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Occupazione abusiva immobile: Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una donna condannata per occupazione abusiva di un alloggio popolare. Dopo essere stata sfrattata e che l’ente proprietario aveva murato l’accesso, la donna era rientrata nell’immobile. La Corte ha stabilito che tale condotta costituisce una nuova e autonoma invasione, integrando il reato previsto dall’art. 633 c.p. È stato inoltre ribadito che la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non si applica ai reati permanenti, come l’occupazione abusiva, finché la condotta illecita perdura.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Occupazione abusiva immobile: Cassazione chiarisce

Il reato di occupazione abusiva di immobili, disciplinato dall’articolo 633 del codice penale, è al centro di una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 9398/2024. Questa pronuncia offre chiarimenti cruciali su quando la condotta di chi rientra in un’abitazione dopo uno sfratto integri pienamente il reato, anche se mossa dall’intento di proteggere i propri beni. Analizziamo la decisione per comprendere i confini tra un comportamento illecito e le possibili giustificazioni.

I fatti del caso: Dallo sfratto alla riappropriazione

Il caso riguarda una donna che, dopo la morte del marito, assegnatario originario di un alloggio popolare, e a seguito di un provvedimento di decadenza e di un conseguente sfratto, aveva perso la disponibilità dell’immobile. L’ente proprietario, rientrato in possesso dell’appartamento, aveva provveduto a murarne l’ingresso per impedirne l’accesso. Nonostante ciò, la donna si era reintrodotta nell’abitazione, giustificando il suo gesto con la necessità di proteggere i mobili e gli effetti personali ancora presenti all’interno.

Condannata in primo grado e in appello, seppur con una pena ridotta, la donna ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la sua condotta non costituisse una vera e propria occupazione finalizzata a trarre profitto, ma solo un’azione temporanea a tutela dei suoi beni.

La questione giuridica: Quando rientrare è invasione?

Il fulcro della questione legale era stabilire se il reingresso in un immobile, dopo che il legittimo proprietario ne ha recuperato il possesso e lo ha fisicamente messo in sicurezza (murandolo), possa essere considerato il reato di invasione di terreni o edifici. La difesa sosteneva la mancanza sia dell’elemento oggettivo (un’occupazione stabile) sia di quello soggettivo (la volontà di trarre un profitto ingiusto).

L’analisi della Corte di Cassazione sulla occupazione abusiva

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna e fornendo importanti principi interpretativi.

La nozione di “invasione” dopo la perdita del possesso

I giudici hanno chiarito che il concetto di “invasione” non richiede necessariamente un atto violento. Consiste, piuttosto, nell’introdursi arbitrariamente, cioè senza averne diritto (“contra ius”), in un immobile altrui di cui non si ha né il possesso né la detenzione. In questo caso, l’ente proprietario aveva inequivocabilmente ripreso il possesso dell’alloggio, come dimostrato dall’atto di murare l’ingresso. Di conseguenza, il successivo reingresso da parte della donna non poteva essere considerato una semplice continuazione di una situazione preesistente, ma una vera e propria “abusiva riappropriazione”, una nuova condotta di invasione che integra perfettamente il reato di cui all’art. 633 c.p.

Le difese respinte: Tenuità del fatto e altri benefici

La Corte ha anche respinto le altre doglianze della ricorrente. In particolare, ha stabilito che la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) non può essere applicata all’occupazione abusiva finché questa perdura. Trattandosi di un reato permanente, la condotta illecita e la lesione del diritto di proprietà continuano nel tempo, impedendo di considerare il fatto come “tenue”.

Inoltre, i giudici hanno rilevato che altre richieste, come il riconoscimento dello stato di necessità o la concessione della sospensione condizionale della pena, erano state formulate per la prima volta in Cassazione o non erano state sollecitate correttamente nei gradi di merito, risultando quindi precluse.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su una rigorosa interpretazione della legge e della giurisprudenza consolidata. La sentenza ribadisce che il momento determinante per valutare la condotta è quello in cui avviene l’introduzione arbitraria nell’immobile. Una volta che il proprietario ha riacquistato la piena disponibilità del bene, qualsiasi successivo ingresso non autorizzato costituisce una nuova e distinta violazione della legge. L’intenzione di proteggere i propri beni non è una causa di giustificazione idonea a rendere lecita una condotta che lede il diritto di proprietà altrui, soprattutto quando il possesso è stato legittimamente recuperato dal titolare.

Le conclusioni

La sentenza 9398/2024 della Cassazione consolida un principio fondamentale in materia di occupazione abusiva: rientrare in un immobile dopo che il proprietario ne ha ripreso il possesso, manifestandolo con atti concreti come murare l’accesso, configura il reato di invasione, indipendentemente dalle motivazioni personali dell’agente. Questa decisione sottolinea l’importanza del rispetto del diritto di proprietà e chiarisce che la tutela dei propri beni non può avvenire attraverso azioni che violano la legge penale.

Rientrare in un immobile da cui si è stati sfrattati, dopo che è stato murato, costituisce il reato di occupazione abusiva?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, quando il proprietario ha riacquistato il possesso effettivo dell’immobile (ad esempio, murandone l’ingresso), qualsiasi successivo accesso non autorizzato costituisce una nuova e autonoma condotta di invasione, integrando pienamente il reato previsto dall’art. 633 c.p.

È possibile invocare la “particolare tenuità del fatto” per il reato di occupazione abusiva di un immobile?
No, finché l’occupazione è in corso. La Corte ha chiarito che, essendo l’occupazione abusiva un reato permanente, la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) è preclusa fino a quando la condotta illecita non è cessata, a causa della perdurante compressione del bene giuridico protetto.

La volontà di proteggere i propri beni all’interno dell’immobile giustifica l’occupazione abusiva?
No. La sentenza stabilisce che la motivazione di proteggere i propri mobili o effetti personali non costituisce una causa di giustificazione valida per il reato di invasione di edifici. Tale condotta viene considerata un’abusiva “riappropriazione” che lede il diritto di proprietà del legittimo titolare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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