Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 24303 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 24303 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/05/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nata ad Altomonte il 21/01/1950 COGNOME NOME nata a Cosenza il 04/11/1970 COGNOME NOME nato a Cosenza il 04/07/1975
avverso la sentenza del 08/04/2024 della Corte d’appello di Catanzaro
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME con cui ha chiesto l’annullamento senza rinvio per intervenuta estinzione per prescrizione.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza dell ‘ 8 aprile 2024, la Corte d’appello di Catanzaro, in riforma della sentenza del Tribunale di Castrovillari del 12 ottobre 2020, appellata, per quanto qui di interesse, da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME assolveva i medesimi dal reato di invasione arbitraria di terreni ed edifici per non aver commesso il fatto, rideterminando la pena, per il residuo reato di occupazione abusiva di spazio
demaniale marittimo, in 200 euro di ammenda ciascuno, confermando i doppi benefici di legge già riconosciuti dal primo giudice.
Avverso tale provvedimento hanno proposto congiunto ricorso per cassazione NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, articolando cinque motivi, di seguito sommariamente enunciati ex art. 173, disp. att. cod. proc. pen. nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Deducono, con il primo motivo, il vizio di motivazione contraddittoria relativamente al presupposto della chiara volontà di difendere il loro possesso dell’immobile, essendo palese un travisamento probatorio non risultando il dato della ‘difesa del possesso dell’immobile’ nel ricorso al TAR avverso l’ordinanza di demolizione dell’immobile abusivo emessa a carico dei ricorrenti.
In sintesi, si censura la sentenza impugnata nella parte in cui i giudici di appello affermano che, proprio proponendo il ricorso al Tar, gli imputati avrebbero chiaramente dimostrato la loro volontà ed interesse a difendere il loro possesso dell’immobile e ciò facendo valere proprio la loro veste di eredi di colui il quale risultava formalmente proprietario. La Corte d’appello avrebbe, per la prima volta, introdotto come oggetto di valutazione il ricorso al Tar presentato dagli imputati contro l’ordinanza di demolizione dei manufatti richiamati nel capo di imputazione. Questo atto non era stato esaminato dal primo giudice ovvero fatto oggetto di valutazione onde dimostrare il possesso dell’immobile. Diversamente, il ricorso al Tar non dimostrerebbe assolutamente la volontà ed interesse a difendere il possesso dell’immobile. Richiamato per sintesi il contenuto del ricorso al Tar, peraltro prodotto in allegato al fine di far valere il dedotto vizio di travisamento probatorio, sostiene la difesa come sia evidente che il risultato probatorio ricavato dalla Corte d’appello ed indicato in motivazione, ossia la difesa del possesso dell’immobile, risulta difforme rispetto all’elemento probatorio effettivamente risultante nello stesso ricorso. Non risulta infatti alcuna difesa del possesso, anzi se ne nega l’esistenza e si chiede l’annullamento di un atto amministrativo indirizzato ai ricorrenti e per loro pregiudizievole in quanto implicante un obbligo di facere non dovuto. Nel predetto ricorso si sarebbe eccepita addirittura l’esistenza di un procedimento demolitorio d’ufficio a cura delle amministrazioni interessate richiamando giurisprudenza amministrativa a sostegno. Non essendoci, quindi, alcuna difesa del possesso dell’immobile, non si potrebbe poi logicamente inferire l’esistenza dello stesso possesso che, venendo meno, farebbe venir meno il reato contestato che presuppone una condotta materiale.
2.2. Deducono, con il secondo motivo, il vizio di motivazione, sotto il profilo dell’ illogicità della stessa laddove opera la inferenza illogica secondo cui, poiché gli imputati non hanno assecondato l’ordine di demolizione, sarebbe dimostrato che gli stessi avrebbero una relazione con l’immobile abusivo.
