Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 9591 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 9591 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Cerignola il 7/8/1971
avverso la sentenza del 14/12/2023 della Corte d’appello di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso.
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RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 14 dicembre 2023 la Corte d’appello di Bari, provvedendo sulla impugnazione proposta da NOME COGNOME nei confronti della sentenza del 19 dicembre 2019 del Tribunale di Bari, con la quale lo stesso COGNOME era stato condannato alla pena di un anno di reclusione in relazione al delitto di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000 (ascrittogli per avere, quale titolare dell’impresa individuale omonima e a fine di evasione, distrutto o comunque occultato la documentazione contabile, in particolare le fatture indicate in allegato alla imputazione, in modo tale da non consentire la ricostruzione dei redditi e del volume d’affari relativi agli anni d’imposta da 2009 a 2013; accertato il 28 luglio 2014), ha ridotto a sei mesi di reclusione la pena inflitta all’imputato, confermando nel resto la sentenza impugnata.
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a cinque motivi.
2.1. Con un primo motivo ha denunciato, a norma dell’art. 606, primo comma, lett. c), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 178, 179 e 429 cod. proc. pen., causa della mancata comunicazione al proprio secondo difensore di fiducia, l’Avvocato NOME COGNOME nominato il 28 luglio 2014 in occasione della propria identificazione da parte della polizia giudiziaria e mai revocato nonostante la successiva nomina di altro difensore di fiducia (l’Avvocato NOME COGNOME, della richiesta di rinvio a giudizio e contestuale fissazione dell’udienza preliminare e del decreto che dispone il giudizio.
Ha esposto che la Corte d’appello di Bari, investita della eccezione di nullità di tali atti in conseguenza della loro mancata comunicazione all’Avvocato COGNOME la aveva erroneamente disattesa, rilevandone l’avvenuta sanatoria a causa della mancata tempestiva proposizione della relativa eccezione, benché la stessa fosse stata sollevata tempestivamente, il 6 febbraio 2019, giacché la sentenza di primo grado era stata pronunciata il successivo 19 dicembre 2019.
2.2. Con un secondo motivo ha lamentato la violazione degli artt. 10 d.lgs. n. 74 del 2000, 9 d.lgs. n. 471 del 1997, 52, quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972 e 533 cod. proc. pen. e un vizio della motivazione, per essere stata affermata la responsabilità del ricorrente per il reato di cui all’art. 10 d.lgs. 74/2000 nonostante non vi fosse stato alcun occultamento della sua documentazione contabile, ma soltanto l’omessa consegna della stessa, non assimilabile all’occultamento, ma costituente illecito amministrativo ai sensi dell’art. 9 d.lgs. n. 471 del 1999.
Difetterebbe, inoltre, anche l’elemento soggettivo del reato, che richiede, per la sua configurabilità, il dolo specifico di evasione, posto che l’imputato aveva
dichiarato di non avere più la disponibilità delle fatture di cui gli era stata chies l’esibizione a causa della separazione personale dalla moglie e di vari traslochi.
2.3. In terzo luogo, ha lamentato una ulteriore violazione dell’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000 e anche dell’art. 603 cod. proc. pen. e un ulteriore vizio della motivazione, sotto il profilo del travisamento della prova in ordine al pericolo concreto di mancata ricostruzione del volume d’affari del ricorrente, non essendo stato considerato il suo apporto nella ricostruzione dell’imponibile, in quanto aveva dato indicazioni alla polizia giudiziaria per rintracciare i propri clienti e acquisire fatture non esibite, come avrebbe potuto essere confermato dalla commercialista NOME COGNOME che per alcuni anni si era occupata di tenere la contabilità del ricorrente, ma di cui la Corte d’appello non aveva ritenuto di disporre l’esame, ritenendo dilatoria la relativa richiesta.
