Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 37728 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 37728 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 18/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto dal AVV_NOTAIO generale presso la Corte di appello di Milano nel procedimento nei confronti di
COGNOME NOME, nato a Varese il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/01/2025 della Corte di appello di Milano
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo di accogliere il ricorso;
uditi gli AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO, difensori di NOME COGNOME, che hanno chiesto di rigettare il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 9 gennaio 2025 la Corte di appello di Milano, in riforma della pronuncia emessa il 6 dicembre 2023 dal Tribunale di Busto Arsizio, ha
assolto NOME COGNOME dal reato di cui all’art. 2 D.Ivo n. 74/2000, perché il fatto non costituisce reato, e dal reato di cui agli artt. 319, 320 e 321 cod. pen., perché il fatto non sussiste.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO generale presso la Corte di appello di Milano, che dedotto i motivi di seguito indicati.
2.1. Motivazione illogica e contraddittoria per travisamento della prova dichiarativa. La Corte di appello ha ritenuto che il teste assistito NOME COGNOME avrebbe affermato che NOME COGNOME non aveva alcuna intenzione di corrispondere a COGNOME i 6000 euro di cui alle fatture incriminate. Ciò non sarebbe vero perché COGNOME avrebbe riferito che COGNOME non voleva pagare NOME COGNOME direttamente. Ciò perché doveva mascherare la retribuzione della sua attività contraria ai doveri d’ufficio. Secondo la Corte territoriale, la circostanza che COGNOME non volesse pagare COGNOME sarebbe stata confermata dal teste NOME COGNOME, genero e dipendente dell’imputato e amico di COGNOME, come da lui dichiarato, ma, leggendo la deposizione di COGNOME, non emergerebbe tale conferma. Secondo la Corte di appello, anche il teste NOME COGNOME avrebbe dichiarato che COGNOME aveva difficoltà a ottenere il pagamento delle sue spettanze da COGNOME, ma si tratterebbe di una pura invenzione della Corte, come si evince dalla lettura della relativa trascrizione. Gli ulteriori elementi fattuali valorizzati per affermare ch COGNOME fosse all’oscuro della fittizietà della fattura emessa da COGNOME sarebbero travolti dalla dimostrata inesistenza degli elementi presupposti. In definitiva, la Corte d’appello avrebbe ritenuto non inverosimile la ricostruzione fattuale proposta dalla difesa sulla scorta di prove dichiarative la cui dimostrata inesistenza lascerebbe intatto l’impianto motivazionale ineccepibile della sentenza di primo grado. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2. Motivazione illogica e contraddittoria per violazione del più rigoroso obbligo di motivazione in caso di ribaltamento di sentenza di condanna. La Corte territoriale non avrebbe speso una parola: – sulla contestualità temporale tra la dazione e il recesso della società RAGIONE_SOCIALE, prodromico all’illegittimo affidamento diretto del servizio alla società RAGIONE_SOCIALE; – sulla contestualità temporale e la sostanziale identità di importo tra la fattura rilasciata da COGNOME alla società RAGIONE_SOCIALE e da quest’ultimo ad NOME COGNOME; sull’assoluta carenza di documentazione relativa alle operazioni fatturate; – sulla annotazione manuale “comm. COGNOME“, apposta sull’estratto conto della società RAGIONE_SOCIALE in corrispondenza della disposizione di pagamento della fattura emessa da COGNOME, interpretabile solo come commessa COGNOME. In ogni
caso, se il pagamento verso COGNOME fosse stato lecito, non vi sarebbe stata alcuna ragione per interporre un soggetto terzo, in modo da occultare la destinazione finale a COGNOME del denaro in questione, anche a fronte della falsità della fattura emessa da COGNOME a favore dello RAGIONE_SOCIALE; – sul rinvenimento nella chiavetta USB, sequestrata a COGNOME, della fattura emessa da RAGIONE_SOCIALE alla società RAGIONE_SOCIALE: anomalia spiegabile solo nella prospettiva accusatoria; sull’esplicita dichiarazione di COGNOME che la fattura era stata da lui ricevuta al solo fine di giustificare la trasmissione del denaro a COGNOME, con conseguente esclusione dell’inconsapevolezza dell’imputato COGNOME.