In sintesi, si censura la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che laddove davvero gli eredi di NOME COGNOME non avessero avuto alcuna relazione con l’immobile abusivo, ben avrebbero potuto lasciarlo andare, assecondando l’ordine emesso a loro carico in ragione di un abuso comunque compiuto dal padre. Si tratterebbe di un’affermazione illogica, da un lato, perché assecondare l’ordine di demolizione non avrebbe significato lasciare andare l’immobile ma caricarselo sulle spalle al fine di demolirlo, quando invece il procedimento demolitorio doveva essere avviato e diretto d’ufficio le amministrazioni interessate. Dall’altro, assecondare l’ordine di demolizione avrebbe significato accettare un’ingiustizia, ossia un atto amministrativo ritenuto illegittimo, nonché il presupposto di essere loro occupanti abusivi quando in realtà non lo erano. Si tratterebbe dunque di un’inferenza illogica che, in quanto tale, non potrebbe dimostrare l’esistenza di una relazione tra i ricorrenti e l’immobile abusivo.
2.3. Deducono, con il terzo motivo, il vizio di motivazione della sentenza, censurata perché apodittica laddove si limita ad un’analisi dei soli dati che confermerebbero la conclusione prescelta della disponibilità giuridica e materiale dell’immobile da parte dei ricorrenti.
In sintesi, si censura la sentenza impugnata per non aver preso posizione rispetto alle risultanze testimoniali, tutte concordi sul dato di fatto che i ricorrenti mai avrebbero avuto il possesso o la detenzione dei manufatti oggetto del capo di imputazione. Non sarebbe pertanto configurabile la condotta materiale del reato di occupazione abusiva di spazio demaniale, non avendo mai gli imputati acquisito o mantenuto il possesso o la detenzione dello spazio demaniale coincidente con i manufatti abusivi oggetto di contestazione, nè avrebbero mai in alcun modo protratto l’abusiva occupazione da altri precedentemente iniziata, non essendo mai entrati in relazione fattuale o materiale con i beni. Richiamata la giurisprudenza di questa Corte, si censura ancora la sentenza laddove, apoditticamente, afferma che gli argomenti difensivi non avrebbero smentito la disponibilità giuridica e materiale dell’immobile abusivo da parte di tutti i ricorrenti. Si tratterebbe di un’affermazione apodittica laddove non esiste, né tantomeno viene argomentata, l’esistenza della disponibilità giuridica dell’immobile in capo ai ricorrenti. I giudici non avrebbero argomentato sull’eventuale esistenza del dato probatorio da cui ricavare la disponibilità materiale dell’immobile, se non limitandosi alla richiesta delle due precedenti affermazioni, costituenti oggetto dei primi due motivi di censura.
2.4. Deducono, con il quarto motivo, il vizio di motivazione mancante quanto alla configurabilità dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 1161, cod. nav.
In sintesi, si censura la sentenza impugnata laddove non motiva circa la sussistenza dell’elemento psicologico del reato. La condotta, si osserva, deve essere arbitraria e tale arbitrarietà va provata o dedotta con argomentazioni logiche verificabili, pena la violazione del diritto di difesa.
2.5. Deducono, con il quinto motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 129, cod. proc. pen., 157 e 161, cod. pen., in quanto il reato contravvenzionale in esame, accertato il 27 maggio 2015, risulterebbe già estinto per prescrizione alla data dell’8 aprile 2024, data di pronuncia de lla sentenza impugnata.
In sintesi, premesso che il reato di abusiva occupazione di spazio demaniale è un reato permanente, si sottolinea come l’affermazione secondo cui la permanenza si considera cessata con la pronuncia della sentenza di primo grado avrebbe un valore esclusivamente processuale e non sostanziale, nel senso che non ricade sull ‘ imputato l’onere di dimostrare, a fronte di una presunzione contraria, la cessazione dell’illecito prima della data della condanna di primo grado. Richiamata giurisprudenza di questa Corte secondo cui occorrerebbe verificare se il giudice di merito abbia ritenuto provata la permanenza della condotta illecita oltre la data dell’accertamento, ed eventualmente se tale permanenza risulti effettivamente accertata fino alla sentenza, si censura la sentenza impugnata non essendosi posto il problema giuridico. Tenuto conto della data dell’accertamento e del termine massimo di prescrizione quinquennale del reato, cui si aggiungerebbero i periodi di sospensione riguardanti il legittimo impedimento del difensore nel corso delle udienze tenutesi in primo grado, si sostiene che, alla data del 27 gennaio 2020, il reato contestato risulterebbe essere estinto per prescrizione, non essendoci evidenze probatorie o indicazioni delle stesse nella sentenza impugnata circa l’eventuale protrazione della condotta illecita oltre la data dell’accertamento. Diversamente, le evidenze probatorie propenderebbero in senso opposto: a) sequestro preventivo degli immobili in data 16 ottobre 1996; b) certificato di morte del de cuius intervenuta il 29 dicembre 2014; c) dichiarazioni testimoniali (rese nel corso delle udienze del 13 novembre 2017 per i testi COGNOME e COGNOME, del 16 aprile 2018 per la teste COGNOME e del 15 aprile 2019 per il teste COGNOME), le quali confermano che i ricorrenti mai hanno avuto il possesso o la detenzione degli immobili. Alla data della sentenza d’appello, pertanto, il reato era già estinto per prescrizione.
