Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9276 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9276 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nata il 14/07/1979
avverso la sentenza del 09/07/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso dell’Avv. COGNOME NOME COGNOME
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni di cui alla requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME
Ricorso trattato in camera di consiglio senza la presenza delle parti ai sensi degli artt. 610, comma 5, e 611, comma 1-bis, c.p.p.
RITENUTO IN FATTO
NOME a mezzo del difensore di fiducia, ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Milano del 09/07/2024 che, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano, ha rideterminato la pena inflitta alla ricorrente in ordine al delitto di cui all’art. 633 cod. pen.
La difesa affida il ricorso a quattro motivi che, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., saranno enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto P.G. NOME COGNOME, con requisitoria del 20 gennaio 2025, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 649 cod. proc. pen., l’inosservanza del principio del ne bis in idem, l’erronea applicazione degli artt. 633 e 639-bis cod. pen. Sostiene la difesa che la condotta accertata nel presente giudizio – occupazione abusiva del medesimo immobile da parte dell’imputata dal 15 maggio 2006 e protrattasi ininterrottamente sino al 4 dicembre 2020 – è coperta da giudicato in forza della sentenza di condanna del Tribunale di Milano del 14 novembre 2011, divenuta irrevocabile il 30 gennaio 2012. A tale conclusione, sostiene il difensore, è possibile giungere ritenendo il reato istantaneo ad effetti permanenti e tenuto conto che l’imputata, dopo la condanna, ha continuato a permanere nell’abitazione.
Il motivo non è consentito in sede di legittimità e, comunque, è manifestamente infondato.
Invero, la preclusione derivante dal ne bis in idem risulta essere stata dedotta per la prima volta in sede di legittimità e si nutre di accertamenti di fatto preclus in questa sede che andavano comunque previamente sottoposti al giudice del merito.
Inoltre, nel reato di invasione di terreni o edifici di cui all’art. 633 cod. pen. nozione di “invasione” non si riferisce all’aspetto violento della condotta, che può anche mancare, ma al comportamento di colui che si introduce “arbitrariamente”, ossia “contra ius” in quanto privo del diritto d’accesso, cosicché la conseguente “occupazione” costituisce l’estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalità per la quale viene posta in essere l’abusiva invasione; nel caso in cui l’occupazione si protragga nel tempo, il delitto ha natura permanente e
la permanenza cessa soltanto con l’allontanamento del soggetto o con la sentenza di condanna, dopo la quale la protrazione del comportamento illecito dà luogo ad una nuova ipotesi di reato che non necessita del requisito dell’invasione, ma si sostanzia nella prosecuzione dell’occupazione (in termini, Sez. 2, n. 29657 del 27/03/2019, COGNOME, Rv. 277019 – 01; da ultimo, Sez. 2, n. 3764 del 13/12/2024, dep. 2025, COGNOME, n.nn., in motivazione a pag. 2).
3. Con il secondo motivo si denuncia la violazione di legge con riferimento agli artt. 2 cod. pen. in relazione agli artt. 132, 81 cpv. e 633 cod. pen., nonché ed il vizio di motivazione riguardo al trattamento sanzionatorio e, segnatamente ai criteri adottati per individuare il reato più grave.
In particolare, la difesa lamenta che la Corte territoriale, a fronte di un’occupazione abusiva che, per gran parte, si era manifestata sotto la vigente disciplina che stabiliva la pena alternativa tra reclusione e multa, abbia applicato quella vigente che prevede la reclusione congiunta alla multa.
Inoltre, censurabile era la motivazione laddove aveva ritenuto reato più grave – ai fini di determinare la pena base in continuazione con l’occupazione abusiva dello stesso immobile coperta da giudicato – la condotta accertata nel presente giudizio, facendo riferimento al dato temporale, di durata maggiore, della permanenza nell’edificio, anziché fare riferimento a quella oggetto della sentenza irrevocabile che atteneva a due condotte illecite, la prima volta all’invasione e all’occupazione della proprietà e l’altra alla permanenza. Nel presente giudizio, invece, si era al cospetto di un mero post factum, essendosi la condotta illecita manifestata unicamente permanendo l’imputata all’interno dell’immobile.
Il primo profilo di censura relativo al trattamento sanzionatorio è manifestamente infondato. Come correttamente osservato dalla sentenza impugnata ne consegue – data la natura permanente del reato – che tutta la condotta incriminata, in quanto cessata in epoca successiva all’entrata in vigore della norma che ha introdotto la pena della reclusione congiunta a quella della multa (I. n. 132 del 2018), è soggetta alla disciplina da questa dettata. Al cospetto del perdurare di una situazione illecita volontariamente rimuovibile dal reo, il tempo del commesso reato va fissato nell’ultimo momento di mantenimento della condotta antigiuridica, nel presupposto che la norma penale può assolvere la sua funzione generai preventiva fino all’esaurimento della condotta.
Il secondo profilo di censura, invece, è inammissibile poiché non proposto specificamente con l’atto di appello ed involgente questioni di fatto estranee al giudizio di legittimità. Invero, benché la Corte di merito abbia rideterminato la pena in senso più favorevole all’imputata, la continuazione tra i fatti oggetto del
presente giudizio e quelli già giudicati era stata riconosciuto già dal primo giudice che aveva ritenuto i primi più gravi (v. pag. 11 della sentenza di primo grado).
Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’esclusione della scriminante di cui all’art. 54 cod. pen.
La difesa a fondamento del motivo richiama plurimi indici dimostrativi che la Corte d’appello avrebbe illogicamente disatteso, così incorrendo nella violazione. dell’art. 54 cod. pen. (lo stato di invalidità del figlio della prevenuta, l’impossibi della ricorrente di sottoscrivere un regolare contratto di locazione, sia per gli elevati costi in quel di Milano, sia per l’esigenza di accudire il figlio che le preclud di trovare un lavoro continuativo, l’ingiustificato rigetto dell’assegnazione di alloggio popolare).
Il motivo, articolato anche con censure di fatto non consentite in questa sede, è generico in quanto la ricorrente si confronta soltanto con la seconda parte della motivazione di rigetto, non censurando specificamente la prima parte con cui la Corte di merito ha dato atto dell’assenza di una piena prova che dimostrasse un’incapienza economica tale da integrare l’invocata scriminante.
Violazione dell’art. 131-bis cod. pen. e vizio di motivazione.
Il motivo è manifestamente infondato, alla luce del dato dirimente – avente valenza ostativa di tipo normativo – costituito dalla gravità ed abitualità del reato, trattandosi, per come precisato in sentenza, di occupazione abusiva protrattasi per anni quattordici ed ancora in atto.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, così stabilita in ragione dei profili di colpa ravvisabili nella determinazione delle cause di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa per le ammende. Motivazione semplificata.
Così deciso, il 18 febbraio 2025.
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