Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 14634 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 14634 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nata a Torino il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/01/2023 della Corte d’appello di Torino visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 23 gennaio 2023, la Corte d’appello di Torino ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Torino, assolvendo l’imputata dal reato di cui all’art. 5 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 (capo 1) perché il fatto non sussiste e ha rideterminato la pena, nella misura di anni uno e mesi due di reclusione, in relazione ai reati di cui all’art. 5 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 (capi e 6) e di cui all’art. 10 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 (capo 7), riducendo altresì la disposta confisca fino alla concorrenza di C 140.124,12.
L’imputata è stata condannata per i reati di cui all’art. 5 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, al fine di evadere le imposte indirette, per avere omesso la presentazione delle dichiarazioni fiscali a fini Iva negli anni di imposta 2013 e 2016, con evasione di imposta superiore alla
soglia di punibilità per C 70.660,14, per l’anno di imposta 2013, e €69.464,37 per l’anno di imposta 2016, nonché, nella medesima qualità, per avere occultato le scritture contabili e i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, al fine d evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto o di consentire l’evasione a terzi, con riferimento alle fatture attive meglio indicate nel capo di imputazione, in modo da non consentire la ricostruzione degli affari e il volume degli stessi, fatto accertato in Torino il 29/10/2018.
Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputata, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limit strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
2.1. Violazione di legge ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione all’affermazione della responsabilità penale in ordine al capo 3).
La corte territoriale avrebbe con motivazione errata in diritto e illogica respinto la doglianza difensiva relativa all’esclusione, dal computo del superamento della soglia di punibilità, delle fatture emesse da gennaio ad ottobre 2013 nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE in concordato preventivo, non avendo tenuto conto, i giudici territoriali, del mancato pagamento delle relative fatture che sono state inserite tra i crediti chirografari del pi concordatario. Donde la necessità in questa sede di procedere alla rideterminazione delle somme di cui al capo 3) dell’imputazione espungendo il relativo importo a fini iva delle fatture attive emesse nei confronti della societ RAGIONE_SOCIALE con imponibile pari a C 36.000,00 di cui C 7.560,00 di iva. Parimenti la sentenza impugnata risulterebbe altresì viziata nella parte in cui non avrebbe computato, tra i costi, la somma costituita dall’esborso sostenuto per i pagamenti effettuati, nell’anno d’imposta 2013, in favore del signor COGNOME per prestazioni professionali, per imponibile pari a C 65.753,29 di cui iva pari a C 14.465,72. La sentenza impugnata non avrebbe calcolato dette somme poiché il pagamento non era stato dichiarato sebbene effettuato. La Corte d’appello di Torino con l’impugnata sentenza non si sarebbe attenuta ai principi reiteratamente espressi, anche da fonte sovranazionale, secondo cui in presenza di mere violazioni cosiddette formali sussisterebbe comunque il diritto alla detrazione da cui la conseguenza in punto di diritto che la Corte avrebbe erroneamente ritenuto di non poter computare la predetta somma a fini iva per la sola esclusiva ragione che si tratterebbero di somme non contabilizzate.
2.2. Violazione di cui all’art. 606, comma 1 lett. d) cod.proc.pen., vizio d motivazione in relazione alla contraddittorietà della motivazione per avere la corte territoriale immotivatamente respinto la richiesta di rinnovazione dell’istruttori
dibattimentale per sentire il sig. COGNOME NOME il quale avrebbe potuto confermare l’errore del software che aveva determinato l’emissione della fattura n. 15 del 2016, emessa nei confronti del predetto il cui impotto di imponibile era erroneamente indicato in misura superiore a quelle reale, in relazione all’omessa presentazione della dichiarazione di cui al capo 6).
2.3. Violazione di cui all’art. 606, comma 1 lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione all’affermazione di responsabilità di cui al capo 7) in relazione alla sussistenza del dolo specifico di cui all’art. 10 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74. La corte territoriale avrebbe ritenuto sussistente il dolo del reato in quanto in re ipsa nella condotta di occultamento della documentazione contabile. Trattasi di motivazione errata in diritto, oltretutto la ricostruzione del volume degli affari e del reddito e stata possibile. Illogica sarebbe finanche la motivazione della sentenza là dove, a fronte di condotta alternativa di distruzione/occultamento, avrebbe ritenuto sussistente la seconda, ritenendo a sua volta sufficiente la mancata esibizione, mentre la fattispecie incriminatrice richiede una condotta commissiva e non meramente omissiva qual è la mancata esibizione della documentazione contabile.
