Occupazione Abusiva: la Regolarizzazione Successiva non Annulla il Reato
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta il tema dell’occupazione abusiva di un immobile, chiarendo un principio fondamentale: la successiva regolarizzazione dell’assegnazione di un alloggio non ha effetto retroattivo e, pertanto, non cancella il reato già commesso. Questa decisione sottolinea la rigidità della legge nel distinguere tra la condotta illecita iniziale e le eventuali sanatorie successive, offrendo importanti spunti di riflessione.
I Fatti del Caso: Dall’Illecito alla Regolarizzazione
Il caso riguarda un cittadino condannato nei primi due gradi di giudizio per il reato di invasione di edifici. L’imputato aveva occupato un alloggio senza averne titolo. Successivamente, la sua posizione era stata regolarizzata con una formale assegnazione dell’immobile. Forte di questa sanatoria, l’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la sua condotta dovesse essere considerata lecita.
I Motivi del Ricorso in Cassazione
La difesa ha basato il ricorso su tre argomenti principali:
1. Legittimità della condotta: Si sosteneva che la successiva regolarizzazione dell’assegnazione, unita al diritto all’abitazione costituzionalmente garantito (art. 2 Cost.), avrebbe dovuto rendere lecita l’occupazione.
2. Stato di necessità: In subordine, si invocava la scriminante dello stato di necessità (art. 54 c.p.), che esclude la punibilità di chi agisce per salvare sé o altri da un pericolo attuale di un danno grave alla persona.
3. Trattamento sanzionatorio: Si contestava la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche in misura prevalente rispetto alla recidiva specifica e reiterata contestata, ritenendo errata la valutazione del giudice di merito.
La Decisione della Suprema Corte: L’Occupazione Abusiva Resta Tale
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le argomentazioni della difesa con motivazioni nette e precise.
Inammissibilità per Genericità e Ripetitività
I primi due motivi sono stati giudicati inammissibili perché non specifici. La Corte ha osservato che la difesa si era limitata a riproporre le stesse argomentazioni già presentate e motivatamente respinte dalla Corte d’Appello. Un ricorso in Cassazione, per essere ammissibile, deve confrontarsi criticamente con le ragioni della sentenza impugnata, evidenziandone gli errori di diritto, e non può limitarsi a ripetere le doglianze precedenti.
La questione del trattamento sanzionatorio
Anche il terzo motivo, relativo alla pena, è stato giudicato manifestamente infondato. La richiesta di far prevalere le attenuanti generiche sulla recidiva qualificata è stata considerata in palese contrasto con la disciplina normativa prevista dall’art. 69, comma quarto, del codice penale, che pone limiti precisi a tale giudizio di bilanciamento in presenza di determinate forme di recidiva.
Le Motivazioni della Decisione
Il cuore della decisione risiede nella distinzione temporale tra la commissione del reato e la successiva regolarizzazione. La Corte ha confermato l’orientamento consolidato secondo cui il reato di occupazione abusiva si perfeziona nel momento in cui avviene l’introduzione illegale nell’immobile. Qualsiasi evento successivo, come la sanatoria amministrativa, non può avere efficacia retroattiva tale da cancellare un reato già consumato. La regolarizzazione può far cessare la permanenza dell’illecito, ma non elimina la rilevanza penale della condotta originaria.
Inoltre, la Corte ha ribadito che la scriminante dello stato di necessità richiede prove rigorose sulla concretezza e attualità del pericolo, elementi che i giudici di merito avevano già escluso con motivazione logica e congrua. La semplice difficoltà abitativa non integra automaticamente questa causa di giustificazione.
Conclusioni: Cosa Insegna Questa Ordinanza
L’ordinanza in esame ribadisce alcuni principi cardine del diritto penale. In primo luogo, la commissione di un reato è un fatto storico che non può essere cancellato da atti amministrativi successivi. La regolarizzazione di una situazione di occupazione abusiva sana la posizione dell’occupante per il futuro, ma non lo assolve dalla responsabilità per il passato. In secondo luogo, il ricorso in Cassazione non è un terzo grado di giudizio nel merito, ma un controllo di legittimità. Per questo, i motivi devono essere specifici e criticare puntualmente le violazioni di legge o i vizi logici della sentenza impugnata, senza limitarsi a riproporre le stesse difese. Infine, la decisione conferma che le norme sul bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti, in particolare in presenza di recidiva, hanno una portata tassativa che non ammette interpretazioni in contrasto con il dettato legislativo.
La regolarizzazione successiva dell’assegnazione di un alloggio sana il reato di occupazione abusiva commesso in precedenza?
No, la Corte ha stabilito che la regolarizzazione intervenuta dopo il perfezionamento del reato non ha incidenza retroattiva e, pertanto, non cancella la punibilità della condotta illecita iniziale.
Perché i motivi di ricorso basati sul diritto all’abitazione e sullo stato di necessità sono stati respinti?
Sono stati dichiarati inammissibili perché considerati una mera riproduzione di censure già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello, senza un effettivo e specifico confronto con le motivazioni della sentenza impugnata.
È possibile ottenere la prevalenza delle attenuanti generiche su una recidiva specifica e reiterata?
La Corte ha ritenuto manifestamente infondata questa richiesta, affermando che la tesi difensiva era in palese contrasto con il dato normativo dell’art. 69, comma quarto, del codice penale, che pone specifici limiti a tale bilanciamento.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 17081 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 17081 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a ORUNE il 15/02/1963
avverso la sentenza del 14/05/2024 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di SASSARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
IN FATTO E IN DIRITTO
Letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME
considerato che tanto il primo quanto il secondo motivo di ricorso, tesi a contestare l’affermazione di responsabilità per il reato di cui agli artt. 633-639bis cod. pen. – in quanto, ad opinione della difesa, i giudici di merito avrebbero dovuto ritenere lecito il contegno tenuto dall’odierno ricorrente, in virtù della intervenuta regolarizzazione dell’assegnazione dell’alloggio, del diritto all’abitazione ex art. 2 della Cost., e della scriminante di cui all’art. 54 cod. pen. non sono formulati in termini consentiti in questa sede, essendo riproduttivi di profili di censura già svolti in appello e già motivatamente esaminati e disattesi dalla Corte territoriale, con congrui argomenti logici e giuridici;
che, dunque, le suddette censure non risultano connotate dai requisiti richiesti, a pena di inammissibilità del ricorso, dall’ art. 591, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., dovendosi considerare non specifiche ma soltanto apparenti, perché non caratterizzate da un effettivo confronto con la complessità delle congrue ragioni di fatto e di diritto che i giudici di appello, confermando quanto già compiutamente chiarito dal giudice di primo grado, e facendo corretta applicazione dei principi affermati nella giurisprudenza di legittimità, hanno posto a base della ritenuta sussistenza del reato ascritto all’odierno ricorrente (si vedano le pagg. 9 e 10 della impugnata sentenza, ove si è sottolineata l’abusività dell’occupazione, e dunque la non operatività della scriminante di cui all’art. 54 cod. pen., e la non incidenza retroattiva della regolarizzazione dell’assegnazione dell’alloggio intervenuta solo successivamente al perfezionamento del reato);
osservato che il terzo motivo di ricorso, con cui si contesta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al giudizio sulla pena, in particolare per l’omessa applicazione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza rispetto alla contestata recidiva specifica, infra-quinquennale e reiterata, risulta manifestamente infondato, poiché prospetta enunciati ermeneutici in palese contrasto con il dato normativo di cui all’art. 69, comma quarto, cod. pen;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18 marzo 2025.