Sono pervenute memorie depositate nell’interesse di NOME COGNOME con cui si è chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Secondo l’ipotesi accusatoria, ritenuta provata dal Giudice di primo grado, NOME COGNOME, amministratore unico della società in house RAGIONE_SOCIALE, della quale il comune di Cassano Magnago è socio di maggioranza, aveva ricevuto utilità da NOME COGNOME in cambio di lavori affidati alla società di quest’ultimo. Tali utilità erano state elargite tramite una triangolazione di fatture pe prestazioni inesistenti: NOME COGNOMECOGNOME titolare dello RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, aveva emesso nei confronti della società di COGNOME una fattura per euro 6.412,80, ricevendone il relativo pagamento. Subito dopo, COGNOME aveva ricevuto e pagato a COGNOME una fattura dello stesso importo, anch’essa relativa a prestazioni inesistenti.
Secondo il Giudice di primo grado, l’emissione della fattura da parte di COGNOME a COGNOME era stata solo un modo per veicolare, nascondendolo, il pagamento della tangente da parte di COGNOME in favore di COGNOME, a retribuzione sinallagmatica dell’illegittimo affidamento del servizio pubblico di raccolta della carta.
Deponeva in tal senso, innanzitutto, «la contestualità temporale fra i due atti esecutivi, ossia tra la dazione, l’utilità percepita e l’atto contrar COGNOME, nel corso del suo esame, aveva riferito che la richiesta di COGNOME di emettere la fattura gli era stata formulata circa un mese e mezzo prima dell’emissione della stessa e, quindi, nello stesso contesto temporale in cui COGNOME aveva presentato la disdetta a RAGIONE_SOCIALE, preliminare all’affidamento del
servizio pubblico all’imputato. Era, dunque, «evidente la contiguità temporale tra l’atto contrario e la predisposizione delle modalità di acquisizione della relativa utilità».
Tale lettura era confermata dalla dicitura “comm. COGNOME“, apposta in corrispondenza del bonifico risultante dall’estratto conto della società di RAGIONE_SOCIALE, «che non poteva che essere interpretata come “commessa COGNOME“», essendo smentita «la tesi della difesa sul fatto che la dicitura indicasse lavori commissionati da COGNOME (nessuna documentazione relativa ai lavori effettivamente svolti da COGNOME per conto della società RAGIONE_SOCIALE tramite RAGIONE_SOCIALE è mai stata rinvenuta)».
Ad ogni modo, «qualora il pagamento verso COGNOME fosse stato lecito, non vi sarebbe stata alcuna ragione di interporre un soggetto terzo in modo da occultare la destinazione finale a COGNOME del denaro in questione, anche a fronte della falsità della fattura emessa da COGNOME in favore dello RAGIONE_SOCIALE».
La Corte territoriale ha ribaltato la decisione, avendo ritenuto che fosse insufficiente la prova dell’accordo sinallagmatico tra la presunta dazione e l’atto contrario ai doveri d’ufficio, posto, peraltro, che «la stessa sentenza, in primo grado, afferma che l’accordo e la dazione illeciti sarebbero dimostrati solo da elementi indiziari».
Secondo la menzionata Corte, tra la versione della difesa, «lineare e piana, e quella farraginosa dell’accusa» doveva privilegiarsi la prima e, quindi, ritenere che NOME COGNOME «non sapesse che NOME COGNOME non aveva prestato alcuna attività in suo favore e, fidandosi di quanto riferito da COGNOME e, comunque, dopo varie resistenze, si risolse a pagare la fattura falsa emessa dall’ingegnere, non essendosi affatto avveduto della sua falsità, avendo creduto a quanto rappresentato da COGNOME, senza sapere che i denari sarebbero ritornati a costui e, comunque, non certo per pagargli una tangente per le commesse ricevute da RAGIONE_SOCIALE».
