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Obbligo motivazionale: la Cassazione e le pene minime

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che lamentava una motivazione illogica e carente riguardo la pena inflittagli. La Corte ha ribadito un principio consolidato: quando la pena irrogata è molto più vicina al minimo edittale che al massimo, l’obbligo motivazionale del giudice è meno stringente. Un semplice richiamo ai criteri generali dell’art. 133 c.p. è considerato sufficiente, in quanto si presume che il giudice abbia valutato tutti gli elementi del caso senza abusare del proprio potere discrezionale.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Obbligo Motivazionale: Quando una Pena Minima Non Richiede Spiegazioni Complesse

L’obbligo motivazionale è un pilastro del nostro sistema giudiziario, garantendo che ogni decisione del giudice sia trasparente e controllabile. Tuttavia, la sua intensità non è sempre la stessa. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (Sez. 7, Ord. 1632/2025) ci offre un’importante lezione su come questo principio si applica alla determinazione della pena, specialmente quando questa si avvicina al minimo previsto dalla legge.

I Fatti del Ricorso

Il caso nasce dal ricorso di un imputato contro un’ordinanza della Corte d’Appello. Il ricorrente sosteneva che la motivazione della pena fosse manifestamente illogica e viziata da violazione di legge. In sostanza, lamentava che i giudici non avessero spiegato adeguatamente le ragioni che li avevano portati a determinare quella specifica sanzione, soprattutto per quanto riguarda gli aumenti di pena applicati per i reati commessi in continuazione (ricettazione e appropriazione indebita).

La Decisione della Corte di Cassazione e l’Obbligo Motivazionale

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, dichiarandolo manifestamente infondato e quindi inammissibile. La decisione si basa su principi giurisprudenziali ormai consolidati che modulano l’intensità dell’obbligo motivazionale a seconda del contesto e, soprattutto, dell’entità della pena inflitta. I giudici hanno chiarito che non emergeva dal provvedimento impugnato alcuna violazione di legge o illogicità, poiché il dovere di motivazione era stato correttamente adempiuto.

Le Motivazioni

La Corte ha articolato il suo ragionamento su diversi punti chiave, attingendo a precedenti sentenze, incluse quelle delle Sezioni Unite.

1. Pena Vicina al Minimo Edittale: Il principio fondamentale ribadito è che, quando la pena finale è di gran lunga più vicina al minimo che al massimo previsto dalla legge, il giudice non è tenuto a una motivazione dettagliata. Un semplice richiamo ai criteri generali dell’art. 133 del codice penale (gravità del reato, capacità a delinquere del reo) è considerato sufficiente a dimostrare che la pena è adeguata. Questo perché si presume che il giudice abbia compiuto una valutazione complessiva senza abusare del suo potere discrezionale.

2. Aumenti per la Continuazione: Anche nel caso di reati uniti dal vincolo della continuazione, se la pena base è fissata al minimo e gli aumenti per i reati satellite sono esigui (nel caso specifico, l’aumento per la ricettazione era inferiore alla metà del minimo edittale per quel reato), si esclude un abuso del potere discrezionale. La scelta di pene contenute dimostra implicitamente che il giudice ha già valutato positivamente gli elementi oggettivi e soggettivi del fatto.

3. Conferma Implicita della Motivazione: Quando un giudice, in fase di esecuzione, conferma una pena già inflitta nel processo di cognizione, si ritiene che ne riprenda implicitamente la motivazione originale. Non è quindi necessaria una nuova e più approfondita argomentazione.

4. Ruolo dell’Imputato: Nel caso di specie, l’ordinanza impugnata faceva riferimento al ruolo di “controllo esclusivo” e “dominio assoluto” che il ricorrente esercitava su una cooperativa, considerandola “sua proprietà”. Secondo la Cassazione, questo riferimento al ruolo dominante del soggetto nella commissione dei reati è un elemento motivazionale sufficiente per giustificare la pena inflitta, senza bisogno di ulteriori approfondimenti, proprio perché la sanzione era contenuta.

Conclusioni

L’ordinanza in esame conferma un orientamento pragmatico della giurisprudenza: l’onere di motivazione del giudice è proporzionale all’afflittività della sanzione. Per pene lievi o vicine ai minimi legali, non si può pretendere una motivazione analitica e complessa. Questa decisione ha importanti implicazioni pratiche: da un lato, snellisce il lavoro dei giudici nei casi meno gravi; dall’altro, limita le possibilità per la difesa di contestare con successo le pene miti sulla base di un presunto difetto di motivazione. Il ricorso basato su una lamentela generica sulla motivazione, in assenza di un palese abuso di potere da parte del giudice, è destinato all’inammissibilità, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Un giudice deve sempre spiegare dettagliatamente perché ha scelto una determinata pena?
No. Secondo la Corte di Cassazione, quando la pena inflitta è molto più vicina al minimo legale che al massimo, un semplice riferimento ai criteri generali previsti dalla legge (art. 133 c.p.) è sufficiente, poiché si presume che non vi sia stato un abuso del potere discrezionale del giudice.

Cosa si intende per motivazione sufficiente per una pena lieve?
Per una pena lieve, si considera motivazione sufficiente anche un richiamo implicito alle ragioni già contenute nella sentenza precedente (se confermata) o a elementi specifici del caso, come il ruolo predominante dell’imputato nella commissione del reato, senza la necessità di un’analisi approfondita di ogni singolo criterio di valutazione.

Quali sono le conseguenze se un ricorso contro la motivazione della pena viene ritenuto infondato?
Se la Corte di Cassazione ritiene che gli argomenti del ricorso siano manifestamente infondati, lo dichiara inammissibile. Ciò comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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