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Obbligo di soggiorno: il no alla cresima della nipote

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un soggetto sottoposto alla misura di prevenzione dell’obbligo di soggiorno, a cui era stato negato il permesso di recarsi in un comune limitrofo per partecipare alla cresima della nipote. La Corte ha ritenuto che, essendo la data della cerimonia già trascorsa, il ricorrente non avesse più un interesse concreto a una decisione nel merito, rendendo così la questione di legittimità costituzionale sollevata irrilevante ai fini pratici.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Obbligo di Soggiorno: Quando il Diritto alla Religione si Scontra con le Misure di Prevenzione

Un recente caso esaminato dalla Corte di Cassazione ha riacceso il dibattito sui limiti imposti dalle misure di prevenzione ai diritti fondamentali della persona. La vicenda riguarda un individuo sottoposto all’obbligo di soggiorno nel proprio comune di residenza, al quale è stato negato il permesso di partecipare a una cerimonia religiosa familiare in un comune vicino. Questa decisione solleva importanti questioni sul bilanciamento tra esigenze di sicurezza pubblica e libertà individuali, come quella di culto.

I Fatti del Caso: La Richiesta di Autorizzazione per una Cerimonia Religiosa

Un uomo, soggetto alla misura di prevenzione dell’obbligo di soggiorno nel Comune di Roma, presentava un’istanza al Tribunale per essere autorizzato a recarsi in una parrocchia del vicino Comune di Fiumicino. Il motivo era di grande importanza personale e familiare: partecipare, in qualità di padrino, alla cerimonia della cresima della propria nipote e ai successivi festeggiamenti. La richiesta, tuttavia, veniva respinta.

La Decisione del Tribunale e il Ricorso in Cassazione

Il Tribunale di Roma rigettava la richiesta, motivando che l’evento non rientrava nelle deroghe previste dalla legge (art. 12 del d.lgs. 159/2011), ovvero i “gravi e comprovati motivi di salute” o i “gravi e comprovati motivi di famiglia”. Secondo i giudici di merito, la partecipazione a una cerimonia religiosa, seppur significativa, non possedeva quel carattere di gravità richiesto dalla norma.

Contro questa decisione, la difesa dell’uomo proponeva ricorso in Cassazione, non contestando l’interpretazione della giurisprudenza esistente, ma sollevando una questione di legittimità costituzionale. Si sosteneva che la norma, così interpretata, violasse gli articoli 3 (principio di uguaglianza) e 19 (libertà di religione) della Costituzione, impedendo un corretto bilanciamento tra il rischio di recidiva e il diritto fondamentale all’esercizio della propria fede.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, senza entrare nel merito della questione costituzionale. La ragione di tale decisione è puramente processuale ma di fondamentale importanza. I giudici hanno osservato che la cerimonia religiosa, fissata per il 29 giugno 2024, era già avvenuta al momento della loro decisione.

Di conseguenza, l’interesse del ricorrente a ottenere l’autorizzazione si era “consumato”. Anche un’eventuale sentenza favorevole non avrebbe potuto produrre alcun effetto pratico per lui. In assenza di un interesse concreto e attuale, il ricorso perde la sua ragion d’essere e non può essere esaminato. La Corte ha quindi concluso che una valutazione sulla costituzionalità della norma sarebbe stata puramente astratta e non avrebbe soddisfatto l’esigenza per cui il processo era stato avviato.

Conclusioni: L’Interesse Concreto come Requisito dell’Azione Giudiziaria

La sentenza, pur non pronunciandosi sul delicato equilibrio tra obbligo di soggiorno e libertà di culto, offre un’importante lezione di diritto processuale. Afferma il principio secondo cui l’accesso alla giustizia è subordinato all’esistenza di un interesse reale e attuale alla risoluzione della controversia. Quando l’oggetto del contendere viene meno, come in questo caso con il trascorrere della data dell’evento, il processo si arresta. La decisione comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, a sottolineare le conseguenze di un ricorso giudicato inammissibile fin dall’origine.

È possibile ottenere un’autorizzazione per uscire dal comune di residenza durante l’obbligo di soggiorno per motivi religiosi?
Sulla base della decisione del Tribunale di Roma, la partecipazione a una cerimonia religiosa non è stata considerata un motivo sufficientemente “grave e comprovato” ai sensi della legge. La Cassazione non ha deciso nel merito, ma il caso evidenzia la difficoltà di ottenere deroghe per ragioni che non siano strettamente legate a motivi di salute o familiari di eccezionale gravità.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché, al momento della decisione, la cerimonia religiosa per cui era stata chiesta l’autorizzazione era già passata. Di conseguenza, il ricorrente non aveva più un interesse concreto e attuale a ottenere una sentenza favorevole, rendendo inutile una pronuncia nel merito della questione.

Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile in questo caso?
La dichiarazione di inammissibilità ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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