2.4. Con un quarto motivo ha censurato, prospettando la violazione dell’art. 131-bis cod. pen. e un vizio della motivazione, il diniego del riconoscimento della causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, non essendo, in realtà state indicate le ragioni ostative a tale riconoscimento, né considerata la collaborazione prestata dal ricorrente nel corso degli accertamenti svolti dalla Guardia di Finanza, trattandosi di aspetto ora rilevante in senso favorevole all’imputato a seguito della modifica apportata all’art. 131-bis cod. pen. dal d.lgs. n. 150 del 2022.
2.5. Infine, con un quinto motivo ha lamentato il mancato rilievo della estinzione per prescrizione del reato contestatogli, verificatasi nel corso del giudizio di appello, essendo decorso il relativo termine, pur considerando 5 mesi di sospensione del relativo termine, il 5 agosto 2023.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Il primo motivo, mediante il quale è stata denunciata la violazione degli artt. 178, 179 e 429 cod. proc. pen., a causa della mancata comunicazione al secondo difensore di fiducia del ricorrente, l’Avvocato NOME COGNOME della richiesta di rinvio a giudizio e contestuale fissazione dell’udienza preliminare e anche del decreto che dispone il giudizio, con la conseguente nullità delle sentenze di primo e secondo grado, non è fondato.
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito, con orientamento consolidato e univoco, sin dalla sentenza Aprea (Sez. U, n. 39060 del 16/07/2009, Aprea, Rv. 244187 – 01), che la nullità a regime intermedio, derivante dall’omesso avviso dell’udienza a uno dei due difensori dell’imputato, è sanata dalla mancata proposizione della relativa eccezione a opera dell’altro difensore comparso, pur
quando l’imputato non sia presente (nella motivazione le Sezioni Unite hanno precisato che è onere del difensore presente, anche se nominato d’ufficio in sostituzione di quello di fiducia regolarmente avvisato e non comparso, verificare se sia stato avvisato anche l’altro difensore di fiducia e il motivo della sua mancata comparizione, eventualmente interpellando il giudice, e anche che non è possibile far valere successivamente l’interesse dell’imputato non comparso ad essere assistito anche dal difensore non avvisato, in quanto tale interesse non è riconoscibile in sede di impugnazione del provvedimento conclusivo del giudice). Nel medesimo senso si è espressa, univocamente, la giurisprudenza successiva, ribadendo detto principio anche con riferimento al procedimento camerale (v. Sez. 1, n. 11232 del 18/02/2020, COGNOME, Rv. 278815 – 01; nonché Sez. 6, n. 17267 del 16/04/2010, COGNOME, Rv. 247086 – 01; Sez. 1, n. 19982 del 21/03/2013, COGNOME, Rv. 256182 – 01; Sez. 3, n. 38021 del 12/06/2013, COGNOME Rv. 256980 – 01; Sez. 5, n. 55800 del 03/10/2018, Intoppa, Rv. 274620 – 01).
Ora, nel caso in esame la Corte d’appello di Bari, nel disattendere l’identica eccezione sollevata dall’imputato, ha evidenziato che la prima udienza del giudizio di primo grado a carico dell’attuale ricorrente si era tenuta innanzi al Tribunale di Foggia, con la presenza del difensore di fiducia, Avvocato NOME COGNOME Il luglio 2015, senza che in quella sede fosse sollevata alcuna eccezione a proposito delle omesse comunicazioni all’altro difensore dell’imputato, eccezione poi sollevata solamente il successivo 6 febbraio 2019, in relazione all’udienza del 7 febbraio 2019 (per l’omessa notificazione all’altro difensore del medesimo imputato, Avvocato NOME COGNOME della richiesta di rinvio a giudizio e contestuale fissazione dell’udienza preliminare e del decreto che dispone il giudizio), dunque tardivannente, come correttamente rilevato dalla Corte d’appello richiamando il ricordato orientamento interpretativo della giurisprudenza di legittimità, da cui non si ravvisano ragioni per discostarsi, con la conseguenza che deve essere ribadita l’infondatezza della eccezione di nullità formulata con il primo motivo di ricorso.