Il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo e secondo motivo di ricorso sono inammissibili, in quanto il difensore ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata.
Va anzitutto rilevato che la difesa ha incentrato le censure in punto dimostrazione del superamento della soglia di punibilità, non essendo in discussione la materiale omissione della dichiarazione a fini Iva per gli anni 2013 (capo 3) e per l’anno 2016 (capo 6).
Quanto al capo 3) alla ricorrente è contestata l’evasione iva, come ridotta in grado di appello, per € 70.660,14 (a fronte di una contestazione originaria di € 86.116,04, già ridotta in primo grado a € 74.265,00).
Quanto al primo profilo, i giudici del merito hanno correttamente ricompreso nel computo dell’iva evasa, ai fini del superamento della soglia di punibilità, l’importo dell’iva delle fatture attive emesse nei confronti della societ RAGIONE_SOCIALE, rilevando che la COGNOME era stata inserita tra i creditori chirografari, nel concordato preventivo della società RAGIONE_SOCIALE, con provvedimento successivo all’anno di imposta 2013 (successivo di ben due anni essendo il decreto di ammissione del 17/05/2015), a cui si riferiscono le fatture, di talchè la stessa
NOME avrebbe dovuto in allora, cioè nel 2013, computare tali fatture ai fini della presentazione della dichiarazione fiscale, non venendo qui in rilievo, come assume la difesa, il mancato pagamento delle stesse trattandosi, il reato di cui all’art. d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, di mero reato dichiarativo che si consuma nell’omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali, entro il maggior termine, con evasione di imposte superiore, per ciascuna di queste, di C 50.000,00.
Una volta che un soggetto, sia esso persona fisica o giuridica, produce reddito, questi è tenuto alla presentazione della dichiarazione e l’omissione di questa è punita se l’imposta evasa è superiore alla soglia di legge.
Correttamente poi i giudici del merito hanno escluso, ai fini della determinazione del superamento della soglia di punibilità, quali costi sostenuti, gli esborsi in favore del sig. COGNOME, coniuge della ricorrente, costituenti pagamenti per prestazioni professionali non dichiarati e non contabilizzati.
In disparte la considerazione che anche a voler accedere alla tesi difensiva, sottraendo i costi per C 65.753,29 di imponibile, con iva pari a C 14.753,29, vi sarebbe comunque il superamento della soglia di punibilità (70.660,1414.753,29) essendo l’iva evasa pari a C 56.194,42, la censura appare comunque manifestamente infondata.
Non è pertinente, infatti, il richiamo ai principi sovranazionali in tema d violazioni formali ai fini della detrazione dei costi, ma, invece, il diverso princi reiteratamente espresso dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui i costi non contabilizzati non possono venire in rilievo salve allegazioni fattuali, da cu desumere la certezza o, comunque, il ragionevole dubbio della loro esistenza (Sez. 3, n. 8700 del 16/01/2019, COGNOME, Rv. 275856 – 01; Sez. 5, n. 40412 del 13/06/2019, COGNOME, Rv. 277120 – 01), circostanza questa esclusa dai giudici del merito che hanno rilevato come si trattava di pagamenti non dichiarati (in nero) e non risultava che il soggetto percettore delle somme di denaro avesse, a sua volta, contabilizzato e versato l’Iva.
Il secondo motivo di ricorso / con il quale si deduce la mancanza k assunzione di una prova decisiva e di vizio di motivazione in relazione al mancato accoglimento della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per l’assunzione della testimonianza di COGNOME NOME lè manifestamente infondato.
Esso poggia su un assunto che è in contrasto con l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità secondo cui l’error in procedendo, in cui si sostanza il vizio relativo alla lesione del diritto alla controprova, previ dall’articolo 606, comma 1, lettera d), cod.proc.pen., è prospettabile solo quando la prova sollecitata, ma negata, confrontata con le argomentazioni addotte in motivazione, a sostegno della sentenza, sarebbe risultata decisiva, nel senso che se quella fosse stata ammessa avrebbe potuto determinare una diversa decisione
del giudice (Sez. 4, n. 235 del 14/03/2008, Didio, Rv. 240839; Sez. 1, n. 4495 del 08/01/2002, COGNOME, Rv. 220705).
