Occultamento scritture contabili: quando il reato sussiste anche con reddito ricostruibile
L’occultamento delle scritture contabili rappresenta una grave violazione fiscale, punita penalmente per la sua capacità di ostacolare l’attività di accertamento dell’amministrazione finanziaria. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: il reato sussiste anche quando il Fisco riesce, con difficoltà, a ricostruire il volume d’affari del contribuente attraverso fonti esterne. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I fatti di causa
Un imprenditore individuale veniva condannato in primo e secondo grado alla pena di due anni di reclusione per il reato previsto dall’art. 10 del D.Lgs. 74/2000. L’accusa era quella di aver occultato una serie di fatture attive relative agli anni d’imposta dal 2013 al 2016, con lo scopo di evadere le imposte.
L’attività investigativa della Guardia di Finanza si era rivelata decisiva. Non potendo reperire la documentazione contabile presso l’impresa, gli investigatori avevano avviato un’articolata attività ispettiva aliunde, ovvero da fonti esterne. Utilizzando i dati presenti nella banca dati del cosiddetto ‘spesometro’, erano stati individuati i clienti dell’imprenditore. Successivamente, tramite l’invio di questionari a questi ultimi, era stato possibile riscontrare l’esistenza delle fatture emesse e mai dichiarate, ricostruendo così il reale volume d’affari occultato.
Il ricorso per Cassazione e l’occultamento scritture contabili
L’imputato proponeva ricorso per Cassazione, contestando la conferma della sua colpevolezza. Il motivo del ricorso, tuttavia, è stato giudicato dalla Suprema Corte come manifestamente infondato. Secondo gli Ermellini, la difesa mirava a una non consentita rivalutazione delle prove e dei fatti, compito che spetta esclusivamente ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello) e non alla Corte di Cassazione, la quale si occupa di verificare la corretta applicazione della legge.
I giudici di merito avevano, infatti, adeguatamente motivato la loro decisione, basandosi sulla solida ricostruzione operata dalla Guardia di Finanza, che dimostrava in modo inequivocabile la condotta illecita dell’imprenditore.
Le motivazioni della Suprema Corte
La Corte di Cassazione ha colto l’occasione per ribadire un principio giuridico consolidato in materia di reati tributari. Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione dell’elemento costitutivo del reato di occultamento scritture contabili: l’impossibilità di ricostruire il reddito o il volume d’affari.
Richiamando un proprio precedente (sentenza n. 41683/2018), la Corte ha specificato che tale impossibilità non deve essere intesa in senso ‘assoluto’. Il reato si configura non solo quando la ricostruzione è totalmente impedita, ma anche quando l’occultamento dei documenti costringe gli organi accertatori a un’attività di indagine complessa e dispendiosa, basata sull’acquisizione di documentazione presso terzi o, appunto, aliunde.
Lo scopo della norma penale è proprio quello di tutelare il bene giuridico della trasparenza fiscale e di sanzionare chi, con la propria condotta, pone un ostacolo significativo all’attività di controllo. Il fatto che la Guardia di Finanza sia alla fine riuscita a ricostruire i ricavi non cancella l’illiceità della condotta, che ha comunque reso l’accertamento più difficile e laborioso.
Le conclusioni
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Tale decisione comporta, per legge (art. 616 c.p.p.), la condanna del ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in tremila euro.
La pronuncia in esame conferma con chiarezza che nascondere i documenti contabili è una strategia perdente e penalmente rilevante. Il delitto di occultamento si perfeziona con la condotta stessa di nascondere le scritture, a prescindere dal successo finale degli investigatori nel ricostruire i fatti. L’insegnamento è netto: la trasparenza e la corretta tenuta della contabilità sono l’unica via per evitare gravi conseguenze, sia fiscali che penali.
Il reato di occultamento di scritture contabili sussiste anche se il Fisco riesce a ricostruire il reddito da altre fonti?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’impossibilità di ricostruire il reddito o il volume d’affari non deve essere intesa in senso assoluto. Il reato si configura anche quando la ricostruzione è possibile, ma richiede un’attività di acquisizione di documentazione presso terzi o da altre fonti (aliunde), poiché lo scopo della norma è punire chi ostacola l’attività di accertamento.
Quali sono le conseguenze se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Secondo l’art. 616 del codice di procedura penale, la declaratoria di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie con una sanzione di 3.000 euro.
Come è stato possibile per la Guardia di Finanza scoprire le fatture occultate?
La Guardia di Finanza ha ricostruito il volume d’affari dell’imputato attraverso un’attività ispettiva complessa. Ha utilizzato la banca dati dello ‘spesometro’ per identificare i clienti dell’impresa e ha poi inviato loro dei questionari per ottenere riscontri contabili sulle fatture emesse, bypassando così l’occultamento dei documenti originali.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 32406 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 32406 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a SAVA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/09/2024 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Premesso che è stata impugnata la sentenza della Corte di appello di Lecce del 23 settembre 2024, che ha confermato la decisione resa dal Tribunale di Lecce il 5 ottobre 2022, con la quale NOME COGNOME era stato condannato alla pena di due anni di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 10 del d. Igs. n. 74 del 2000; fatto accertato in Maglie il 3 2020.
Rilevato che l’unico motivo del presente ricorso, con il quale si censura la conferma del giudizi di colpevolezza dell’imputato, è manifestamente infondato, in quanto volto a prefigurare una non consentita rivalutazione alternativa delle fonti probatorie, a fronte dell’adeguata ricostruzi operata dai giudici di merito, i quali hanno valorizzato gli accertamenti espletati dalla Guardia Finanza, da cui è emerso che NOME COGNOME, quale titolare della sua omonima ditta individuale, ha occultato, rispetto agli anni di imposta compresi dal 2013 al 2016, una pluralità di fatt attive, in modo da ostacolare la ricostruzione del volume di affari, avendo dovuto a tal fine Guardia di Finanza porre in essere un’articolata attività ispettiva, resa possibile dai risc contabili effettuati tramite i questionari trasmessi ai soggetti economici beneficiari delle f emesse dalla ditta di COGNOME, individuati attraverso la banca dati del cd. spesometro.
Richiamata l’affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 41683 del 02/03/2018, Rv. 274862 02), secondo cui, in tema di reati tributari, l’impossibilità di ricostruire il reddito o i d’affari derivante dalla distruzione o dall’occultamento di documenti contabili, element costitutivo del reato di cui all’art. 10 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non deve essere intes senso assoluto, sussistendo anche quando è necessario procedere all’acquisizione della documentazione mancante presso terzi o alfunde, come appunto è avvenuto nel caso di specie.
Considerato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e rilevato che all declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere d pagamento delle spese del procedimento, nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 13 giugno 2025.