Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 44959 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 44959 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Vignola il 24/11/1971
avverso la sentenza del 11/01/2024 della Corte di appello di Bologna
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito per l’imputato l’avv. NOME COGNOME anche in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME che ha concluso insistendo per l’accoglimento del ricorso e per l’annullamento della sentenza.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 11/01/2024, la Corte di appello di Bologna confermava la sentenza emessa in data 28/06/2019 dal Tribunale di Modena, con la quale COGNOME NOME era stato dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 10 d.lgs 74/2000 – perché quale amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE a fine di evadere le imposte sui redditi e l’Iva, distruggeva o comunque occultava la scritture contabili della predetta società, in particolare fatture d’acquisto e fatture di vendita, libro giornali e registro Iva in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi e del volume di affari della società- e condannato alla pena di anni uno di reclusione con concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME AlessandroCOGNOME a mezzo dei difensori di fiducia, articolando due motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deduce violazione dell’art. 10 d.lgs 74/2000 con riferimento all’elemento oggettivo del reato.
Argomenta che il reato in questione non può essere integrato da una mera condotta omissiva, quale la mera inottemperanza all’invito amministrativo a consegnare la documentazione, configurandosi in tal caso l’illecito amministrativo di cui all’art. 9 d.lgs n. 471/1997; la Corte di appello, nonostante specifico motivo di appello sul punto, aveva erroneamente ritenuto integrato il reato dando rilievo a circostanze che non oltrepassavano il perimetro dell’inottemperanza amministrativa, affermando che” la mancata esibizione equivale ad occultamento”.
Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in punto di sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
Argomenta che, nonostante specifico motivo di appello sul punto, la Corte territoriale non aveva motivato in ordine alle doglianze mosse alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato; le risultanze processuali non evidenziavano alcun atteggiamento di volontaria sottrazione dell’imputato agli obblighi di esibizione (tentativo di recuperare le scritture richieste, senza poter provvedere poiché il commercialista aveva chiesto il pagamento delle proprie spettanze per procedere alla restituzione, pagamento a cui l’imputato non riusciva a far fronte; l’imputato aveva presentato le dichiarazioni fiscali ed aveva, poi’ delegato un proprio rappresentante, pur trovandosi all’estero, e, tramite il predetto, prodotto parte della documentazione).
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
La difesa del ricorrente ha chiesto la trattazione orale del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato.
Va osservato che , nell’ipotesi di conferma della sentenza di primo grado, quando le soluzioni adottate dal giudice di primo grado siano state specificamente censurate dall’appellante sussiste il vizio di motivazione, sindacabile ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), se il giudice del gravame si limita a respingere tali censure e a richiamare la contestata motivazione in termini apodittici o meramente ripetitivi senza farsi carico di argomentare sulla fallacia o inadeguatezza o non consistenza dei motivi di impugnazione”, (cfr. ex multis Sez.3, n. 27416 del 01/04/2014, Rv.259666; Sez.4, n.6779 del 18/12/2013, dep.12/02/2014) Rv. 259316; Sez.6, n.35346 del 12/06/2008, Rv.241188).
Il Giudice di appello, quindi, nella ipotesi in cui l’imputato, con precise considerazioni, svolga specifiche censure su uno o più punti della pronuncia di primo grado, non può limitarsi a richiamarla, ma deve rispondere alle singole doglianze prospettate. In caso contrario, viene meno la funzione del doppio grado di giurisdizione ed è privo di ogni concreto contenuto il secondo controllo giurisdizionale (cfr. Sez.3, n.24252 del 13/05/2010, Rv.247287).
La Corte territoriale non si è uniformata a tali principi, rinviando, da un lato, alla sentenza di primo grado riportandone in sintesi il contenuto e non esaminando, dall’altro, le specifiche censure rivolte con l’appello a quella pronuncia, che censuravano sia la sussistenza dell’elemento oggettivo (deducendo che la condotta accertata non poteva configurarsi come occultamento, avendo il Tribunale erroneamente equiparato la mancata esibizione della documentazione all’occultamento della stessa) che la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato (deducendo che l’imputato non aveva mostrato alcun atteggiamento di volontaria sottrazione agli obblighi dì esibizione).
La motivazione della sentenza impugnata, quindi, risulta apparente ed integra il vizio motivazionale denunciato, risultando omessa ogni valutazione ed argomentazione in ordine ai motivi di appello che censuravano, con specifiche argomentazioni, la decisione di primo grado in ordine alla configurabilità del delitto di cui all’art. 10 d.lgs 74/2000, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo.
Appare opportuno ricordare i principi di diritto espressa da questa Corte in subiecta materia.
