Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 26400 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 26400 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Siena il 27/5/1959
avverso la sentenza del 16/12/2024 della Corte di appello di L’Aquila; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso;
udite le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 16/12/2024, la Corte di appello di L’Aquila confermava la pronuncia emessa il 13/2/2024 dal Tribunale di Avezzano, con la quale NOME COGNOME era stato giudicato colpevole del delitto di cui all’art. 10, d. Igs. 1 marzo 2000, n. 74, e prosciolto dalle ulteriori contestazioni di cui agli artt. 4 e 5, stesso decreto.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i seguenti motivi:
prescrizione del reato maturata prima della sentenza di appello. La Corte di merito, nel calcolo della prescrizione, non avrebbe correttamente individuato il dies a quo, identificandolo nella data della verifica fiscale (15/4/2015), anziché nel luglio 2011, data ultima di consumazione dei reati. Nel calcolo, peraltro, non potrebbe esser applicata la recidiva, erroneamente contestata, stante la sua esclusione per effetto dell’affidamento ai servizi sociali, della relativa normativa e della documentazione prodotta;
illogicità ed apparenza della motivazione. La sentenza avrebbe confermato la condanna con argomenti viziati e con premesse che sconfesserebbero le conclusioni: in particolare, il ricorrente non avrebbe mai tenuto fatture e scritture contabili, tanto da non permettere di ricostruire la storia reddituale della società, ma, al tempo stesso, le avrebbe occultate e nascoste, venendo per ciò condannato. La decisione, inoltre, si fonderebbe su motivazione contraddittoria e presuntiva, su argomenti di puro genere ed asserzioni apodittiche, che rappresenterebbero un travisamento dei fatti per invenzione;
travisamento della prova e delle testimonianze; vizio di motivazione. La Corte di appello avrebbe negato rilevanza alla deposizione del teste Manca sul presupposto che questi non fosse un dipendente della società, ma un tecnico, e così evidenziando un “travisamento probatorio”: tale affermazione, infatti, non sarebbe sostenuta da prove certe, ed anzi risulterebbe confutata dai testi escussi, così imponendosi ulteriormente l’annullamento della sentenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta manifestamente infondato.
Con riguardo al primo motivo, già sottoposto alla Corte di appello, il Collegio rileva che la sentenza non merita censura: in particolare, è stato affermato che il delitto di cui all’art. 10, d. Igs. n. 74 del 2000, nella specie dell’occultament costituisce fattispecie permanente, che si consuma alla data dell’accertamento fiscale, compiuto il 15/4/2015. Questa Corte, infatti, ha ripetutamente sostenuto che la condotta del reato in oggetto può consistere sia nella distruzione che nell’occultamento delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari, con conseguenze diverse rispetto al momento consumativo, giacché la distruzione realizza un’ipotesi di reato istantaneo, che si consuma con la soppressione della documentazione, mentre l’occultamento – consistente nella temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione da parte degli organi verificatori – costituisce un reato permanente, che si protrae sino al momento
dell’accertamento fiscale, dal quale soltanto inizia a decorre il termine di prescrizione (Sez. 3, n. 14461 del 25/5/2016, COGNOME, Rv. 269898. Successivamente, tra le molte non massimate, Sez. 7, n. 11555 del 28/2/2025, COGNOME; Sez. 3, n. 9129 del 14/1/2025, COGNOME, Sez. 3, n. 44959 dell’8/10/2024, Tericci).
4.1. Allo stesso art. 10, dunque, ben può essere applicato l’art. 17, d. Igs. n. 74 del 2000, nel testo novellato dal di. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla I. 14 settembre 2011, n. 148, che aumenta di un terzo i termini di prescrizione per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 del decreto n. 74 esame, con l’effetto che tale termine è pari a 10 anni, ai sensi degli artt. 157-161 cod. pen., salve eventuali sospensioni.
