Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 2058 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 2058 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da AVV_NOTAIO NOME COGNOME NOME, nato a Taranto il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 24/03/2023 della Corte d’appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito, per il ricorrente, l’AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 24 marzo 2023, la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Milano che aveva dichiarato la penale responsabilità di NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000 e lo aveva condannato alla pena di un anno
e sei mesi di reclusione, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata recidiva.
Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, NOME COGNOME, nella sua qualità di amministratore di fatto e poi di legale rappresentante della “RAGIONE_SOCIALE“, avrebbe occultato o distrutto, a fini di evasione propria o di terzi delle imposte sui redditi e dell’IVA, le scritture contabi obbligatorie, con condotta accertata il 24 febbraio 2017.
Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe NOME COGNOME, con atto sottoscritto dall’AVV_NOTAIO, articolando quattro motivi, preceduti da una descrizione dei fatti e dello svolgimento del processo in primo grado e in appello.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 429 e 178, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., avuto riguardo alla omessa declaratoria di nullità del decreto che dispone il giudizio per genericità ed indeterminatezza del capo di imputazione.
Si deduce che, come denunciato anche con l’atto di appello, l’imputazione contenuta nel decreto che dispone il giudizio è priva dei requisiti di chiarezza e precisione, in particolare perché non specifica se la condotta contestata sia quella di distruzione o quella di occultamento, e non indica né l’entità delle imposte oggetto del proposito di evasione, né le annualità fiscali di interesse, né le scritture contabili occultate o distrutte. Si aggiunge che il difetto di specifici dell’imputazione non può ritenersi “sanato” dal rinvio agli atti di indagine (si cita Sez. 3, n. 28047 del 19/05/2009).
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 63 e 191 cod. proc. pen., nonché 220 disp. att. cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta utilizzabilità dei processi verbali di constatazione della Guardia di RAGIONE_SOCIALE del 27/10/2016 e del 24/11/2016.
Si deduce, innanzitutto, che i processi verbali di constatazione sono inutilizzabili, in quanto erano emersi indizi di reato a carico dell’attuale ricorren nel corso degli accertamenti, come può evincersi dalla verbalizzazione delle dichiarazioni dello stesso, raccolte già nel processo verbale giornaliero del 6 luglio 2016, e che, però, non è stato dato avviso al medesimo della facoltà di farsi assistere da un difensore. Si osserva che la diversa conclusione della Corte d’appello, secondo cui gli indizi a carico sono emersi solo all’esito della verifica fiscale, non è supportata da alcuna specifica motivazione. Si aggiunge che gli operanti non hanno indicato le ragioni poste a fondamento della verifica, come
previsto invece dall’art. 12, comma 1, legge n. 212 del 2000, ed hanno agito senza chiedere alcunché all’imputato, sebbene questi non avesse rifiutato di collaborare.
2.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 42 e 43 cod. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
Si deduce che la sussistenza del dolo in ordine al reato di distruzione o occultamento delle scritture contabili è stata affermata senza tener conto né dell’atteggiamento collaborativo dell’attuale ricorrente, né della effettiva ricostruibilítà in concreto della contabilità dell’impresa interessata dalla verifica. S rappresenta, da un lato, che l’imputato ha esibito tutta la documentazione utile, e, dall’altro, che lo stesso è stato assolto dalle imputazioni per i reati di cui ag artt. 4 e 5 d.lgs. n. 74 del 2000. In particolare, si osserva che l’assoluzione appena indicata ha determinato il venir meno del presupposto del reato di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000, e che, come dichiarato da un teste escusso a dibattimento, l’imputato, nel corso della verifica fiscale, aveva offerto agli operanti anche altra documentazione, ma gli stessi avevano detto di non avervi interesse.
2.4. Con il quarto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 163, 164 e 133 cod. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla mancata pronuncia sulla richiesta di concessione della sospensione condizionale.
Si deduce che la Corte d’appello ha omesso di rispondere alla specifica richiesta, nonostante questa fosse stata espressamente posta, e sebbene l’imputato sia persona di età avanzata, ed onesto lavoratore.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, per le ragioni di seguito precisate, è fondato limitatamente alle censure concernenti l’omessa motivazione in ordine alla concessione della sospensione condizionale della pena, mentre è infondato nel resto.
