Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 35692 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 35692 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME NOME a TEZZE SUL BRENTA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 06/06/2024 della CORTE APPELLO di VENEZIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Premesso che è stata impugnata la sentenza della Corte di appello di Venezia del 6 giugno 2024, che ha confermato la decisione resa dal Tribunale di Vicenza il 17 dicembre 2020, con la quale NOME COGNOME era stato condanNOME alla pena, condizionalmente sospesa, di anni 1 e mesi 6 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 10 del d. Igs. n. 74 del commesso in Cartigliano e Tezze sul Brenta dal 2011 al 2016 e accertato nel giugno 2017.
Letta la memoria trasmessa il 23 maggio 2025 dall’AVV_NOTAIO, difensore di fiducia dell’imputato, il quale ha chiesto di ritenere ammissibile il ricorso e pronunciarsi sul merito stesso, ribadendo in particolare gli argomenti riferiti al primo motivo di ricorso.
Rilevato che il primo motivo del presente ricorso, con il quale si censura la conferma del giudiz di colpevolezza dell’imputato, è manifestamente infondato, in quanto volto a prefigurare una rivalutazione alternativa delle fonti probatorie, a fronte dell’adeguata ricostruzione operata giudici di merito, i quali hanno valorizzato gli accertamenti espletati dalla Guardia di Finanza Caselle Torinese, da cui è emerso che le società RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, di cui NOME COGNOME era legale rappresentante, hanno occultato, rispetto agli anni di imposta compresi dal 2011 al 2016, una pluralità di fatture attive, in modo da ostacolare la ricostruzio del volume di affari, avendo dovuto a tal fine la Guardia di Finanza porre in essere una complessa attività di accertamento, resa possibile anche dalla collaborazione dei clienti delle società RAGIONE_SOCIALE che hanno prodotto le proprie copie delle fatture mancanti.
Richiamata l’affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 41683 del 02/03/2018, Rv. 274862 02), secondo cui, in tema di reati tributari, l’impossibilità di ricostruire il reddito o d’affari derivante dalla distruzione o dall’occultamento di documenti contabili, element costitutivo del reato di cui all’art. 10 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non deve essere intes senso assoluto, sussistendo anche quando è necessario procedere all’acquisizione della documentazione mancante presso terzi o aliunde.
Osservato che il secondo motivo di ricorso, con cui la difesa censura la mancata applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, è manifestamente infondato, quanto riproposítivo di un tema già adeguatamente trattato nella sentenza impugnata (pag. 6), nella quale, in modo pertinente, è stata sottolineata, in senso ostativo all’applicazione dell 131 bis cod. pen., la circostanza che le fatture occultate o distrutte dall’imputato sono state ol una trentina e sono state emesse in un esteso arco temporale (che va dal 2011 al 2016), per un totale di tributi evasi pari, con riferimento alle due società, a circa 45.000 euro.
Evidenziato che la manifesta infondatezza connota anche il terzo motivo di ricorso, con cui la difesa contesta la mancata concessione dell’attenuanti generiche, avendo al riguardo la Corte di appello rimarcato, in maniera non irragionevole, l’assenza di elementi suscettibili di posit
apprezzamento, non avendo l’imputato tenuto alcun comportamento latamente riparatorio, per cui la pena inflitta dal primo giudice, peraltro fissata in misura corrispondente al minimo edit e condizionalmente sospesa, è stata legittimamente confermata.
Ritenuto che, rispetto a ogni tema dedotto, la motivazione della sentenza impugnata risulta sorretta da considerazioni razionali, cui la difesa contrappone differenti apprezzamenti di merit che tuttavia esulano dal perimetro del giudizio di legittimità (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2 dep. 2021, Rv. 280601).
Considerato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e rilevato che al declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere d pagamento delle spese del procedimento, nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 30 maggio 2025.