3. Il secondo motivo, mediante il quale è stata prospettata la violazione degli artt. 10 d.lgs. n. 74 del 2000, 9 d.lgs. n. 471 del 1997, 52, comma 5, d.P.R. n. 633 del 1972 e 533 cod. proc. pen., nonché un vizio della motivazione, per essere stata affermata la responsabilità del ricorrente per il reato di cui all’art. 10 d.lg 74/2000 nonostante non vi fosse stato alcun occultamento della sua documentazione contabile, ma soltanto l’omessa consegna della stessa, non assimilabile all’occultamento, ma costituente illecito amministrativo ai sensi dell’art. 9 d.lgs. n. 471 del 1999, difettando anche l’elemento soggettivo del reato, non è fondato.
La disposizione di cui all’art. 9, secondo comma, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 (Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell’articolo 3, comma 133, lettera q, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), secondo cui “La sanzione prevista nel comma 1 si applica a chi, nel corso degli accessi eseguiti ai fini dell’accertamento in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto, rifiuta di esibire o dichiara di non possedere o comunque sottrae all’ispezione e alla verifica i documenti, i registri e le scritture indicati nel medesi comma ovvero altri registri, documenti e scritture, ancorché non obbligatori, dei quali risulti con certezza l’esistenza”, si differenzia da quella incriminatrice di c all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000 per la previsione, in quest’ultima, del fine evasione e della impossibilità, conseguente alla condotta di occultamento o distruzione delle scritture contabili obbligatorie o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione, di consentire la ricostruzione dei redditi o del volume d’affari.
La condotta contemplata dalla norma incriminatrice di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000, in parte sovrapponibile a quella prevista dall’art. 9, secondo comma, d.lgs. n. 471 del 1997, se ne differenzia, dunque, sia per la previsione di uno specifico evento (l’impossibilità di ricostruire i redditi o il volume d’affari), sia il dolo specifico di evasione (a favore dell’agente o di altri), cosicché non vi è dubbio che la presenza di detti elementi specializzati determini, ai sensi dell’art. 19, primo comma, d.lgs. n. 74 del 2000, l’applicabilità della disposizione speciale, ossia, nel caso in esame, quella penale.
Quanto al dolo di evasione, esso è stato ritenuto sussistente, in modo non manifestamente illogico, sulla base della condotta complessiva del ricorrente, che, contrariamente a quanto affermato sia nell’atto d’appello sia nel ricorso per cassazione, non ha fornito alcuna collaborazione alla ricostruzione dei propri redditi, omettendo anche di indicare i soggetti nei confronti dei quali aveva emesso le fatture non rinvenute nella sua contabilità (che sono state reperite a seguito di complesse indagini svolte dalla Guardia di Finanza attraverso controlli presso enti pubblici, convocazione dei clienti dell’imputato e questionari, e consultando l’anagrafe tributaria), in tal modo dimostrando la volontà di sottrarsi all’accertamento tributario.
Ne consegue che correttamente è stata affermata la sussistenza del dolo di evasione e che, altrettanto correttamente, è stata esclusa la qualificabilità della condotta come illecito amministrativo ai sensi dell’art. 9, secondo comma, d.lgs. n. 471 del 1997, in considerazione del dolo che ha animato la condotta dell’imputato e dell’evento che questa ha determinato.
4. Il terzo motivo, relativo a una ulteriore violazione dell’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000 e anche dell’art. 603 cod. proc. pen., oltre che a un ulteriore vizio della motivazione, sotto il profilo del travisamento della prova in ordine al pericolo concreto di mancata ricostruzione del volume d’affari del ricorrente, è anch’esso infondato, avendo la Corte d’appello sottolineato, come già osservato al par. precedente, le difficoltà incontrate nel corso dell’accertamento tributario per addivenire alla determinazione del reddito del ricorrente, con la conseguente configurabilità del delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000.