Infondate sono le censure esposte nel primo motivo, che contestano l’omessa declaratoria di nullità del decreto che dispone il giudizio per genericità ed indeterminatezza del capo di imputazione, deducendo che questo non specifica se la condotta ascritta è quella di occultamento o di distruzione, e non indica quali siano l’entità delle imposte evase, le annualità interessate e le scritture contabili occultate o distrutte.
2.1. Per l’esame delle censure appena sintetizzate, è utile richiamare i principi giurisprudenziali in tema sia di nullità del capo di imputazione per genericità ed
indeterminatezza dell’accusa, sia di contestazione concorrente delle condotte di occultamento e di distruzione delle scritture contabili.
Per un verso, costituisce principio ampiamente consolidato quello in forza del quale, ai fini della completezza dell’imputazione, è sufficiente che il fatto sia contestato in modo da consentire la difesa in relazione ad ogni elemento di accusa, sicché è legittimo il ricorso al rinvio agli atti del fascicolo processuale, purché s tratti di atti intellegibili, non equivoci e conoscibili dall’imputato (così, t tantissime, Sez. 5, n. 10033 del 19/01/2017, Ioghà, Rv. 269455-01, e Sez. 2, n. 2741 del 11/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265825-01).
Sotto altro profilo, è generalmente ritenuta ammissibile la contestazione alternativa delle condotte di occultamento e di distruzione delle scritture contabili. E, questo, tanto con riferimento al reato di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000 (cfr ad esempio, Sez. 3, n. 14461 del 25/05/2016, dep. 2017, Quaglia, Rv. 26989801), quanto in ordine al reato di bancarotta fraudolenta documentale (v., in particolare, Sez. 5, n. 8902 del 19/01/2021, Tecchiati, Rv. 280572-01, ma anche già Sez. 5, n. 630 del 19/04/1971, COGNOME, Rv. 118606-01). Tale conclusione, del resto, si pone in linea con il principio AVV_NOTAIO secondo cui, in presenza di una condotta dell’imputato tale da richiedere un approfondimento dell’attività dibattimentale per la definitiva qualificazione dei fatti contestati, è legittima contestazione, nel decreto che dispone il giudizio, di imputazioni alternative, sia nel senso di più reati, sia di fatti alternativi, in quanto tale metodo risponde a un’esigenza della difesa, posto che l’imputato è messo in condizione di conoscere esattamente le linee direttrici sulle quali si svilupperà il dibattito processuale (così per tutte, Sez. 1, n. 2112 del 22/11/2007, dep. 2008, Laurelli, Rv. 238636-01).
2.2. Nella specie, l’imputazione di cui il ricorso deduce la nullità per difetto di specificità risulta così formulata: «del reato previsto e punito dall’art. 10 del D Lgs. 74/2000 perché, non costituendo più grave reato, in qualità di amministratore di fatto e di legale rappresentante dal 18/2/2013 della RAGIONE_SOCIALE, con sede legale in Garbagnate Milanese INDIRIZZO, al fine di evadere le imposte sui redditi e/o sul valore aggiunte o di consentirne l’evasione a terzi, occultava o distruggeva in tutto o in parte le scritture contabili e i documenti di cui è obbligatoria la conservazione in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi e/o del volume di affari».
Sia la sentenza impugnata, sia la sentenza di primo grado rappresentano che: a) le indagini nei confronti dell’attuale ricorrente sono partite da una verifica fiscale presso la società “RAGIONE_SOCIALE” a cura della Guardia di RAGIONE_SOCIALE; b) l’imputato non ha mai esibito documentazione contabile durante la verifica fiscale, le indagini o il processo; c) nel corso degli accessi, la Guardia di RAGIONE_SOCIALE ha rinvenuto elementi frammentari ed incompleti del libro giornale, delle liquidazioni periodiche IVA e della documentazione bancaria; d) accertamenti presso altra società, la “RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE“, hanno consentito di verificare che questa ditta aveva emesso e ricevuto fatture da e verso “RAGIONE_SOCIALE“, mai rinvenute presso quest’ultima.
