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Obbligo rimozione rifiuti: la Cassazione decide

La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un amministratore condannato per non aver ottemperato a un’ordinanza di rimozione rifiuti. L’obbligo rimozione rifiuti sussiste anche se la società è fallita, poiché l’amministratore avrebbe dovuto attivarsi per ottenere le necessarie autorizzazioni.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Obbligo rimozione rifiuti: la responsabilità dell’amministratore non cessa con il fallimento

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 9461 del 2024, ha ribadito un principio fondamentale in materia ambientale: l’obbligo rimozione rifiuti per l’amministratore di una società non viene meno neanche a seguito della dichiarazione di fallimento. Questa decisione chiarisce che la procedura fallimentare non costituisce una scusante per l’inerzia di fronte a un’ordinanza sindacale, delineando con precisione i doveri che continuano a gravare sul legale rappresentante.

I fatti del caso

Il caso riguarda l’amministratore di una società a responsabilità limitata, condannato per non aver ottemperato a un’ordinanza del Sindaco che gli intimava di rimuovere rifiuti pericolosi e non, accumulati presso un capannone aziendale. L’amministratore ha impugnato la condanna sostenendo di trovarsi nell’impossibilità materiale di adempiere, poiché la società era stata dichiarata fallita diversi mesi prima della notifica dell’ordinanza. A suo dire, tutti i beni aziendali, compreso il sito inquinato, erano passati sotto la gestione del curatore fallimentare, privandolo di ogni potere di intervento.

La decisione della Corte di Cassazione e l’obbligo di rimozione rifiuti

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna. I giudici hanno smontato la tesi difensiva, affermando che la dichiarazione di fallimento non estingue la responsabilità penale dell’amministratore per la mancata bonifica. Il provvedimento sindacale era stato legittimamente emesso nei confronti del soggetto ritenuto responsabile dell’abbandono dei rifiuti, ossia l’amministratore in carica al momento della produzione e dello stoccaggio illecito.

Le motivazioni della Corte

La Corte ha fondato la sua decisione su diversi punti cardine:

1. La titolarità dei beni: Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, con il fallimento la società non perde la proprietà dei suoi beni, ma solo la facoltà di gestirli, che passa al curatore. La società, e per essa il suo legale rappresentante, rimane quindi un soggetto destinatario degli obblighi di legge.

2. Il dovere di attivarsi: L’impossibilità di adempiere non era assoluta. L’amministratore, una volta ricevuta l’ordinanza, avrebbe dovuto attivarsi per superare gli ostacoli frapposti dalla procedura fallimentare. Avrebbe potuto, ad esempio, chiedere al curatore l’autorizzazione a procedere con la bonifica o, in caso di diniego, adire le vie legali per ottenere l’accesso al sito. La sua totale inerzia è stata considerata colpevole.

3. Il reato di natura permanente: Il reato di inottemperanza all’ordinanza di rimozione è un reato permanente. La sua consumazione inizia allo scadere del termine fissato nell’ordinanza e si protrae fino a quando l’ordine non viene eseguito. Di conseguenza, il termine di prescrizione inizia a decorrere solo dal momento in cui cessa la permanenza, che in questo caso è stato identificato con la data della sentenza di primo grado, non essendo ancora avvenuta la bonifica.

4. Inammissibilità delle altre censure: La Corte ha respinto anche le altre doglianze, come la richiesta di applicazione della continuazione con un altro reato e la contestazione sulla pena. La prima è stata ritenuta inammissibile perché presentata per la prima volta in Cassazione, mentre avrebbe dovuto essere sollevata nei gradi di merito. La seconda è stata respinta perché la pena era stata adeguatamente motivata dalla Corte d’Appello, tenendo conto della gravità della condotta e dei precedenti penali dell’imputato.

Le conclusioni

La sentenza in esame lancia un messaggio chiaro agli amministratori di società: le responsabilità ambientali sono personali e non si dissolvono con il fallimento dell’azienda. L’obbligo rimozione rifiuti impone un comportamento attivo. Anche in presenza di una procedura concorsuale, chi ha generato o gestito illecitamente i rifiuti deve adoperarsi con ogni mezzo per adempiere agli ordini dell’autorità, collaborando con gli organi della procedura o ricorrendo al giudice per superare eventuali impedimenti. L’inerzia, come dimostra questo caso, equivale a una consapevole violazione della legge, con tutte le conseguenze penali che ne derivano.

La dichiarazione di fallimento di una società libera l’amministratore dall’obbligo di rimuovere i rifiuti come ordinato dal Sindaco?
No. Secondo la Cassazione, l’obbligo di rimozione persiste. Il fallimento trasferisce la gestione dei beni al curatore, ma non estingue la responsabilità del soggetto che ha causato l’inquinamento, il quale deve attivarsi per ottenere le autorizzazioni necessarie a compiere la bonifica.

Cosa dovrebbe fare un amministratore se riceve un’ordinanza di rimozione dopo che la sua società è stata dichiarata fallita?
Dovrebbe immediatamente attivarsi presso il curatore fallimentare per poter adempiere all’ordine. Non può rimanere inerte, poiché la sua passività configura il reato di inottemperanza. Se necessario, deve rivolgersi al giudice per essere autorizzato ad accedere all’area e procedere alla rimozione.

Quando inizia a decorrere la prescrizione per il reato di mancata ottemperanza a un’ordinanza di rimozione rifiuti?
Trattandosi di un reato permanente, la prescrizione non inizia a decorrere dalla data dell’ordine, ma dal momento in cui cessa la condotta illecita, ovvero quando l’ordine viene finalmente eseguito. Se l’inottemperanza perdura, la giurisprudenza individua la data della sentenza di condanna di primo grado come momento da cui far partire il calcolo della prescrizione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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