In particolare, la Corte di appello ha osservato che il teste assistito COGNOME aveva affermato, come confermato anche da NOME COGNOME, genero dell’imputato, che, in realtà, COGNOME «non aveva alcuna intenzione di corrispondere a COGNOME i 6.000 euro di cui alle fatture incriminate»; proprio per tale motivo – e, cioè, per la difficoltà di COGNOME di ottenere da COGNOME quelle che il primo riteneva essere proprie legittime spettanze, ulteriori rispetto ai 16.000 euro già pagatigli in dipendenza dell’incarico di direttore dei lavori che gli era stato affidato presso un cantiere edile della società RAGIONE_SOCIALE (circostanza quest’ultima confermata dal teste AVV_NOTAIO. COGNOME, direttore RAGIONE_SOCIALE della ditta RAGIONE_SOCIALE, appaltatrice dei lavori presso la RAGIONE_SOCIALE) – «COGNOME si indusse a
fingere con COGNOME di aver affidato all’ing. COGNOME un incarico relativo ad una non meglio specificata valutazione immobiliare (effettuata empiricamente quanto inattendibilmente con un mero sopralluogo esterno) e, inoltre, convinse COGNOME a fargli il favore di fingere anch’egli di aver lavorato per lui e, dunque, di aver svolto attività nell’interesse della ditta RAGIONE_SOCIALE». COGNOME a aggiunto di avere per tale motivo, ossia per fare il predetto favore a COGNOME, emesso la fattura incriminata verso la ditta RAGIONE_SOCIALE (fattura certamente falsa perché non riferibile ad alcuna attività effettiva) e, subito dopo averne ottenuto il pagamento da COGNOME, di aver girato i danari a COGNOME, meno alcune centinaia di euro trattenute a proprio compenso dietro emissione di altra fattura verso lo stesso COGNOME, sempre falsa per operazioni inesistenti.
La Corte territoriale ha osservato come la farraginosità e la tracciabilità del meccanismo (doppia fattura, bonifici bancari) mal si conciliassero con l’intento di occultare una tangente di importo modesto, specie a fronte di rapporti professionali pregressi che avrebbero consentito modalità di pagamento più semplici e meno rischiose.
Siffatte argomentazioni della sentenza impugnata non resistono ai rilievi critici della Parte pubblica ricorrente.
3.1. Va ricordato che le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che il giudice di appello, che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado, non ha l’obbligo di rinnovare l’istruzione dibattimentale mediante l’esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, ma deve offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se necessario, la prova dichiarativa decisiva. (Sez. U. n. 14800 del 21/12/2017, dep.2018, PG. in proc. Troise, Rv. 272430; da ultimo Sez. 4 n. 24439 del 16/06/2021, RAGIONE_SOCIALE c. RAGIONE_SOCIALE, Rv. 281404 – 01; Sez. 5, n. 7815 del 08/01/2025, N., Rv. 287634 – 01).
La sentenza delle Sezioni Unite Troise, premesso che per la condanna è richiesta la certezza della colpevolezza mentre per l’assoluzione è sufficiente il plausibile dubbio processuale, ha chiarito che l’obbligo motivazionale gravante sul giudice, in caso di totale riforma in grado di appello, si atteggia diversamente a seconda che si verta nell’ipotesi di sovvertimento della sentenza assolutoria ovvero in quella della totale riforma di una sentenza di condanna. Mentre nel «primo caso, infatti, al giudice d’appello si impone l’obbligo di argomentare circa la plausibilità del diverso apprezzamento come l’unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, in ragione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie che abbiano inficiato la permanente sostenibilità del primo giudizio, per il
ribaltamento della sentenza di condanna, al contrario, il giudice d’appello può limitarsi a giustificare la perdurante sostenibilità di ricostruzioni alternative d fatto, sulla base di un’operazione di tipo essenzialmente demolitivo. Per potere sostenere ricostruzioni alternative del fatto a fondamento di un ribaltamento in senso assolutorio, tuttavia, è necessario che le stesse siano rigorosamente ancorate «alle risultanze processuali, assunte nella loro oggettiva consistenza». Se è vero, quindi, che non sussiste un obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa, è tuttavia richiesta al giudice d’appello una strutturazione “rigorosa” della motivazione della decisione assolutoria «dando puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte», essendo necessario scardinare l’impianto argomentativo-dimostrativo di una decisione adottata dal giudice di primo grado che ha avuto diretto contatto con le fonti di prova. Non è sufficiente, dun dissentire dalle argomentazioni della sentenza di primo grado, ma occorre riesaminare, «sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice e quello eventualmente acquisito in seguito, per offrire una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia adeguata ragione delle difformi conclusioni assunte».
