile.

La Tesi Difensiva e le Contestazioni

La difesa ha basato il ricorso su tre motivi principali:
1. Inapplicabilità del reato di occupazione abusiva: Si sosteneva che, essendo già convivente, non vi fosse stata un’azione di ‘invasione’ dell’immobile, elemento costitutivo del reato previsto dall’art. 633 del Codice Penale.
2. Mancata applicazione della non punibilità per tenuità del fatto: Si richiedeva l’applicazione dell’art. 131 bis c.p., data la presunta scarsa gravità del fatto e la personalità dell’imputato.
3. Omessa motivazione sulla sospensione condizionale: Si lamentava che i giudici d’appello non avessero motivato la decisione di non concedere la sospensione condizionale della pena, nonostante una richiesta specifica.

L’interpretazione della Cassazione sull’occupazione abusiva

La Suprema Corte ha respinto i primi due motivi. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: il reato di occupazione abusiva si configura anche quando chi, inizialmente ospite o convivente, permane nell’immobile dopo la morte del titolare, comportandosi come se ne fosse il proprietario o il possessore (‘dominus’).

La Corte ha chiarito che il concetto di ‘invasione’ non richiede necessariamente un’introduzione furtiva o violenta. Esso va inteso come un’introduzione arbitraria nell’edificio altrui allo scopo di occuparlo, a prescindere dai mezzi utilizzati. Pertanto, anche la permanenza senza titolo dopo la fine del diritto di ospitalità integra pienamente il reato.

Inoltre, la richiesta di applicare la causa di non punibilità per tenuità del fatto è stata respinta perché il reato di occupazione ha natura permanente: la condotta illecita si protrae nel tempo, un fattore che impedisce di considerare l’offesa di lieve entità.

Il Vizio di Motivazione: un Punto Cruciale

Il terzo motivo di ricorso è stato invece accolto. La Corte di Cassazione ha rilevato che la Corte d’Appello aveva completamente omesso di motivare la sua decisione sulla richiesta di sospensione condizionale della pena. Questo costituisce un ‘vizio di motivazione’ su un punto autonomo e decisivo della sentenza.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha ritenuto i primi due motivi del ricorso infondati perché si trattava di questioni già correttamente esaminate e risolte dalla Corte d’Appello, che aveva applicato correttamente i principi di diritto. Per quanto riguarda l’occupazione abusiva, è stato confermato che la permanenza ‘sine titulo’ (senza titolo) integra il reato. La prosecuzione della condotta illecita nel tempo ha giustificato il rigetto della richiesta di applicazione dell’art. 131 bis c.p.

Tuttavia, la sentenza di appello è stata annullata sul terzo punto. Il giudice ha l’obbligo di fornire una motivazione per le sue decisioni, specialmente quando risponde a una richiesta specifica della difesa. L’assenza totale di motivazione sulla negata concessione della sospensione condizionale costituisce un errore procedurale che deve essere corretto.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata, ma solo limitatamente alla questione della sospensione condizionale della pena. Ha rinviato il caso a un’altra sezione della Corte d’Appello di Roma per un nuovo giudizio su questo specifico punto. È importante sottolineare che l’affermazione della responsabilità penale dell’imputato per il reato di occupazione abusiva è diventata definitiva e irrevocabile. Questa decisione rafforza il principio secondo cui nessuno può rimanere in un alloggio pubblico senza un titolo legittimo e, allo stesso tempo, riafferma il diritto dell’imputato a ricevere una decisione pienamente motivata in ogni sua parte.

Chi convive con l’assegnatario di un alloggio popolare commette occupazione abusiva se rimane nell’immobile dopo il suo decesso?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la condotta di chi, ospitato in un immobile di edilizia pubblica, vi permanga anche dopo il decesso del legittimo assegnatario comportandosi come possessore, integra il reato di occupazione abusiva (art. 633 c.p.).

Perché è stata esclusa l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.)?
La Corte ha escluso tale causa di non punibilità a causa della permanenza del reato e della prosecuzione della condotta illecita nel tempo. Questi elementi sono stati valutati come incompatibili con la scarsa gravità dell’offesa richiesta dalla norma.

Cosa succede se un giudice non motiva la sua decisione su una richiesta specifica dell’imputato, come la sospensione condizionale della pena?
Se il giudice omette completamente di motivare la sua decisione su un punto specifico e autonomo sollevato dalla difesa, incorre in un ‘vizio di motivazione’. In tal caso, come avvenuto in questa sentenza, la decisione può essere annullata dalla Corte di Cassazione su quel punto, con rinvio a un altro giudice per una nuova valutazione che dovrà essere motivata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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