Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 28910 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 28910 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 29/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Firenze il 23-09-1961, avverso la sentenza del 06-06-2024 della Corte di appello di Firenze; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; ll’avvocato NOME COGNOME difensore di fiducia lette le conclusioni rassegnate da dell’imputato , che ha insistit o per l’ accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 7 febbraio 2020, il Tribunale di Firenze condannava NOME COGNOME alla pena, condizionalmente sospesa, di 1 anno e 8 mesi di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 10 del d. lgs. n. 74 del 2000, reato a lui contestato per avere, nella qualità di titolare della ditta RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME ‘, al fine di evadere le imposte sui redditi o sull’ Iva, occultato e/o distrutto almeno 70 fatture emesse nel 2014 e 48 fatture emesse nel 2015, in modo da non consentire la ricostruzione del volume di affari dell ‘ impresa; fatto accertato in Sesto Fiorentino in data 25 settembre 2018.
Con sentenza del 6 giugno 2024, la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, concesse le attenuanti generiche, riduceva la pena ad anni 1 e mesi 2 di reclusione e riconosceva all’imputato il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
Avverso la sentenza della Corte di appello toscana, COGNOME tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi.
Con il primo, la difesa ha dedotto l’inosservanza dell’art. 10 del d. lgs. n. 74 del 2000 , osservando che all’imputato non può attribuirsi alcuna condotta attiva di occultamento o di distruzione, posto che il ricorrente, per formare le fatture consegnate ai clienti negli anni di imposta 2014 e 2015, si è servito di un foglio di calcolo predefinito dell’applicazione Excel , limitandosi a stampare il documento così formato e a consegnarlo ai clienti, senza denominare in alcun modo il relativo file, che dunque non è stato mai ‘salvato’, per cui il reato non può essere ritenuto configurabile, non potendo essere distrutto ciò che in realtà non esiste.
Con il secondo motivo, oggetto di doglianza è il vizio di motivazione della sentenza impugnata, nella misura in cui ha condiviso l’iter argomentativo del primo giudice, in base al quale è stata affermata la ricorrenza di una condotta di distruzione, per po i farne discendere che l’imputato si è reso autore di una condotta di occultamento, trattandosi di due concetti tra loro alternativi.
2.1. Con memoria trasmessa il 22 aprile 2025, l’avvocato NOME COGNOME difensore di fiducia dell’imputato, nel replicare alla requisitoria del Procuratore generale, ha insistito per l’accoglimento del ricorso, ribadendo che la condotta di distruzione ovvero di occultamento di cui all’art. 10 del d. lgs. n. 74 del 2000 deve essere preceduta da una condotta attiva di salvataggio e/o conservazione del documento, cartaceo o meno, che nel caso di specie è pacificamente mancata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
Premesso che i due motivi di impugnazione sono suscettibili di essere trattati in maniera unitaria, perché tra loro sostanzialmente sovrapponibili, deve osservarsi che il giudizio sulla sussistenza del reato ascritto all’imputato non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede.
E invero le due conformi sentenze di merito, destinate a integrarsi reciprocamente per formare un apparato motivazionale unitario, hanno innanzitutto operato un’adeguata disamina delle risultanze probatorie acquisite, valorizzando gli esiti della verifica fiscale svolta nel 2018 dall’Agenzia delle Entrate di Firenze nei confronti della ditta individuale di NOME COGNOME, operante nel settore dell’abbigliamento (produzione e vendita di camicie fatte a mano); dai controlli, in particolare, è emerso che l’imputato, nel presentare le dichiarazioni dei redditi rispetto agli anni 2014 e 2015, aveva dichiarato dati fiscali rivelatisi incongruenti con quanto emergeva dal cd. spesometro, nel senso che gli importi indicati nelle dichiarazioni dell’impresa del ricorrente erano discordanti con l’ammontare complessivo comunicato dalle società clienti della ditta di Baggiani e, inoltre, nei due anni considerati, risultavano comunicate dai clienti fatture di acquisto che non risultavano invece comunicate dall’imputato tra le proprie fatture di vendita.
Invitato dall’Ufficio a produrre documentazione relativa agli anni di imposta 2014 e 2015, il ricorrente esibiva solo alcuni dei documenti contabili richiesti, dichiarando, sia nel corso della verifica che in sede dibattimentale, di avere emesso effettivamente alcune fatture di vendita e di avere omesso di annotarle nel registro iva vendite e, conseguentemente, di indicare in dichiarazione i relativi importi, precisando di non aver salvato i files delle fatture emesse, ma di aver recuperato solo un foglio d i calcolo dell’applicazione Excel, recante il modello con il quale creava e stampava di volta in volta la fattura nell’unica copia da consegnare al cliente che gliela richiedeva, per poi chiudere il file che continuava a contenere solo il generico modello iniziale, senza salvare o stampare la copia delle fatture, alcune delle quali l’imputato è riuscito poi a recuperare presso i propri clienti .