Dalla sentenza di primo grado, inoltre, si evince che all’attuale ricorrente erano stati contestati anche i reati di cui agli artt. 4 e 5, comma 1, d.lgs. n. 74 de 2000, e che, in ordine a tali imputazioni, era stata pronunciata sentenza di assoluzione perché doveva «ritenersi insufficiente la prova del superamento delle soglie di punibilità legislativamente sancite dall’art. 4 e dall’art. 5 del D. Lg 74/2000» (cfr. pag. 6 della sentenza del Tribunale di Milano).
2.3. L’applicazione dei principi giuridici richiamati al caso di specie consente di ritenere corretta la conclusione dei Giudici di merito in ordine alla sufficiente specificità dell’imputazione per cui è stata pronunciata condanna ed alla esclusione della violazione dei diritti della difesa.
Innanzitutto, è giuridicamente ammissibile ascrivere all’imputato nella medesima imputazione sia la condotta di distruzione, sia la condotta di occultamento delle scritture contabili obbligatorie, posto quanto si è evidenziato in precedenza al § 2.1.
In secondo luogo, sin dalla richiesta di rinvio a giudizio, era immediatamente comprensibile all’imputato quale fosse l’oggetto della contestazione di aver occultato o distrutto in tutto o in parte le scritture contabili e i documenti di cui obbligatoria la conservazione in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi e/o del volume di affari. Invero, sin dalla conclusione delle indagini preliminari, l’attuale ricorrente aveva piena conoscenza che l’addebito a lui mosso era quello di aver occultato o distrutto l’intera documentazione contabile necessaria per la ricostruzione dei redditi e del volume degli affari dell’impresa di cui era legale rappresentante, in quanto erano stati rinvenuti solo elementi frammentari ed incompleti di alcune soltanto delle scritture contabili di cui era obbligatoria l conservazione.
In terzo luogo, proprio il riferimento all’occultamento o alla distruzione della totalità delle scritture contabili rende del tutto irrilevante la puntuale indicazion delle annualità di imposta interessate dalla condotta contestata.
In quarto luogo, anche la mancata indicazione dell’ammontare delle imposte evase è irrilevante, perché, ai fini dell’integrazione della fattispecie di cui all’a 10 d.lgs. n. 74 del 2000, è sufficiente il «fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi», mentre non occorre quantificare l’entità dell’evasione, o il superamento di una delle soglie di punibilità che rendono questa, di per sé, penalmente rilevante. E, nella specie, la contestazione della finalità di evasione anche in proprio era desumibile dalla contestazione all’attuale ricorrente pure delle condotte di cui agli artt. 4 e 5, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000.
Prive di specificità e comunque manifestamente infondate sono le censure formulate nel secondo motivo, che contestano l’utilizzabilità dei processi verbali di constatazione della Guardia RAGIONE_SOCIALE, in particolare quelli del 27 ottobre 2016 e del 24 novembre 2016, deducendo che, a quelle date, erano già emersi indizi di reità a carico dell’attuale ricorrente, che ingiustificata è l’opposta conclusione cui è pervenuta la sentenza impugnata, e che, in ogni caso, l’attività di verifica non è stata preceduta dall’esposizione delle ragioni a fondamento dell’indagine.
3.1. Occorre premettere che i processi verbali di constatazione in esame sono stati formati nel corso di una verifica fiscale, ossia di un’attività amministrativa, i relazione alla quale si applica l’art. 220 disp. att. cod. proc. pen., secondo cui «uando nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste dalla leggi o decreti emergano indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale sono compiuti con l’osservanza delle disposizioni del codice» (cfr., per questa precisazione, tra le tantissime, Sez. 3, n. 54379 del 23/10/2018, G., Rv. 27413101, e Sez. 3, n. 6881 del 18/11/2008, dep. 2009, Ceragioli, Rv. 242523-01).