4.2. Alla data della pronuncia di appello, 16/12/2024, pertanto, il reato non era prescritto. In senso contrario, peraltro, risulta del tutto generica ed evidentemente fattuale, dunque inammissibile, l’affermazione difensiva secondo cui i reati sarebbero stati “compiuti sino a luglio 2011 (come si evince dalla dichiarazione dei testi escussi)”; irrilevante, invece, è il riferimento alla recidi (che non dovrebbe essere considerata), atteso che la stessa aggravante soggettiva è stata esclusa già con la sentenza di primo grado.
Anche il secondo motivo di ricorso risulta inammissibile.
5.1. In primo luogo, la Corte evidenzia che nessuna contraddizione si riscontra tra i capi di imputazione originariamente in rubrica, quali quelli di cui agli artt. 5 e 10, d. Igs. n. 74 del 2000. In particolare, e diversamente da quanto affermato nel ricorso, al COGNOME – quale legale rappresentante della “RAGIONE_SOCIALE – è stato contestato di aver presentato una dichiarazione infedele e di non averne presentate altre (condotte dalle quali è stato a vario titolo prosciolto), ed anche di aver occultato le scritture contabili di cui è obbligatoria la conservazione. Ebbene, i primi due reati e la successiva fattispecie di cui all’art. 10 sono del tut compatibili, sotto un profilo fattuale e logico, riguardando condotte diverse ed oggetto diverso (gli uni, le dichiarazioni fiscali; l’altra, le scritture contab dunque senza alcuna necessaria interferenza.
5.2. Il motivo di ricorso, peraltro, risulta del tutto generico nel suo sviluppo censurando in termini vaghi una presunta contraddittorietà della motivazione, che sarebbe sostenuta da “argomentazioni di puro genere” ed “asserzioni apodittiche prive di efficacia dimostrativa”, tanto da rasentare “un travisamento dei fatti per invenzione”.
5.2.1. Questa assoluta genericità, pertanto, esclude in sé un qualunque confronto con la motivazione della sentenza, sebbene doveroso, e dunque con gli argomenti spesi dalla Corte di appello, del tutto solidi, fondati su emergenze oggettive e – si ribadisce – di fatto non contestati. In particolare, la pronuncia
ribadendo quanto già affermato dal primo Giudice, ha evidenziato che l’imputato, in occasione della verifica fiscale sulla società, era stato invitato ad esibire l documentazione contabile, ed aveva così chiesto un termine per consultare il proprio commercialista (sostenendo di aver consegnato a questi la contabilità); successivamente, aveva affermato che il professionista gli aveva detto di avergli già consegnato libri e registri, che però lo stesso ricorrente non ricordava dove li avesse riposti. Da ciò, motivatamente, il profilo oggettivo del reato (mentre quello psicologico è estraneo al ricorso), dunque tratto non da mere congetture, ma da evidenti elementi di fatto.
L’impugnazione, infine, risulta inammissibile anche sulla terza censura, con la quale si contesta un travisamento probatorio in cui la sentenza sarebbe incorsa con riguardo alla deposizione del teste COGNOME.
6.1. Premesso che dal motivo non è dato comprendere in che termini tale travisamento si sarebbe consumato, la Corte osserva comunque che entrambe le sentenze hanno adeguatamente esaminato tale deposizione a difesa, evidenziandone con argomento logico e congruo l’irrilevanza ai fini del giudizio: il Manca, in particolare, era un tecnico che, “limitatamente ad un importante lavoro edile, aveva avuto un rapporto di collaborazione con l’attuale imputato, rapporto che però era terminato verso la fine dell’anno 2009 in coincidenza della conclusione dell’opera”. Ancora con valutazioni del tutto adeguate, la Corte di appello adunque precisato che questa deposizione non era in grado di fornire alcun elemento utile per accertare fino a quando la società fosse rimasta operativa. E con la precisazione, in ogni caso, che tale attività doveva ritenersi provata quantomeno fino al 2012, in ragione delle movimentazioni bancarie (sul cui merito la sentenza motiva a pag. 4), e che la stessa attività risultava comunque irrilevante nell’ottica dell’art. 10 contestato, in quanto la documentazione avrebbe dovuto esser tenuta fino alla cancellazione della società, pacificamente avvenuta nel 2015.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativannente fissata in euro 3.000,00.
P.Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 4 giugno 2025
Il Con gliere estensore
Il Pre ente