È pervenuta requisitoria scritta del Procuratore Generale presso questa Corte in data 23 marzo 2025, con cui ha chiesto l’annullamento senza rinvio per intervenuta estinzione per prescrizione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi, trattati cartolarmente in assenza di richiesta di discussione orale, sono fondati.
Tutti i motivi, peraltro, possono essere esaminati congiuntamente stante l’intima connessione dei profili di doglianza ad essi sottesi .
Ed invero, emerge dagli atti come, a seguito del provvedimento di sequestro preventivo emesso il 16 ottobre 1996 dal GIP presso l’allora Pretura circondariale di Rossano, dagli accertamenti della Capitaneria di porto era emersa la occupazione abusiva di un terreno appartenente al demanio marittimo per una superficie di circa 1000 mq., compresa nella maggiore consistenza del foglio di mappa 13, particella 1, del Comune di Rossano, occupazione realizzata mediante due manufatti in muratura ordinaria ad un piano fuori terra ad uso abitazione ed un manufatto ad un piano fuori terra ad uso deposito.
L’indagato era il de cuius degli attuali ricorrenti, NOME COGNOME successivamente deceduto in data 29 dicembre 2014.
Risulta, peraltro, che, oltre al reato di occupazione abusiva di spazio demaniale, era stato contestato anche il reato di invasione di terreni o di edifici, reato da cui gli attuali ricorrenti sono stati assolti in sede di appello in quanto, come si legge in sentenza, nessuno degli stessi aveva posto in essere la condotta in contestazione in quanto ascrivibile al solo de cuius , marito della COGNOME e padre degli altri ricorrenti, donde la loro assoluzione per non aver commesso il fatto.
I giudici di appello, diversamente, hanno motivato la conferma della sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 1161 cod. nav., richiamando giurisprudenza di questa Corte secondo cui, anche la semplice protrazione dell’abusiva occupazione da altri precedentemente iniziata configurerebbe tale illecito penale (Sez. 3, n. 25984 del 02/07/2020, COGNOME, Rv. 279901 -02). Secondo i giudici d’appello, in particolare, la circostanza che gli attuali ricorrenti avessero proposto ricorso al Tar contro l’ordinanza di demolizione dell’immobile abusivo a loro carico emessa, avrebbe dimostrato la loro volontà ed interesse a difendere il possesso dell’immobile, facendo valere proprio la loro veste di eredi di colui che risultava formalmente proprietario.
In sostanza, secondo la Corte d’appello, laddove davvero gli eredi del de cuius non avessero avuto alcuna relazione con l’immobile abusivo, sostanzialmente non avrebbero dovuto proporre ricorso assecondando l’ordine demolitorio in ragione di un abuso comunque compiuto dal padre. Quanto sopra pertanto confermerebbe, ad avviso dei giudici d’appello, la disponibilità giuridica e materiale dell’immobile abusivo da parte di tutti i ricorrenti.
Ritiene il Collegio che tale motivazione sia non soltanto manifestamente illogica ma altresì, come evidenziato dalla difesa dei ricorrenti, assolutamente apodittica.