Ora, secondo un indirizzo ormai ampiamente consolidato, la violazione dell’art. 220 disp. att. cod. proc. pen. non comporta automaticamente l’inutilizzabilità dei risultati probatori acquisiti nell’ambito di attività ispetti vigilanza, essendo invece necessario che tale sanzione processuale sia autonomamente prevista dalle norme del codice di rito cui la disposizione citata rimanda, e che è onere di chi eccepisce l’inutilizzabilità, indicare, a pena di inammissibilità del ricorso, gli atti specificamente affetti dal vizio e l’incidenza degl stessi rispetto al provvedimento impugnato (cfr. per tutte, Sez. 3, n. 9977 del 21/11/2019, dep. 2020, Dichiara, Rv. 278423-01, e Sez. 3, n. 6594 del 26/10/2016, dep. 2017, Pelini, Rv. 269299-01, ma anche Sez. 3, n. 54379 del 2018, cit.).
3.2. Ciò posto, la sentenza impugnata rappresenta che «l’attribuibilità all’imputato del reato oggetto del presente giudizio è emersa soltanto all’esito della verifica fiscale conclusasi il 24 febbraio 2017».
A fondamento di questa r nclusione, si osserva che l’ipotesi di reato è stata formulata perché «nel corso tale verifica si constatava la presenza di fatture emesse nei confronti della RAGIONE_SOCIALE dalle quali è stato possibile dedurre che le scritture contabili, pur istituite, sono state occultate o distrutte dal prevenuto».
Si aggiunge che l’imputato non ha mai prodotto od esibito, neppure in sede di appello, i documenti richiesti, e si è limitato «ad una sterile critica dell’atti svolta dalla GDF, senza peraltro formalizzare nei confronti degli operanti alcuna formale denuncia per le asserite irregolarità lamentate».
3.3. Le conclusioni della sentenza impugnata sono immuni da vizi.
Innanzitutto, l’affermazione della Corte d’appello, secondo cui «l’attribuibilità all’imputato del reato oggetto del presente giudizio è emersa soltanto all’esito della verifica fiscale conclusasi il 24 febbraio 2017», è contestata solo assertivamente nel ricorso.
In ogni caso, il ricorrente non indica quali sono gli atti specificamente viziati: se pure si volesse ritenere la violazione dell’obbligo di avvisare il ricorrente dell’avvenuta emersione di indizi a suo carico e della mancata formulazione degli avvisi di cui all’art. 64 cod. proc. pen., tale vicenda non determinerebbe l’inutilizzabilità degli atti costituiti dalla materiale attività di verifica e di senza alcun effettivo esito, o con esiti limitatissimi, della documentazione contabile di cui era obbligatoria la tenuta.
In secondo luogo, poi, in disparte da ogni altra considerazione, la violazione dell’art. 12 della legge n. 212 del 2000, per la mancata esposizione, all’inizio della verifica fiscale, delle ragioni a fondamento dell’indagine, è semplicemente asserita e non documentata, a fronte del preciso rilievo della sentenza impugnata, secondo cui l’attuale ricorrente si è limitato «ad una sterile critica dell’attività svolta d GDF, senza peraltro formalizzare nei confronti degli operanti alcuna formale denuncia per le asserite irregolarità lamentate».
Manifestamente infondate sono le censure enunciate nel terzo motivo, che contestano l’affermazione della sussistenza del dolo, deducendo che l’imputato ha esibito tutta la documentazione utile ed è stato assolto dalle accuse concernenti i reati di evasione di cui agli artt. 4 e 5 d.lgs. n. 74 del 2000.