La sentenza impugnata, in relazione al capo 6), ha disatteso la prospettazione difensiva secondo cui la fattura n. 15 del 29/02/2016, emessa nei confronti di COGNOME NOME, fosse stata emessa per un errore del software e ciò in quanto non era stata oggetto di storno, né la parte l’aveva disconosciuta e contestata in sede di verifica fiscale, e, in tale contesto ha respinto la richiesta audizione, tardiva a distanza di cinque anni, del COGNOME, a fronte di elementi logici insuscettibile di dimostrazione contraria attraverso la deposizione testimoniale (cfr. pag. 7). Si tratta di una motivazione congrua che non viene censurata puntualmente là dove lamenta la carenza e apoditticità della motivazione e si sostiene che la testimonianza avrebbe provato l’errore informatico.
7. Il terzo motivo di ricorso non è fondato.
La ricorrente lamenta la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 10 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, nella specie occultamento dei documenti contabili (fatture dal 2012 al 2017 indicate nel capo di imputazione).
La sentenza impugnata, in risposta alla censura difensiva che sosteneva che l’occultamento dei documenti contabili non avrebbe impedito la ricostruzione del volume degli affari, essendo questo ricostruibile attraverso accertamenti bancari, e deduceva l’assenza del dolo specifico di evasione, ha dapprima disatteso l’assunto difensivo evidenziando (cfr. pag. 8) come la ricostruzione del volume degli affari non fosse stata compiuta dagli operanti alla stregua della movimentazione bancaria, avendo dovuto, la polizia giudiziaria, fare massiccio ricorso anche al cosiddetto spesometro che ha consentito di rilevare e acquisire i dati contabili degli interlocutori dello RAGIONE_SOCIALE alla stregua dei quali era stat possibile in via esclusiva accertare anche la sussistenza della copiosa documentazione non esibita ai verificatori e quindi occultata. Smentito l’assunto difensivo, i giudici del merito hanno rilevato che la condotta di occultamento della documentazione, che era riferita a ripetute annualità precedenti (2012-2017) alla verifica fiscale (nel 2018), si accompagnava alla reiterata omissione della presentazione delle dichiarazioni a fini iva fin dall’anno 2012, come contestate nel medesimo procedimento ancorchè non penalmente rilevanti per il mancato superamento della soglia di punibilità e, sulla scorta di ciò, hanno argomentato il dolo specifico, costituito dal fine di evadere le imposte. L’occultamento dei documenti contabili si accompagnava alla sistematica omissione della presentazione delle dichiarazioni fiscali per gli anni 2012 a 2017, elemento dai quali i giudici territoriali hanno inferito la dimostrazione del fine di evasio perseguito con l’occultamento della documentazione attraverso la quale si determina il reddito e dunque la base per il calcolo delle imposte funzionale a sua
volta alla perpetrazione dell’omissione della presentazione della dichiarazione (cfr. pag. 9). La sinergia delle due condotte rende palese che l’occultamento dei documenti contabili era proprio funzionale all’omissione dichiarativa e dunque al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte.
Seppur vi sia un incongruo riferimento al dolo in re ipsa, non di meno i giudici territoriali hanno argomentato la sussistenza del dolo specifico in ragione della sinergia delle condotte poste in essere dall’imputata, che ha occultato proprio le fatture relative agli anni di imposta nei quali aveva omesso di adempiere all’obbligo dichiarativo e, poi, di adempiere al pagamento dell’iva, stante l’assenza di presentazione della dichiarazione a tal fine, in un contesto nel quale l’occultamento era proprio funzionale ad impedire la ricostruzione del volume degli affari che era stata compiuta dalla p.g. attraverso articolate indagini.
Si tratta di una motivazione logica che non è direttamente censurata dal ricorrente che si limita a contestare il riferimento al dolo in re ipsa, senza peraltro confrontarsi con il resto della motivazione resa.
8. Il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali Così deciso il 14/02/2024