Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 23130 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 23130 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nata a CATANIA il 27/11/1985
avverso la sentenza del 08/11/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
lette le conclusioni scritte e le relative integrazioni depositate nell’interesse dell ricorrente e con le quali si è insistito per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Catania ha confermato la sentenza del Tribunale di Catania, emessa il 30 marzo 2023, che aveva condannato la ricorrente alla pena di giustizia in relazione al reato di occupazione abusiva di un alloggio popolare.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME deducendo:
violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte escluso l’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod.pen.
La Corte non avrebbe valutato il carattere occasionale della condotta, alla luce del ristretto periodo di tempo dell’occupazione secondo quanto emerso da una testimonianza assunta al dibattimento e la lieve entità del fatto dovuta alla circostanza che la ricorrente avrebbe comunque avuto diritto alla assegnazione di una casa popolare;
violazione di legge ed illegalità della pena inflitta, la quale, all’epoca riferimento della condotta, indicata in ricorso nel 16 gennaio 2018, doveva essere determinata in maniera disgiunta.
La consumazione del reato oltre tale data non era stata provata a meno di un’inaccettabile inversione dell’onere della prova e ledendo il principio di irretroattività delle legge più sfavorevole all’imputata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivi manifestamente infondati.
Quanto al primo motivo, la Corte di appello ha escluso la possibilità di applicazione dell’art. 131-bis cod.pen., avuto riguardo alla circostanza che la condotta oggetto di contestazione si era protratta “per un lasso di tempo considerevole”, circostanza idonea a superare ogni diversa obiezione difensiva, sol che si consideri che, secondo quanto indicato dalla sentenza di primo grado – il cui contenuto si fonde con la motivazione della sentenza impugnata stante la conformità del giudizio di condanna – l’occupazione abusiva dell’alloggio popolare da parte della ricorrente aveva avuto inizio nel lontano 2005 (così come indicato nella imputazione), tanto evidenziando l’abitualità della condotta ostativa all’applicazione della causa di non punibilità.
In ordine al secondo motivo, deve, in primo luogo, rilevarsi che dal capo di imputazione risulta, quanto al tempus commissi delicti, soltanto l’indicazione della data dell’accertamento effettuato dalla polizia giudiziaria, avvenuto il 16 gennaio 2018, a fronte, come si è detto, di una condotta iniziata nel 2005.
In punto di diritto, nel caso in cui l’occupazione si protragga nel tempo, il delitt ha natura permanente e la permanenza cessa soltanto con l’allontanamento del soggetto o con la sentenza di condanna, dopo la quale la protrazione del comportamento illecito dà luogo ad una nuova ipotesi di reato che non necessita del requisito dell’invasione, ma si sostanzia nella prosecuzione dell’occupazione. (Sez. 2, n. 29657 del 27/03/2019, Rv. 277019-01).
Nel caso in esame, non solo non si ha prova del fatto che l’immobile illegittimamente occupato fosse stato restituito dall’imputata in epoca successiva
/T/
all’accertamento e precedente rispetto alla sentenza di primo grado, ma si ha la prova contraria che ella, convocata dalla Polizia Municipale, non si era presentata
e non aveva sanato la sua posizione.
Di tal che, la condotta deve ritenersi essersi protratta fino al 30 marzo 2023, data della sentenza del Tribunale, con consequenziale applicazione, quanto al
trattamento sanzionatorio, della normativa a quel momento in vigore, che prevedeva (e prevede tuttora) l’applicazione di una pena congiunta.
Tanto assorbe ogni altra considerazione difensiva, anche in relazione al contenuto delle conclusioni scritte e delle note depositate.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila
alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa della stessa ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso, il 16/05/2025.