4.1. Anzitutto, nella parte di cui travisa il contenuto del ricorso al Tar di Catanzaro in cui appare evidente l’assenza di alcuna ‘ difesa del possesso dell’immobile ‘ , non essendo pertanto logico inferire dal contenuto del predetto atto l’esistenza di un possesso e, pertanto, di una disponibilità giuridica e materiale dello spazio demaniale occupato dal de cuius .
4.2. Del resto, come emerge chiaramente dalla lettura della sentenza n. 501/2019 del Tar di Catanzaro, acquisita d’ufficio dal Collegio in quanto liberamente consultabile nella banca dati della giustizia amministrativa, il rigetto del ricorso venne motivato richiamando l’art. 35 T.U. Edilizia , secondo cui il soggetto tenuto a sostenere le spese occorrenti per la rimozione delle opere realizzate su suolo demaniale in mancanza di apposito titolo abilitante è il ‘responsabile dell’abuso’. Per tale ragione – ed in applicazione della giurisprudenza secondo cui, ai fini della individuazione dei soggetti passivamente legittimati, subentrando gli eredi nella totalità dei rapporti attivi e passivi del de cuius , il vincolo obbligatorio a provvedere alla demolizione di quanto costruito abusivamente su area demaniale non può non gravare sugli stessi (Cons. St., Sez. VI, 30/05/2011 n. 3206) -il collegio del Tar, investito della questione, ebbe a sottolineare che ‘a prescindere dalla questione concernente il possesso dell’immobile’, nel caso in esame la sanzione demolitoria era stata correttamente rivolta ai ricorrenti, quali eredi del responsabile dell’abuso.
4.3. Altrettanto illogica è poi l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui la relazione con l’immobile (e, dunque, l’asserita abusiva occupazione del medesimo da parte degli attuali ricorrenti) avrebbe dovuto fondarsi sulla presentazione del ricorso giurisdizionale, in quanto, diversamente, avrebbero dovuto prestarvi acquiescenza e, quindi, lasciare eseguire l’ordine demolitorio.
Sul punto, colgono nel segno le doglianze difensive le quali, all’evidenza, correttamente sottolineano come l’assecondare l’ordine demolitorio non sarebbe stato dal punto di vista difensivo corretto in quanto, la mancata impugnazione avrebbe significato addossarsi l’onere della demolizione e, comunque, accettare un atto amministrativo illegittimo quanto al presupposto di essere gli stessi ricorrenti gli abusivi occupanti dello spazio demaniale marittimo.
Difetterebbe, poi, sia l’elemento oggettivo, rappresentato dal mantenimento del possesso o della detenzione di fatto del bene demaniale, atteso che la affermata disponibilità giuridica dell’immobile in capo ai ricorrenti risulterebbe assolutamente contraddetta dalle dichiarazioni testimoniali richiamate dai testi di cui la difesa indica le relative trascrizioni rese nel corso delle udienze dal 2017 al 2019, come, del resto, difetterebbe anche la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato oggetto di contestazione.
Alla luce di quanto sopra, pertanto, non emergendo elementi da cui inferire una protrazione nella condotta illecita ascrivibile ai ricorrenti in data successiva a quella dell’accertamento, ossia il 27 maggio 2015, pur tenendo conto delle sospensioni intervenute nel corso del giudizio di primo grado (pari a 240 giorni), il reato oggetto di contestazione si è estinto per prescrizione alla data del 20 gennaio 2021, ossia in data antecedente alla sentenza di appello intervenuta l’8 aprile 2024.
6. L’impugnata sentenza deve essere, pertanto, annullata senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione, con conseguente effetto estensivo dell’impugnazione ex art. 587, cod. proc. pen. anche a favore dell ‘ imputata non ricorrente NOMECOGNOME essendosi il giudicato di colpevolezza formato nei suoi confronti dopo il verificarsi dell’effetto estintivo, in ragione del decorso del termine di prescrizione antecedentemente alla emissione della sentenza (Sez. U, n. 3391 del 26/10/2017, dep. 2018, P.G. in proc. COGNOME, Rv. 271539 -01).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, anche nei confronti di NOME COGNOME perché il residuo reato di cui all’art. 1161 cod. nav. è estinto per prescrizione. Così deciso, il 23/05/2025