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Occupazione abusiva: no stato di necessità

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo condannato per occupazione abusiva di un alloggio popolare. La Corte ha ribadito che il bisogno abitativo non integra automaticamente lo stato di necessità, a meno che non sia collegato a un pericolo attuale e grave per la persona. La lunga durata dell’occupazione è stata considerata un fattore ostativo sia al riconoscimento dello stato di necessità sia all’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Occupazione abusiva: quando il bisogno di una casa non giustifica il reato

L’occupazione abusiva di immobili, specialmente di alloggi popolari, è un fenomeno che pone complessi interrogativi sul bilanciamento tra il diritto di proprietà e il diritto all’abitazione. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 15128 del 2024, offre chiarimenti cruciali sui limiti della scusante dello stato di necessità in questi contesti, confermando una linea interpretativa rigorosa.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un individuo condannato in primo grado dal Tribunale e successivamente dalla Corte d’Appello per il reato di invasione e occupazione arbitraria di un appartamento di proprietà di un ente pubblico, destinato a edilizia popolare. La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, basandosi principalmente su due argomenti: il riconoscimento dello stato di necessità e l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

I Motivi del Ricorso

L’imputato sosteneva che i giudici di merito avessero errato nel negare lo stato di necessità. Secondo la difesa, la valutazione avrebbe dovuto concentrarsi sul momento dell’invasione, quando sussisteva il pericolo di rimanere senza un tetto, e non su eventi successivi come la lunga permanenza nell’immobile.

Inoltre, si contestava l’esclusione dell’art. 131-bis c.p. (particolare tenuità del fatto), motivata dalla Corte d’Appello sulla base della durata della condotta illecita, considerata un elemento che ne aggravava il disvalore anziché attenuarlo.

L’occupazione abusiva e l’analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo una mera riproposizione di argomenti già correttamente valutati e respinti nei gradi di giudizio precedenti. La sentenza si articola su punti di diritto consolidati, offrendo una guida chiara per casi analoghi.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha affrontato punto per punto le censure sollevate. Sullo stato di necessità (art. 54 c.p.), i giudici hanno ribadito un principio fondamentale: le esigenze abitative, pur essendo un diritto fondamentale, non si identificano automaticamente con il “pericolo attuale di un danno grave alla persona” richiesto dalla norma. Per invocare tale scriminante, è necessario dimostrare una correlazione specifica tra la mancanza di un alloggio e una minaccia concreta alla salute o alla sopravvivenza (ad esempio, in presenza di gravi malattie o condizioni di estrema fragilità). La Corte ha inoltre specificato che la persistenza dell’occupazione nel tempo fa venir meno il carattere “attuale” del pericolo, rendendo la condotta una scelta deliberata e non più una reazione a un’emergenza immediata.

Per quanto riguarda la particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), la Cassazione ha avallato la decisione della Corte d’Appello. Il perdurare della condotta illecita è stato considerato un indicatore di “abitualità” del comportamento, una condizione che per legge osta all’applicazione di questa causa di non punibilità. La lunga durata dell’occupazione abusiva dimostra una lesione non trascurabile del bene giuridico tutelato, impedendo di qualificare il fatto come di speciale tenuità. Analogo ragionamento è stato applicato al diniego delle attenuanti generiche, giustificato dalla mancata attivazione dell’imputato per trovare una soluzione legale al proprio problema abitativo.

Le Conclusioni della Corte

In conclusione, la sentenza n. 15128/2024 rafforza l’orientamento secondo cui il diritto all’abitazione non può essere tutelato attraverso azioni illegali come l’occupazione abusiva, se non in circostanze eccezionali e rigorosamente provate di un pericolo imminente e grave per l’incolumità fisica. La durata della condotta illecita assume un ruolo centrale nella valutazione del giudice: lungi dall’essere un fattore neutro, essa aggrava il disvalore del reato, impedendo l’accesso a benefici come la non punibilità per tenuità del fatto o le attenuanti generiche. La decisione sottolinea la necessità per chi si trova in difficoltà abitative di percorrere le vie legali e amministrative messe a disposizione dall’ordinamento, senza ricorrere a soluzioni arbitrarie che costituiscono reato.

L’esigenza di un alloggio giustifica l’occupazione abusiva di un immobile?
No, secondo la giurisprudenza costante della Corte di Cassazione, il bisogno abitativo non integra di per sé la causa di giustificazione dello stato di necessità. È necessario dimostrare che la mancanza di un alloggio crei un pericolo attuale e concreto di un danno grave alla persona (es. un rischio per la salute), non altrimenti evitabile.

Perché la Corte di Cassazione ha escluso la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto?
La Corte ha ritenuto che il perdurare della condotta illecita (l’occupazione prolungata nel tempo) sia un elemento ostativo. Tale durata indica una lesione non trascurabile del diritto di proprietà e può configurare l’abitualità della condotta, una condizione che per legge impedisce l’applicazione dell’art. 131-bis del codice penale.

Cosa comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso?
La declaratoria di inammissibilità comporta che il ricorso non viene esaminato nel merito perché ritenuto manifestamente infondato o privo dei requisiti di legge. Di conseguenza, la sentenza impugnata diventa definitiva e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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