Al fine della integrazione del reato di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000 deve, infatti, sussistere non l’assoluta impossibilità ma un elevato grado di difficoltà di ricostruire il reale volume degli affari o dei redditi, avuto riguardo esclusivamente alla situazione interna dell’azienda, né il reato è escluso dalla circostanza che alla determinazione dei redditi si sia potuti addivenire aliunde (Sez. 3, n. 7051 del 15/01/2019, COGNOME, Rv. 275005 – 01; Sez. 3, n. 41683 del 02/03/2018, COGNOME, Rv. 274862 – 02; Sez. 3, n. 13212 del 06/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269258 – 01; Sez. 3, n. 39711 del 04/06/2009, COGNOME, Rv. 244619 – 01; Sez. 3, n. 5791 del 18/12/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 238989 – 01).
La ratio dell’incriminazione è, infatti, costituita dall’esigenza di salvaguardare l’interesse statale alla trasparenza fiscale del contribuente, cosicché non è rilevante che la ricostruzione delle operazioni prive di documentazione contabile sia possibile attraverso percorsi esterni all’impresa, quali i riscontri incrociati co gli altri soggetti economici con i quali vi sono stati rapporti commerciali, posto che in una siffatta situazione è evidente la violazione del bene giuridico protetto, costituito, come osservato, dalla trasparenza fiscale del contribuente.
In altri termini la norma sanziona la violazione dell’obbligo di trasparenza fiscale che ricorre in tutti i casi in cui la documentazione dell’impresa non consenta con immediatezza e senza necessità di indagini la ricostruzione delle operazioni in ragione della mancanza totale o parziale di questa.
La richiesta di escussione della commercialista del ricorrente, che si sarebbe occupata della tenuta della sua contabilità, è, poi, del tutto generica, non essendone stata illustrata la decisività, avendo, per contro, i giudici di merito dato ampiamente atto delle difficoltà incontrate nel corso dell’accertamento tributario e della assenza di collaborazione sul punto da parte dell’imputato, e, dunque, della superfluità della escussione di tale testimone.
5. Il quarto motivo, relativo al diniego del riconoscimento della causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131 bis cod. pen., è, anch’esso, infondato, in quanto il ricorrente non si è adoperato in alcun modo, come già osservato al par. 3 e al par. 4, per determinare la cessazione
della permanenza della sua condotta di occultamento, non avendo neppure collaborato con gli organi accertatori, in tal modo determinando la prosecuzione della realizzazione del pregiudizio al bene interesse protetto dalla disposizione incriminatrice, il che impedisce di considerare come di particolare tenuità la lesione dallo stesso arrecata al bene protetto, in ragione della sua protrazione nel tempo (in termini Sez. 3, n. 30383 del 30/03/2016, COGNOME‘ Rv. 267589 – 01; Sez. 3, n. 47039 del 08/10/2015, COGNOME, Rv. 265448 – 01).
Infine, il quinto motivo, relativo al mancato rilievo della estinzione per prescrizione del reato addebitato al ricorrente, è manifestamente infondato, dovendo al termine decennale di prescrizione, decorrente dall’accertamento, avvenuto il 28 luglio 2014, essendo stata ritenuta configurabile la condotta di occultamento in assenza di qualsiasi prova di distruzione delle scritture contabili e dell’altra documentazione di cui è obbligatoria la conservazione, essere aggiunti 193 giorni di sospensione (86 giorni per rinvio dal 10/7/2017 al 4/10/2017 disposto su richiesta dalla difesa; 47 giorni per ulteriore rinvio dal 4/10/2017 al 20/11/2017 nuovamente richiesto dalla difesa; 60 giorni per rinvio dal 22/3/2018 al 4/10/2018 per legittimo impedimento del difensore), che differiscono la scadenza del termine decennale massimo di prescrizione, al 6 febbraio 2025, ossia successivamente alla pronuncia di questa sentenza.
Il ricorso deve, in conclusione, essere rigettato, a cagione della infondatezza dei primi quattro motivi e della manifesta infondatezza del quinto.
Al rigetto del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 9/1/2025