Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 30035 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 30035 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/07/2024
SENTENZA
Sul ricorso presentato da COGNOME NOME, nato a Perugia il DATA_NASCITA, avverso l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Perugia del 22 marzo 2024.
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale D.ssa
NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa il 22 marzo 2024, il G.I.P. presso il Tribunale di Perugia convalidava il provvedimento emesso dal AVV_NOTAIO di Perugia del 19/03/2024, con cui aveva imposto a NOME COGNOME l’obbligo di comparizione presso il comando Carabinieri o Polizia di stato che sarà indicato all’atto della notificazione in occasione di ogni incontro di calcio del Perugia (entro i primi 10′ e prima degli ultimi 10′ di gioco per le partite in casa e entro 20′ dall’inizio della partita per quelle in trasferta), per la durata di anni dieci.
Avverso l’ordinanza del G.I.P. il COGNOME, tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un unico motivo.
Il ricorrente deduce violazione dell’art. 606, comma 1, lettere c) ed e), cod. proc. pen., per difetto di motivazione sui presupposti dell’obbligo ‘di firma’ di cui all’art. 6, comma 5, legge n. 689/1981, avendo il Gip ha aderito in modo acritico alla prospettazione della autorità di P.S..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Preliminarmente il Collegio evidenzia come, in riferimento alle prescrizioni accessorie al c.d. «DASPO», disciplinate dall’articolo 6, comma 2, della l. n. 401/1989, la Corte Costituzionale (sentenza n. 512 del 2002), ha chiarito che «ancorché prefiguri una compressione di ‘portata e conseguenze molto più limitate sulla libertà personale del destinatario’ rispetto a misure quali l’arresto o il fermo di polizia giudiziaria (sentenza n. 144 del 1997), il provvedimento del questore rientra pur sempre ed a pieno titolo nelle previsioni dell’art. 13 della Costituzione»; da ciò discendono, da un lato, «la necessità di una adeguata motivazione del provvedimento da parte del questore, il quale … … è sempre tenuto a documentare e valutare accuratamente le ‘circostanze oggettive e soggettive’ che lo inducono a ritenere necessario, oltre il divieto di accesso, anche l’obbligo di presentazione al posto di polizia»; dall’altro, «deve coinvolgere la personalità del destinatario e le modalità di applicazione della misura (sentenza n. 143 del 1996), sostanziandosi in un controllo sulla ragionevolezza ed ‘esigibilità’ della misura disposta con il provvedimento medesimo (sentenza n. 136 del 1998) e consentendo, infine, al destinatario una piena e previa conoscenza dei diritti di difesa di cui può fruire in tale giudizio (sentenza n. 144 del 1997)».
Infine, il precetto costituzionale «obbliga il soggetto titolare del potere a ‘verificare la ricorrenza in concreto della necessità ed urgenza dell’intervento’, consentendo, conseguentemente al giudice della convalida di verificarne l’effettiva esistenza.
Il fatto che la legge, in ossequio all’art. 13 della Costituzione, abbia definito tassativamente i casi in cui il questore può imporre l’obbligo di comparizione, implica infatti che la stessa autorità di pubblica sicurezza debba motivare il provvedimento in relazione all’esistenza di situazioni di eccezionale necessità ed urgenza».
La misura in esame, pertanto, laddove si accompagni alle «prescrizioni» del questore determina in una compressione della libertà personale che rientra nei casi eccezionalmente previsti dall’articolo 13 della Carta fondamentale.
Quanto alla «natura» dell’obbligo di presentazione (precisazione che tornerà utile per quanto si vedrà al par. 4), esso consiste in una «misura di prevenzione personale» (non interessa stabilire ai presenti fini se «tipica» o «atipica» rispetto a quelle disciplinate dal d. lgs. N. 159/2011), come espressamente riconosciuto da Sez. U., n. 44273 del 27/10/2004, Labbia, RV. 229110, a mente della quale «non sembra possano sussistere dubbi che si tratti di misure di prevenzione. Ciò si ricava essenzialmente dalla funzione dichiaratamente diretta ad evitare la
consumazione di reati attinenti alla tutela dell’ordine pubblico in occasione di manifestazioni di carattere sportivo da parte di soggetti che, per precedenti condotte, siano ritenuti socialmente pericolosi. Certamente si tratta di una pericolosità sociale del tutto particolare perché riguarda persone che, spesso, hanno una normale vita di relazione estranea ai circuiti criminali; ma ciò non esclude le finalità di prevenzione anche se dirette a contrastare un limitato settore delle attività criminali o comunque pericolose per l’ordine pubblico».
