Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 12403 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 12403 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Legnano il 09/05/1970
avverso la sentenza del 30/04/2024 della Corte di appello di Trieste
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria redatta ai sensi dell’art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, d Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; lette la memoria e le conclusioni del difensore, avv. NOME COGNOME del foro di Pordenone, che insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, in parziale riforma della decisione emessa dal G.u.p. del Tribunale di Pordenone all’esito del giudizio abbreviato e appellata dall’imputato, la Corte di appello di Trieste ha assolto NOME COGNOME dalle condotte commesse nell’anno 2012 e dalla omessa tenuta del registro i.v.a. perché il fatto non sussiste, e, conseguentemente, ha rideterminato in un anno di reclusione la pena per le residue condotte ex art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000, nel resto confermando la pronuncia impugnata.
Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, per il ministero del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
2.1. Con un primo motivo, lamenta il vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza del dolo specifico di evadere le imposte. Argomenta il difensore che è censurabile la motivazione, laddove ha desunto la prova del dolo specifico dalla produzione di reddito e del relativo volume d’affari, anche considerando che l’imputato nutriva la fondata previsione di non dovere versare alcunché all’erario a titolo di conguaglio, posto che egli produceva ricavi modesti sottoposti a ritenuta d’acconto e che poteva beneficiare della detrazione di imposta nella misura massima o prossima al massimo, come ampiamente illustrato nei motivi di appello, al proposito largamente riprodotti nel ricorso (p. 8-18), e che si è adoperato concretamente per fornire alla G.d.F. i nominativi dei clienti, in modo da recuperare presso costoro i documenti contabili da lui emessi, elemento ritenuto incompatibile con il dolo di evasione.
2.2. Con un secondo motivo, deduce la violazione di legge con riferimento all’art. 131-bis cod. pen., posto che, per affermare la non occasionalità della condotta, non è sufficiente, come ha fatto la Corte di merito, valorizzare il precedente penale, peraltro di indole differente, e considerando che la continuazione non è incompatibile con il riconoscimento della causa di non punibilità in esame e che, nel caso di specie, il danno è estremamente ridotto, il dolo non risulta particolarmente intenso e l’imputato ha collaborato con la RAGIONE_SOCIALE. per ottenere dai clienti copia di tutte le ricevute per pagamenti provvigionali.
2.3. Con un terzo motivo, eccepisce l’inosservanza o l’erronea applicazione degli agli artt. 132, 81 cod. pen. e 597 cod. proc. pen. Espone il difensore che il g.u.p., pur dando atto di infliggere la pena nel minimo edittale, non ha considerato la cornice edittale vigente al momento di fatti, ma quella, più severa, introdotta dalla I. n. 157 del 2019; allo stesso modo, la Corte di merito, all’atto di rideterminare la pena, ha inflitto, come pena base, due anni di reclusione, in
violazione dell’art. 597 cod. proc. pen. e senza motivare lo scostamento dal minimo, né individuare la pena più grave.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato in relazione a un profilo dedotto con il terzo motivo.
2. Il primo motivo è inammissibile.
Quanto all’accertamento dell’elemento soggettivo, si rammenta che il dolo specifico richiesto per la sussistenza del delitto di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 d 2000 presuppone la prova della produzione di reddito e del volume di affari, che può desumersi, in base a norme di comune esperienza, dal fatto che l’agente sia titolare di un’attività commerciale (Sez. 3, n. 51836 del 03/10/2018, M., Rv. 274110; Sez. 3, n. 20786 del 18/04/2002, Russo, Rv. 221616).
Nel caso di specie, espressamente richiamando e facendo corretta applicazione del principio appena evocato, la Corte di merito ha rettamente ritenuto che la condotta di occultamento delle scritture contabili obbligatorie fosse stata realizzata al fine di evasione delle imposte, desumendo la prova della produzione di reddito e del volume di affari dal rinvenimento delle fatture commerciali emesse e dai pagamenti effettuati dai clienti, nonché, come già evidenziato dal Tribunale, dalla sistematicità della dispersione dei documenti contabili.