3.2. Nel caso in esame, la sentenza impugnata non ha fatto buon governo di tali principi.
Va rilevato, in primo luogo, infatti, che la Corte territoriale non ha adeguatamente motivato in ordine alla circostanza ritenuta di particolare rilievo dal Tribunale, ossia la contestualità temporale tra la dazione di denaro e l’affidamento diretto del servizio pubblico alla società di RAGIONE_SOCIALE. Sul punto, il Giudice di primo grado aveva sottolineato che COGNOME, nel corso del suo esame, aveva riferito che la richiesta di COGNOME di emettere la fattura gli era stata formulata circa un mese e mezzo prima dell’emissione della stessa e, quindi, nello stesso contesto temporale in cui COGNOME aveva presentato la disdetta alla società RAGIONE_SOCIALE, preliminare all’affidamento del servizio pubblico all’imputato.
Né il Collegio di appello ha argomentato in ordine agli altri elementi posti dal Tribunale a fondamento dell’epilogo decisorio di condanna, quali l’illegittimità dell’affidamento diretto del servizio pubblico alla società di RAGIONE_SOCIALE; il rapporto di amicizia intercorrente tra quest’ultimo e COGNOME; la carenza di documentazione relativa alle operazioni fatturate; l’annotazione manuale “comm. COGNOME“, apposta sull’estratto conto della società di RAGIONE_SOCIALE in corrispondenza della disposizione di pagamento della fattura emessa da RAGIONE_SOCIALE; il rinvenimento nella chiavetta USB, sequestrata a COGNOME, della fattura emessa da RAGIONE_SOCIALE alla società RAGIONE_SOCIALE.
Tale obbligo motivazionale si imponeva proprio in ragione della necessità di scardinare l’impianto argomentativo-dimostrativo della decisione di condanna di primo grado e di dare una puntuale spiegazione delle difformi conclusioni assunte.
3.3. Va poi aggiunto, fermo il superiore dirimente rilievo, che la tesi difensiva, condivisa dalla Corte di appello, fa perno sulla circostanza che la triangolazione delle fatture era stato un espediente ideato da COGNOME per vincere la resistenza di COGNOME, che non voleva pagare somme aggiuntive ripetto a quelle già corrisposte per lavori effettuati in suo favore dallo stesso COGNOME.
Sul punto, la Corte territoriale ha evidenziato che il teste COGNOME aveva affermato che COGNOME gli aveva detto che NOME COGNOME non voleva corrispondere i 6.000 euro di cui alle fatture incriminate; circostanza confermata da NOME COGNOME e dal teste COGNOME, il quale aveva ricordato le difficoltà di COGNOME ad ottenere il pagamento da parte di COGNOME.
Così argomentando, però, il Collegio di appello non pare confrontarsi adeguatamente con le trascrizioni delle deposizioni testimoniali, allegate al ricorso, da cui, come dedotto dalla Parte pubblica ricorrente, risulta che il teste COGNOME aveva affermato che COGNOME gli aveva detto che COGNOME non voleva corrispondere soldi «direttamente» allo stesso COGNOME (e non che non volesse corrispondere soldi a COGNOME. Va sottolineato sul punto che COGNOME è stato ritenuto credibile dalla stessa Corte di appello, che, però, ha effettuato una lettura parziale delle dichiarazioni del teste.
Dalle anzidette trascrizioni risulta, inoltre, che dalla deposizione di COGNOME non emerge con chiarezza che COGNOME non volesse far fronte alla richiesta di pagamento di prestazioni aggiuntive da parte di COGNOME; il teste COGNOME non ha riferito che COGNOME aveva difficoltà a ottenere il pagamento.
3.4. Alla luce di quanto precede, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano per nuovo giudizio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra ‹,-u ezione della Corte di appello di Milano. Così deciso il 18 settembre 2025. COGNOME