Sotto diverso profilo, evidenzia la citata pronuncia che «conferma la natura di misura di prevenzione di questi provvedimenti la considerazione che si tratta di provvedimenti che prescindono dalla consumazione di un reato e dal suo accertamento definitivo e ciò porta ad escludere con certezza che si tratti di una misura di sicurezza».
La previsione dell’obbligo di firma non costituisce pertanto una «punizione aggiuntiva» rispetto al divieto di accesso alle manifestazioni sportive, bensì uno strumento attraverso cui fronteggiare la pericolosità sociale del destinatario del provvedimento, coerentemente con la natura prevenzionale dello strumento.
Quanto al perimetro dell’obbligo di motivazione del provvedimento, il Collegio evidenzia che se è vero- alla luce della giurisprudenza costituzionale dianzi evidenziata – che il questore debba motivare in ordine alle ragioni di necessità e urgenza che giustificano l’emissione del provvedimento, tale principio va tuttavia inserito all’interno di un corpus normativo in cui l’intervento dell’autorità di pubblica sicurezza non è «eccezionalmente sostitutivo» di poteri propri dell’autorità giudiziaria, come avviene nel caso delle misure precautelari dell’arresto o del fermo di indiziato di delitto operati ai sensi degli articoli 380, 381 e 384 cod. proc. pen., essendo, al contrario, l’imposizione delle prescrizioni espressione un potere «tipico» del questore.
A conferma della natura «originariamente amministrativa» del provvedimento, le Sez. U. n. 4444 del 29/11/2005, dep. 2006, Spinelli, Rv. 232712, hanno chiarito che la questione dell’annullamento per vizio di motivazione dell’ordinanza di convalida della misura in questione va tenuta distinta da quella relativa alla sorte della esecutività del provvedimento nel periodo intercorrente fra l’annullamento e il nuovo provvedimento adottato in sede di rinvio, sicché va dichiarata meramente «sospesa» (e non annullata, come sarebbe invece in caso di provvedimento solo formalmente amministrativo ma sostanzialmente giurisdizionale) l’efficacia del provvedimento impositivo del questore (conf.: Sez. 3, n. 49408 del 19/11/2009, COGNOME, Rv. 245893).
Da ciò discende che le ragioni di necessità ed urgenza, come suggerito anche dalla Consulta, debbono rinvenirsi proprio nella accurata verifica dei presupposti oggettivi e soggettivi di emanazione del provvedimento.
L’articolo 6 in esame prevede (nella parte che qui interessa) che il divieto di accesso alle competizioni sportive può essere disposto nei confronti di chi, sulla base di elementi di fatto, risulta avere tenuto, anche all’estero, una condotta, sia singola che di gruppo, evidentemente finalizzata alla partecipazione attiva ad episodi di violenza, di minaccia o di intimidazione, tali da porre in pericolo la sicurezza pubblica o a creare turbative per l’ordine pubblico nelle medesime
circostanze di cui al primo periodo. Alle persone alle quali è notificato il divieto di accesso, inoltre, il questore può prescrivere, tenendo conto dell’attività lavorativa dell’invitato, di comparire personalmente una o più volte negli orari indicati, nell’ufficio o comando di polizia competente in relazione al luogo di residenza dell’obbligato o in quello specificamente indicato, nel corso della giornata in cui si svolgono le manifestazioni per le quali opera il divieto.
Inoltre, e in ciò risiede una fondamentale differenza rispetto al quadro normativo analizzato dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza n. 512/2002 (secondo cui «la non automaticità del provvedimento e, quindi, la necessità di una sua ponderata motivazione e conformazione, richiedono anzitutto che l’autorità amministrativa, in presenza di un soggetto al quale ha irrogato il divieto di accesso, valuti comunque le ragioni di necessità e di urgenza che richiedono anche l’adozione dell’obbligo di comparizione»), a norma del comma 5, terzo periodo, della disposizione in esame, «nei confronti della persona già destinataria del divieto di cui al primo periodo è sempre disposta la prescrizione di cui al comma 2 e la durata del nuovo divieto e della prescrizione non può essere inferiore a cinque anni e superiore a otto anni», ciò che rende la applicazione delle prescrizioni non più discrezionale, ma obbligatoria in presenza di determinati requisiti.
I presupposti di «necessità» si esauriscono quindi, in questo caso, nella constatazione circa l’esistenza di un precedente divieto, oltre che nella valutazione, oggettiva, di partecipazione attiva ad atti di violenza in occasione delle competizioni sportive, e in quella, stavolta soggettiva, in ordine alla pericolosità sociale del soggetto. Si è, in conseguenza, ritenuto che non si richiedono inderogabilmente formule esplicite, ben potendo la sussistenza di detto requisito desumersi anche dalla gravità del fatto e dalla pericolosità del soggetto (Sez. 7, n. 39049 del 26/10/2006, COGNOME, Rv. 234961-01) essendo palese, in tali casi, l’esigenza di garantire, con l’obbligo di presentazione, l’osservanza del divieto (Sez. 3, n. 33861 del 09/05/2007, COGNOME, Rv. 237120-01; Sez. 4, n. 8083 del 15/01/2008, COGNOME, Rv. 238935 – 01).
