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Occupazione Abusiva Demanio: la Cassazione conferma

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per occupazione abusiva demanio nei confronti di un soggetto che aveva continuato a occupare un’area marittima dopo la scadenza della sua concessione. La difesa, basata su una presunta proprietà privata derivante da un atto del 1919 e sulla buona fede, è stata respinta. La Corte ha ritenuto l’occupazione intenzionale, data la consapevolezza della concessione scaduta e dei falliti tentativi di riclassificare il terreno.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Occupazione Abusiva Demanio: Quando la Convinzione di Essere Proprietario non Basta

Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un caso emblematico di occupazione abusiva demanio, chiarendo i confini tra la legittima tutela della proprietà e la condotta penalmente rilevante. La vicenda riguarda un cittadino condannato per aver mantenuto l’occupazione di un’area demaniale marittima anche dopo la scadenza della sua concessione, sostenendo di esserne il legittimo proprietario in base a un antico atto notarile. La Corte, tuttavia, ha confermato la condanna, offrendo importanti principi sulla natura del reato e sull’elemento psicologico necessario per la sua configurazione.

I Fatti del Caso

L’imputato era titolare di una concessione demaniale per un’area di circa 1.057 mq, scaduta il 31 dicembre 2014. Nonostante la scadenza, egli continuava a occupare il terreno, delimitato da una recinzione, almeno fino al febbraio 2020. A sua difesa, sosteneva che l’area fosse di sua proprietà privata, in virtù di un atto di vendita del 1919 e di una successiva compravendita. Affermava di aver richiesto la concessione solo per evitare le lungaggini burocratiche necessarie a dimostrare la natura privata del bene. Il Tribunale di primo grado lo aveva tuttavia condannato al pagamento di un’ammenda, ritenendo l’occupazione arbitraria e illegittima.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su quattro argomenti principali:

1. Valutazione delle prove: La condanna si sarebbe basata unicamente sulle dichiarazioni di un testimone e sui dati del Sistema Informativo Demaniale, ignorando prove documentali a favore dell’imputato, come una correzione catastale.
2. Errata interpretazione dell’atto storico: Il giudice di merito avrebbe erroneamente ritenuto non coincidente l’area dell’atto del 1919 con quella occupata, senza considerare che la particella demaniale era contenuta in un lotto più grande di proprietà privata.
3. Natura demaniale dell’area: Contestazione sull’accertamento della natura pubblica del terreno, ritenuto non sufficientemente provato.
4. Assenza di dolo: L’imputato avrebbe agito in buona fede, convinto della natura privata del bene. La sua condotta, al massimo, sarebbe stata colposa e non dolosa, requisito essenziale per il reato di occupazione abusiva demanio.

La Decisione della Corte sull’Occupazione Abusiva Demanio

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato in tutti i suoi motivi. La sentenza impugnata è stata considerata logica e coerente con i principi giuridici applicabili.

La Natura Demaniale del Bene

I giudici hanno confermato che la natura demaniale dell’area era stata correttamente accertata. L’atto notarile del 1919, su cui si basava la difesa, era stato ritenuto inefficace a provare la sdemanializzazione, in quanto prevedeva l’apposizione di termini lapidei per definire i confini, attività mai eseguita. Inoltre, la Corte ha ribadito un principio fondamentale: i dati catastali hanno una funzione prevalentemente fiscale e non costituiscono prova piena della proprietà, potendo al massimo valere come semplici indizi se non supportati da altri elementi più qualificanti. Anche il tentativo di ottenere una “sclassifica” amministrativa dell’area non aveva avuto successo.

L’Elemento Soggettivo: Il Dolo

Il punto cruciale della decisione riguarda l’elemento soggettivo. Il reato di occupazione arbitraria è una contravvenzione che richiede il dolo, ossia la precisa consapevolezza di occupare abusivamente uno spazio demaniale. La Corte ha stabilito che l’imputato agiva con piena consapevolezza. Egli sapeva che la concessione era scaduta il 31 dicembre 2014 e che era in corso un lungo contenzioso sulla natura dell’area. Inoltre, il Comune gli aveva notificato l’avvio del procedimento di decadenza e richiesto il pagamento dei canoni pregressi. L’imputato stesso, nel marzo 2015, aveva chiesto il rinnovo della concessione, manifestando la sua disponibilità a pagare i canoni dovuti. Questi elementi, secondo la Corte, dimostrano inequivocabilmente la sua consapevolezza di occupare l’area senza un titolo valido, integrando pienamente il dolo richiesto dalla norma.

le motivazioni

La Corte Suprema ha motivato la sua decisione sottolineando che l’occupazione protrattasi oltre la scadenza del titolo concessorio configura di per sé il reato, a prescindere dall’esistenza di una pregressa concessione o dalla presentazione di un’istanza di rinnovo. La persistenza nell’occupazione, unita alla piena consapevolezza della scadenza del titolo e delle comunicazioni intercorse con l’amministrazione pubblica, ha reso la condotta “arbitraria” e quindi penalmente rilevante. La lettura alternativa delle prove proposta dalla difesa è stata respinta come un tentativo inammissibile di rivalutare il merito dei fatti in sede di legittimità. Infine, la Corte ha respinto anche l’eccezione di prescrizione, chiarendo che, trattandosi di un reato permanente cessato nel 2020, si applica la normativa che sospende il corso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado.

le conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio cruciale in materia di occupazione abusiva demanio: la convinzione soggettiva di essere proprietario di un’area non è sufficiente a escludere la responsabilità penale quando si è consapevoli di non avere un titolo amministrativo valido per l’occupazione. L’aver interagito con la Pubblica Amministrazione per ottenere o rinnovare una concessione costituisce una prova forte della consapevolezza della natura demaniale del bene, rendendo dolosa la successiva occupazione senza titolo. La decisione serve da monito per chiunque occupi aree demaniali, sottolineando che le dispute sulla proprietà devono essere risolte nelle sedi appropriate, senza che ciò autorizzi a persistere in una condotta illecita.

Continuare a occupare un’area demaniale dopo la scadenza della concessione è reato?
Sì, la Corte di Cassazione conferma che il reato di abusiva occupazione di spazio demaniale marittimo si configura anche nel caso in cui l’occupazione si protragga oltre la scadenza del titolo autorizzativo, a nulla rilevando la tempestiva presentazione di un’istanza di rinnovo.

Basta credere che il terreno sia privato per evitare una condanna per occupazione abusiva demanio?
No. La Corte ha ritenuto l’imputato colpevole perché, nonostante la sua convinzione, era pienamente consapevole che la sua concessione era scaduta e che esisteva un contenzioso sulla natura del terreno. Agire nonostante questa consapevolezza integra il dolo richiesto dalla legge, rendendo irrilevante la sua personale convinzione di essere nel giusto.

Una rettifica catastale può provare la proprietà privata di un’area contesa con il demanio?
No. La Corte ha ribadito che i registri catastali hanno principalmente finalità fiscali. In assenza di altri elementi di prova più significativi, la mera annotazione catastale non è sufficiente a dimostrare il diritto di proprietà e ha solo il valore di un semplice indizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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