Obbligo Motivazionale: Quando una Pena Minima Non Richiede Spiegazioni Complesse
L’obbligo motivazionale è un pilastro del nostro sistema giudiziario, garantendo che ogni decisione del giudice sia trasparente e controllabile. Tuttavia, la sua intensità non è sempre la stessa. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (Sez. 7, Ord. 1632/2025) ci offre un’importante lezione su come questo principio si applica alla determinazione della pena, specialmente quando questa si avvicina al minimo previsto dalla legge.
I Fatti del Ricorso
Il caso nasce dal ricorso di un imputato contro un’ordinanza della Corte d’Appello. Il ricorrente sosteneva che la motivazione della pena fosse manifestamente illogica e viziata da violazione di legge. In sostanza, lamentava che i giudici non avessero spiegato adeguatamente le ragioni che li avevano portati a determinare quella specifica sanzione, soprattutto per quanto riguarda gli aumenti di pena applicati per i reati commessi in continuazione (ricettazione e appropriazione indebita).
La Decisione della Corte di Cassazione e l’Obbligo Motivazionale
La Suprema Corte ha respinto il ricorso, dichiarandolo manifestamente infondato e quindi inammissibile. La decisione si basa su principi giurisprudenziali ormai consolidati che modulano l’intensità dell’obbligo motivazionale a seconda del contesto e, soprattutto, dell’entità della pena inflitta. I giudici hanno chiarito che non emergeva dal provvedimento impugnato alcuna violazione di legge o illogicità, poiché il dovere di motivazione era stato correttamente adempiuto.
Le Motivazioni
La Corte ha articolato il suo ragionamento su diversi punti chiave, attingendo a precedenti sentenze, incluse quelle delle Sezioni Unite.
1. Pena Vicina al Minimo Edittale: Il principio fondamentale ribadito è che, quando la pena finale è di gran lunga più vicina al minimo che al massimo previsto dalla legge, il giudice non è tenuto a una motivazione dettagliata. Un semplice richiamo ai criteri generali dell’art. 133 del codice penale (gravità del reato, capacità a delinquere del reo) è considerato sufficiente a dimostrare che la pena è adeguata. Questo perché si presume che il giudice abbia compiuto una valutazione complessiva senza abusare del suo potere discrezionale.
2. Aumenti per la Continuazione: Anche nel caso di reati uniti dal vincolo della continuazione, se la pena base è fissata al minimo e gli aumenti per i reati satellite sono esigui (nel caso specifico, l’aumento per la ricettazione era inferiore alla metà del minimo edittale per quel reato), si esclude un abuso del potere discrezionale. La scelta di pene contenute dimostra implicitamente che il giudice ha già valutato positivamente gli elementi oggettivi e soggettivi del fatto.
3. Conferma Implicita della Motivazione: Quando un giudice, in fase di esecuzione, conferma una pena già inflitta nel processo di cognizione, si ritiene che ne riprenda implicitamente la motivazione originale. Non è quindi necessaria una nuova e più approfondita argomentazione.
4. Ruolo dell’Imputato: Nel caso di specie, l’ordinanza impugnata faceva riferimento al ruolo di “controllo esclusivo” e “dominio assoluto” che il ricorrente esercitava su una cooperativa, considerandola “sua proprietà”. Secondo la Cassazione, questo riferimento al ruolo dominante del soggetto nella commissione dei reati è un elemento motivazionale sufficiente per giustificare la pena inflitta, senza bisogno di ulteriori approfondimenti, proprio perché la sanzione era contenuta.
Conclusioni
L’ordinanza in esame conferma un orientamento pragmatico della giurisprudenza: l’onere di motivazione del giudice è proporzionale all’afflittività della sanzione. Per pene lievi o vicine ai minimi legali, non si può pretendere una motivazione analitica e complessa. Questa decisione ha importanti implicazioni pratiche: da un lato, snellisce il lavoro dei giudici nei casi meno gravi; dall’altro, limita le possibilità per la difesa di contestare con successo le pene miti sulla base di un presunto difetto di motivazione. Il ricorso basato su una lamentela generica sulla motivazione, in assenza di un palese abuso di potere da parte del giudice, è destinato all’inammissibilità, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Un giudice deve sempre spiegare dettagliatamente perché ha scelto una determinata pena?