In proposito, è utile premettere che: a) l’elemento soggettivo del delitto di occultamento e distruzione di documenti contabili è integrato dal dolo specifico di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto o di consentire l’evasione fiscale di terzi, essendo irrilevanti, per contro, l’interesse o il movente che abbiano eventualmente spinto l’agente a commettere il reato (Sez. 7, n. 9439 del 06/12/2019, dep. 2020, Zanghi, Rv. 278872-01); b) il rinvenimento di una copia della fattura presso il terzo destinatario può far desumere che il mancato rinvenimento dell’altra copia presso l’emittente sia conseguenza della sua distruzione o del suo occultamento, in quanto la fattura deve essere emessa in duplice esemplare (così, per tutte, Sez. 3, n. 41683 del 02/03/2018, Vitali, Rv. 274862-01); c) anche l’occultamento o la distruzione di fatture ricevute da terzi (cd. fatture passive) integra il reato di cui all’art. 10 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 trattandosi di documenti che, oltre a rappresentare costi sostenuti e a incidere sulla ricostruzione dei redditi del destinatario di essi, sono comunque dimostrativi dell’esistenza di introiti a carico del soggetto emittente (così Sez. 3, n. 15236 del 16/01/2015, COGNOME, Rv. 263050-01).
La sentenza impugnata rappresenta che non è stata fornita alcuna spiegazione in ordine alla condotta di mancata esibizione delle scritture contabili obbligatorie, e che questa condotta è stata tenuta dall’imputato nonostante egli avesse piena conoscenza della richiesta di esibizione e della verifica fiscale. Aggiunge, inoltre, che le fatture emesse nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, e rinvenute presso di questa, sono pienamente dimostrative della istituzione delle scritture contabili. Non va trascurato, ancora, che, dagli accertamenti eseguiti presso la “RAGIONE_SOCIALE“, è emerso che tale ditta ha anche emesso, oltre che ricevuto, fatture verso “RAGIONE_SOCIALE“, e che pure tali documenti non sono stati mai rinvenuti presso quest’ultima. Infine, dalla sentenza di primo grado, si evince che all’attuale ricorrente erano stati contestati anche i reati di cui agli artt. 4 e comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000, e che, in ordine a tali imputazioni, è stata pronunciata sentenza di assoluzione solo perché doveva «ritenersi insufficiente la prova dei superamento delle soglie di punibilità legislativamente sancite dall’art. 4 e dall’art. 5 del D. Lgs. 74/2000» (cfr. pag. 6 della sentenza del Tribunale di Milano).
In considerazione dei principi giuridici applicabili e dei fatti ricostruiti Giudici di merito, le conclusioni della sentenza impugnata sono immuni da vizi anche nella parte relativa alla ritenuta sussistenza del dolo.
La Corte d’appello, infatti, indica motivatamente perché deve ritenersi che la documentazione contabile obbligatoria fosse stata almeno in parte istituita da parte della ditta di cui era legale rappresentante l’attuale ricorrente, e rappresenta che quest’ultimo non ha fornito né tale documentazione, né alcuna giustificazione per la mancata produzione di essa, pur essendo stato egli espressamente richiesto di esibire le scritture contabili obbligatorie nell’ambito di una verifica fiscale parte di militari della Guardia di RAGIONE_SOCIALE. Inoltre, l’accertamento del fine di evasione si evince dal contenuto dell’assoluzione per i reati di cui agli artt. 4 e 5, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000, siccome fondata non sull’esclusione dell’evasione, ma, ben diversamente, sul difetto di prova del superamento delle soglie di punibilità.
Fondate, invece, sono le censure in ordine alla mancata pronuncia sulla richiesta di concessione della sospensione condizionale della pena.
Invero, la richiesta di concessione della sospensione condizionale della pena era stata espressamente formulata nell’atto di appello, come può evincersi da una lettura dello stesso, e, però, nessuna risposta è stata fornita in proposito dalla sentenza impugnata.
In conclusione, l’infondatezza o l’inammissibilità delle censure formulate nei primi tre motivi di ricorso, determina il rigetto del ricorso nelle parti ad ess
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relative, e, conseguentemente, l’irrevocabilità dell’accertamento di penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato per il quale la sentenza impugnata ha pronunciato condanna, nonché la statuizione in ordine alla misura della pena.
La fondatezza delle censure enunciate nel quarto motivo determina la necessità di procedere ad un nuovo giudizio al fine di accertare se sussistano i presupposti per la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Il Giudice del rinvio, a tal fine, darà compiuta motivazione delle ragioni delle proprie determinazioni sul punto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione circa l’omessa sospensione condizionale della pena con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in data 14/11/2023
Il Consigliere estensore
Il Pr sidente