Quanto al requisito dell’«urgenza», la giurisprudenza della Corte attribuisce allo stesso una portata circoscritta, ritenendo che la mancanza dei requisiti di necessità ed urgenza impedisce la convalida del provvedimento solo quando esso «abbia avuto esecuzione prima dell’intervento del magistrato», ossia quando tra la notifica all’interessato e l’adozione dell’ordinanza di convalida si collochi una manifestazione sportiva in coincidenza della quale l’interessato abbia dovuto ottemperare all’obbligo di presentazione, secondo quanto stabilito dal terzo comma, prima parte, del citato art. 6 della legge n. 401/1989 (cfr. Sez. 3, n. 28726 del 19/06/2024, COGNOME, n.m.; Sez. 3, n. 23305 del 28/01/2016 Rv. 267294 – 01 COGNOME; Sez. 3, n. 33861 del 09/05/2007, COGNOME, Rv. 237121). Entro tali ristretti confini può esercitarsi la censura al provvedimento questorile in riferimento al requisito in parola.
Inoltre, se il motivo del ricorso concerne la mancanza della motivazione in ordine al requisito dell’urgenza, è il ricorrente che deve dare la prova della limitazione della libertà subita; deve provare che il provvedimento ha avuto in concreto esecuzione prima dell’intervento del magistrato. In tal modo, deve provare il proprio interesse al ricorso: infatti, se il provvedimento
ha esecuzione dopo la convalida del magistrato, l’interessato non ha motivo di dolersi per la mancata motivazione sull’urgenza (così Sez. 3, n. 22256 del 06/05/2008, Dal Prà, Rv. 240244).
Quanto al «contenuto» del provvedimento impositivo, la Corte ritiene (v. da ultimo Sez. 3, n. 5747 del 24/01/23, COGNOME) che il provvedimento del AVV_NOTAIO debba essere congruamente motivato indicando:
le ragioni di necessità ed urgenza che hanno indotto il AVV_NOTAIO ad adottare il provvedimento;
la pericolosità concreta ed attuale del soggetto;
l’attribuibilità al medesimo delle condotte addebitate e la loro riconducibilità alle ipotesi previste dall’art. 6, legge 13 dicembre 1989, n. 401;
la congruità della durata della misura (cfr. Sez. 3, n. 20789 del 15/04/2010, COGNOME, Rv. 247186; Sez. 3, n. 17753 del 06/03/2018, COGNOME, Rv. 272778).
Nel caso di specie, il provvedimento questorile, richiamato testualmente dall’ordinanza impugnata, indicava con chiarezza i presupposti di applicazione della misura: si trattava di un c.d. «DASPO fuori contesto», ossia emanato in relazione a episodi di violenza non posti in essere nel contesto di manifestazioni sportive, ma a causa delle tensioni tra tifoserie (nel caso di specie, gruppi ultrà perugini tra loro antagonisti, ossia gli «RAGIONE_SOCIALE» e la «RAGIONE_SOCIALE»).
In dettaglio, un soggetto, erroneamente scambiato per un appartenente alla opposta fazione, veniva aggredito – mentre era all’interno della propria vettura – da un gruppo di tifosi della ‘RAGIONE_SOCIALE‘, tra cui il COGNOME, ripreso dal cellulare di un passeggero e riconosciuto dagli aggrediti.
Quanto alla pericolosità, il GIP evidenziava la sussistenza di numerosi precedenti penali per lesioni personali, rissa, resistenza a pubblico ufficiale, rifiuto di fornire la propria identità, molestia o disturbo alle persone, oltraggio a p.u., istigazione a delinquere in occasione di manifestazioni sportive, calunnia, autocalunnia, spaccio di stupefacenti.
Lo stesso, inoltre, risulta destinatario di due precedenti DASPO del 2005 e del 2013, a dimostrazione di una particolare ‘spinta aggressiva’ (così a pag. 4 l’ordinanza impugnata), circostanze tutte da cui il giudice ricava la proporzionalità della durata della misura imposta.
Il provvedimento fa buon governo delle regole di giudizio dianzi compendiate, non presentando, pertanto, profili di illogicità o contraddittorietà e la doglianza, che non si confronta in modo realmente critico con la motivazione del provvedimento impugnato, risulta pertanto inammissibile per genericità.
Il ricorso non può quindi che essere dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, che il Collegio ritiene di fissare, equitativamente, in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 15/07/2024.