Orbene, alla luce di tale ricostruzione fattuale, invero non controversa, i giudici di merito hanno ritenuto configurabile a carico di COGNOME il reato di cui all ‘ art. 10 del d. lgs. n. 74 del 2000, osservando, in maniera pertinente, che quello posto in essere dall ‘ imputato è stato un comportamento non meramente omissivo, ma positivo e consapevolmente realizzato al fine di far sparire i documenti fiscali e occultarne i relativi ricavi, tanto che lo stesso ricorrente ha ammesso di non aver poi contabilizzato le fatture e di non averne dichiarato i relativi importi. Del resto, questa Corte ha più volte affermato (cfr. Sez. 3, n. 3729 del 22/10/2024, dep. 2025, Rv. 287392 e Sez. 3, n. 41683 del 02/03/2018, Rv. 274862) che, ai fini della configurabilità del delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili, il rinvenimento presso il terzo destinatario dell ‘ atto di uno dei due
esemplari in cui deve essere compilata la fattura, documento di cui è obbligatoria la conservazione a fini fiscali, può indurre a ritenere, come ragionevolmente avvenuto nel caso di specie, che il mancato rinvenimento dell ‘ altro esemplare presso l ‘ emittente sia conseguenza della sua distruzione o del suo occultamento. Ciò posto, non può sottacersi che nelle due sentenze di merito, pur convergenti nella ricostruzione dei fatti e nell ‘ inquadramento degli stessi nella previsione di cui all ‘ art. 10 del d. lgs. n. 74 del 2000, non si registra omogeneità di vedute circa la definizione della condotta ascrivibile a COGNOME, avendo il Tribunale optato per la tesi della distruzione e la Corte di appello per quella dell ‘ occultamento delle fatture. Tale divergenza interpretativa non determina tuttavia alcuna criticità, dovendosi considerare che il capo di imputazione addebita a COGNOME di avere occultato e/o distrutto almeno 70 fatture emesse nel 2014 e 48 emesse nel 2015, per cui in tal senso alcuna violazione del diritto di difesa è ravvisabile, essendo state contestate all ‘ imputato entrambe le condotte sanzionate dalla norma incriminatrice indicata. In tal senso deve in ogni caso ricordarsi che, come già affermato da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 14461 del 25/05/2016, dep. 2017, Rv. 269898), la condotta del reato previsto dall ‘ art. 10 del d. lgs. 10 marzo 2000, n. 74, può consistere sia nella distruzione che nell ‘ occultamento delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari, con conseguenze diverse rispetto al momento consumativo, giacché la distruzione realizza un ‘ ipotesi di reato istantaneo, che si consuma con la soppressione della documentazione, mentre l ‘ occultamento, consistente nella temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione da parte degli organi verificatori, costituisce un reato permanente, che si protrae sino al momento dell ‘ accertamento fiscale, dal quale soltanto inizia a decorre il termine di prescrizione. Ne consegue che, pur a voler seguire la tesi della distruzione, l ‘ imputato, per avvalersi della dedotta maturazione della prescrizione in conseguenza della qualificazione della condotta come distruttiva, avrebbe dovuto dimostrare, il che nel caso di specie non è avvenuto, sia la circostanza che le fatture erano state distrutte, e non solo occultate, sia l ‘ epoca di tale distruzione. è quella dell ‘ occultamento (con conseguente spostamento del dies a quo settembre 2018), posto che, a voler seguire l ‘ impostazione difensiva dell ‘ clienti integra, più che un ‘ quanto l ‘
Ma in realtà, nella vicenda in esame, la definizione giuridica del fatto più corretta del termine decennale di prescrizione alla data conclusiva della verifica fiscale, 25 imputato, il mancato salvataggio informatico della cd. copia madre delle fatture rilasciate ai ipotesi di distruzione, una condotta di occultamento, in imputato, non salvando il file, non ha soppresso un documento fiscale, ma non ha fatto venire alla luce, ovvero ha nascosto, la copia della fattura destinata a essere conservata e annotata nel registro iva vendite dell ‘ emittente.
Tutto ciò nella chiara prospettiva, concretizzatasi con il mancato inserimento delle fatture nella propria contabilità, di non versare le imposte dovute, per cui il reato de quo è stato ritenuto legittimamente configurabile anche nella sua componente soggettiva, essendo pacificamente ravvisabile nel caso di specie, in capo all ‘ imputato, ‘ il fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di consentire l ‘ evasione a terzi ‘ , richiesto dall ‘ art. 10 del d. lgs. n. 74 del 2000.
In conclusione, stante la manifesta infondatezza delle doglianze sollevate, ripropositive di questioni che nella sentenza gravata hanno già trovato adeguate risposte, il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, con onere per il ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza ‘versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità’, si dispone in fine che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 29.04.2025