A fronte di tale motivazione, la prospettazione difensiva, secondo cui il COGNOME – che non ha affatto negato di avere svolto attività commerciale riteneva di non dovere versare alcunché all’erario a titolo di conguaglio, appare il frutto di un intimo convincimento dell’imputato, che non trova riscontro nei dati probatori, e, che per di più, appare oltretutto arbitraria, dal momento che solo alla fine del periodo di esercizio – e certamente non prima – è dato sapere se il contribuente versi in una situazione di credito di imposta, e considerando che, nel caso in esame, la condotta di occultamento ha riguardato tutte le fatture emesse nel periodo dal 2013 al 2017.
3. Il secondo motivo è infondato.
3.1. Anzitutto, deve evidenziarsi un errore nel capo di imputazione, laddove si è contestata un’ipotesi di reato continuato ex art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000 sul presupposto che sono stati occultati o distrutti documenti contabili riferiti a più annualità di imposta.
Per contro, a differenza di altre fattispecie contemplate dal d.lgs. n. 74 del 2000, nella previsione dell’art. 10 la condotta non è correlata all’annualità di
imposta, GLYPH sicché GLYPH il GLYPH reato GLYPH ha GLYPH natura GLYPH unitaria, GLYPH rimanendo GLYPH integrato dall’occultamento o distruzione di una o più scritture contabili o documenti obbligatori, con la conseguenza che l’eventuale pluralità di documenti occultati o distrutti incide solo sul piano sanzionatorio, alla luce dei parametri di cui all’ar 133, comma primo, n. 1 e n. 2 cod. pen. (Sez. 3, n. 38375 del 09/07/2015, COGNOME, Rv, 264761)
3.2. Alla luce di tale premessa, sono evidentemente fuori fuoco le argomentazioni relative alla compatibilità della causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen. con l’istituto della continuazione, laddove, con riferimento all’unico reato, i giudici di merito hanno escluso la particolare tenuità dell’offesa, valorizzando sia la pluralità delle annualità di imposta, in relazione alle quale la documentazione contabile è stata occultato e/o distrutta, sia la circostanza che la condotta ha riguardato tutte le fatture di vendita e di acquisto emesse nel periodo di imposta dal 2013 al 2017.
Il terzo motivo è fondato per i motivi e nei limiti di seguito chiariti.
4.1. In primo luogo, va ribadito che, trattandosi di un reato permanente, con riferimento alla condotta di occultamento, nell’ipotesi di condotta protrattasi unitariamente sotto l’imperi° di due diverse leggi, l’ultima delle quali abbia inasprito il regime sanzionatorio, va applicata solo la disposizione vigente alla data della cessazione della permanenza (Sez. 3, n. 43597 del 09/09/2015, Fiorentino, Rv. 265261).
Nel caso in esame, pertanto, correttamente la Corte di merito ha considerato la cornice edittale introdotta dall’art. 6 d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, in vigore al momento della cessazione della permanenza, la quale comminava la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni.
4.2. Ciò posto, si osserva che la pena base è stata fissata in misura di poco superiore al minimo edittale, ossia in due anni di reclusione, pena che la Corte di merito ha espressamente “ritenuta congrua ex artt. 132 e 133 cod. pen.” (cfr. p. 10 della sentenza impugnata); tale locuzione soddisfa certamente il prescritto onere motivazionale, dovendosi ribadire che, per uniforme e costante giurisprudenza, il giudice ottempera all’obbligo di cui all’art. 125, comma 3, cod. proc. pen. ove adoperi espressioni come “pena congrua”, “pena equa”, “congruo aumento”, laddove la pena inflitta non si discosti la pena dai minimi edittali (Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007, COGNOME, Rv. 237402), come, appunto, nel caso qui al vaglio.
4.3. Trattandosi, come sopra si è chiarito, di un unico reato e non di un reato continuato, deve conseguentemente essere eliminato l’aumento di pena inflitto dalla Corte d’appello ai sensi dell’art. 81 cpv. cod. pen., co
rideterminazione della sanzione nella misura finale di mesi dieci e giorni venti di reclusione.
Per i motivi indicati, la sentenza impugnata deve perciò essere annullata senza rinvio limitatamente all’aumento di pena per la continuazione, aumento che elimina, così rideterminando la pena di mesi dieci e giorni venti di reclusione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all’aumento di pena per la continuazione, aumento che elimina, così rideterminando la pena di mesi dieci e giorni venti di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 05/02/2025.