La disposizione di cui all’art. 10 d.lgs 74 del 2000 prevede una doppia alternativa condotta riferita ai documenti contabili (la distruzione e l’occultamento totale o parziale), un dolo specifico di evasione propria o di terzi e un evento costitutivo, rappresentato dalla sopravvenuta impossibilità di ricostruire, mediante i documenti i redditi o il volume degli affari al fine dell’imposta sul valore aggiunto.
È evidente che si tratta di un reato a condotta vincolata comrnissiva con un evento di danno, rappresentato dalla perdita della funzione descrittiva della documentazione contabile; l’interesse tutelato dalla norma di cui all’art. 10 d.lgs. 74/2000 è il corretto esercizio della funzione di accertamento fiscale (Sez. 3, n. 10873 del 11/01/2001 Rv. 218958 – 01), e di come l’occultamento – che consiste nella temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione da parte degli organi verificatori – costituisca un reato permanente che si consuma nel momento dell’ispezione e si protrae sino al momento dell’accertamento fiscale (cfr. Sez. 3, n. 14461 del 25/05/2016 (dep. 24/03/2017, Rv. 269898 – 01; Sez. 3, n. 13716 del 07/03/2006 Rv. 234239 – 01); la condotta di occultamento, tipizzata nell’articolo 10 d.lgs. n. 74 del 2000, definisce, secondo il suo preciso significato filologico, il comportamento di colui che nasconde materialmente, in tutto o in parte, le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, mantenendo celate le predette cose in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume degli affari, con la precisazione che occultare un documento non significa solo nasconderlo ma anche mantenerlo nascosto, e si è affermato, quindi, che integra l’occultamento dei documenti contabili, previsto dall’art. 10 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, la condotta dell’amministratore che determini il loro mancato, prolungato rinvenimento nei luoghi riferibili alla società e accessibili agli organi verificatori, nella consapevolezza dell’accertamento in corso e della strumentalità della documentazione alla ricostruzione della contabilità della società (Sez.3,n.23921 del 14/12/2020, dep.18/06/2021, Rv.281485 – 01).
Si è anche chiarito che la condotta del reato de quo non può sostanziarsi in un mero comportamento omissivo ossia il non avere tenuto le scritture in modo tale che sia stato obbiettivamente più difficoltosa – ancorché non impossibile – la ricostruzione ex aliunde ai fini fiscali della situazione contabile, ma richiede, per l’integrazione della fattispecie penale un quid pluris a contenuto commissivo consistente nell’occultamento ovvero nella distruzione di tali scritture (Sez 5, n. 35591 del 20/06/2017, dep.19/07/2017 Rv.270809 – 01); e si è precisato che il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74) presuppone l’istituzione della documentazione contabile e la produzione di un reddito e pertanto non contempla anche la condotta di omessa tenuta delle scritture contabili, sanzionata amministrativamente dall’art. 9, comma 1, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 (Sez.3, n. 1441 del 12/07/2017,dep.15/01/2018, Rv.272034 – 01); non è, inoltre, indispensabile, ai fini dell’integrazione del reato, che l’occultamento o la distruzione dei documenti sia integrale, essendo sufficiente che la condotta sia idonea ad impedire la verifica fiscale e l’accertamento dei tributi ed abbia come effetto l’impossibilità di ricostruire il valore economico degli affari del contribuente o dì rendere
obbiettivamente più difficoltosa la ricostruzione (Sez.3, n.19106 del 02/03/2016, Rv.267102; Sez.3, n.19106 del 02/03/2016, Rv.267102).
Con riferimento all’elemento soggettivo del reato, va ricordato che il reato è doloso ed è, quindi, necessario che ricorra la coscienza e volontà di occultare o distruggere le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, con la consapevolezza che da tale condotta deriverà l’impossibilità di ricostruire il reddito o il volume d’affare ed il dolo è specifico, essendo richiesta in aggiunta, la finalità di evadere le imposte sui redditi o su valore aggiunto; si è affermato che esso è integrato dal dolo specifico di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto o di consentire l’evasione fiscale di terzi, essendo irrilevanti, per contro, l’interesse o il movente che abbiano eventualmente spinto l’agente a commettere il reato Sez.7 n. 9439 del 06/12/2019, dep.10/03/2020, Rv. 278872 – 01) e che l’accertamento del dolo specifico richiesto per la sussistenza del delitto di cui all’art. 10 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 presuppone la prova della produzione di reddito e del volume di affari, che può desumersi, in base a norme di comune esperienza, dal fatto che l’agente sia titolare di un’attività commerciale ( Sez.3 n. 51836 del 03/10/2018, Rv.274110 – 01).
6.11 vizio motivazionale rilevato vizia, dunque, la sentenza impugnata e ne impone l’annullamento con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Brescia per nuovo giudizio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna.
Così deciso il 08/10/2024