No. Secondo la Corte di Cassazione, quando la pena inflitta è molto più vicina al minimo legale che al massimo, un semplice riferimento ai criteri generali previsti dalla legge (art. 133 c.p.) è sufficiente, poiché si presume che non vi sia stato un abuso del potere discrezionale del giudice.
Cosa si intende per motivazione sufficiente per una pena lieve?
Per una pena lieve, si considera motivazione sufficiente anche un richiamo implicito alle ragioni già contenute nella sentenza precedente (se confermata) o a elementi specifici del caso, come il ruolo predominante dell’imputato nella commissione del reato, senza la necessità di un’analisi approfondita di ogni singolo criterio di valutazione.
Quali sono le conseguenze se un ricorso contro la motivazione della pena viene ritenuto infondato?
Se la Corte di Cassazione ritiene che gli argomenti del ricorso siano manifestamente infondati, lo dichiara inammissibile. Ciò comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 1632 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 1632 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a ASTI il 08/04/1959
avverso l’ordinanza del 09/07/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
v
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
Rilevato che NOME COGNOME ricorre per cassazione contro il provvedimento indicato; Letta la memoria con cui il difensore del ricorrente. avv. NOME COGNOME insiste nell ragioni del ricorso;
Ritenuto che gli argomenti proposti nell’unico motivo di ricorso siano manifestamente infondati, in quanto deducono una asserita violazione di legge e una manifesta illogicità del motivazione che non emergono dal testo del provvedimento impugnato, atteso che l’obbligo motivazionale richiede modalità di adempimento diverse a seconda del momento procedimentale in cui si inserisce (cfr. Sez. U, Sentenza n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269, in motivazione), e che “risulta consolidato il principio secondo il quale nel caso in cui venga irro una pena di gran lunga più vicina al minimo che al massimo edittale, il mero richiamo ai criter di cui all’art. 133 cod. pen. deve ritenersi motivazione sufficiente per dimostrare l’adeguatez della pena all’entità del fatto” (sempre la medesima sentenza), e che “la associazione di una pena base determinata nella misura minima edittale ed un aumento per la continuazione di entità esigua esclude l’abuso del potere discrezionale conferito dall’art. 132 cod. pen. e dimostra, pe implicito, che è stata operata la valutazione degli elementi obiettivi e subiettivi del reato ri dal contesto complessivo della decisione” (ancora la pronuncia COGNOME), e nel caso in esame, in cui l’aumento per continuazione con il reato satellite della ricettazione è inferiore di più metà alla pena edittale minima della fattispecie e l’aumento per la continuazione con il rea satellite di appropriazione indebita è in ogni caso piuttosto contenuto, e comunque inferiore quello stabilito dal giudice della cognizione (per un precedente che ha ritenuto che, quando giudice dell’esecuzione conferma la pena inflitta in cognizione, egli riprende implicitamente motivazione in punto di pena contenuta in sentenza, v. Sez. 1, n. 12910 del 24/11/2021, dep. 2022, Vaccina, n.m.), il mero riferimento contenuto nell’ordinanza impugnata al ruolo rivestit dal ricorrente (definito in ordinanza come una persona che aveva il “controllo esclusivo” ed “dominio assoluto” sulla cooperativa, che considerava “sua proprietà” e di cui si sentiva il “pad padrone”) nella commissione dei reati oggetto dell’istanza, non è necessaria una motivazione più approfondita in quanto deve ritenersi escluso in radice ogni possibile abuso del poter discrezionale (Sez. 6, Sentenza n. 44428 del 05/10/2022, COGNOME, Rv. 284005); Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, in euro tremila;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19 dicembre 2024
Il consigliere estensore
COGNOMEIl presidente