Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 45204 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 45204 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 01/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a MAGLIE il 02/09/1980
avverso l’ordinanza del 08/05/2024 della CORTE APPELLO di LECCE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorsor
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe la Corte di appello di Lecce, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza avanzata nell’interesse di NOME COGNOME COGNOME avente ad oggetto il computo, a titolo di custodia cautelare, del periodo di sottoposizione all’obbligo di dimora con le prescrizioni di non allontanarsi dalla propria abitazione dalle ore 20.00 alle ore 06.00 e l’annullamento del provvedimento di revoca della sospensione condizionale della pena adottato dalla locale Procura generale il 16 ottobre 2023 e la conseguente rideterminazione della pena residua da eseguire.
In ordine al primo profilo, ha richiamato il principio di tassatività dei periodi computabili ai fini della pena detentiva e della fungibilità solo di quelli di custodia cautelare e arresti domiciliari ex art. 284, comma 5, cod. proc. pen., escludendo che l’imposizione di prescrizioni ulteriori, nel caso di specie, abbia comportato una restrizione estrema della libertà di movimento.
Con riguardo alla seconda domanda, ha evidenziato come, con il provvedimento del 16 ottobre 2023, non sia stata disposta la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena concesso con sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce del 15 giugno 2018.
L’eliminazione del beneficio è conseguita, infatti, al riconoscimento del vincolo della continuazione tra quella sentenza ed altra del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brindisi del 24 febbraio 2021, confermata dalla Corte di appello di Lecce il 9 giugno 2022, ormai irrevocabile.
Al riconoscimento della continuazione è conseguita la rideternninazione della pena nella misura di tre anni di reclusione, eccedente rispetto ai limiti di cui all’art. 163 cod. pen.
Avverso il provvedimento ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME per mezzo del proprio difensore, Avv. NOME COGNOME articolando due motivi.
2.1. Con il primo ha eccepito violazione di legge e vizio di motivazione per avere il giudice dell’esecuzione applicato il principio della infungibilità al periodo di sottoposizione all’obbligo di dimora.
La questione posta dal ricorrente era, invece, quella del computo del periodo di sottoposizione alla misura non detentiva ai fini della determinazione della pena.
Nel caso di specie, il periodo di sottoposizione all’obbligo di dimora, connotato da particolare afflittività in quanto accompagnato dall’imposizione del divieto di allontanamento dalle 20.00 alle 06.00, avrebbe dovuto essere
considerato ai fini del presofferto e, dunque, della determinazione della pena da eseguire.
2.2. Con il secondo motivo ha eccepito i medesimi vizi in relazione alla revoca della sospensione condizionale della pena.
In primo luogo, ha evidenziato che la sentenza del 2023 che ha determinato la competenza della Procura generale all’emissione dell’ordine di esecuzione è divenuta irrevocabile dopo cinque anni da quella del 2018 (relativa a reato posto in continuazione con la predetta sentenza) con la quale era stato concesso il beneficio della sospensione condizionale.
Pertanto, quel beneficio non poteva essere revocato.
Ciò anche in virtù di quanto disposto dall’art. 167 cod. pen. che disciplina l’effetto estintivo che si produce in tema di pena condizionalmente sospesa.
Effetto che, nel caso di specie, si era prodotto alla scadenza del termine di cinque anni oltre i quali era intervenuta la sentenza del 2023 che ha determinato la revoca del beneficio.
Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non merita accoglimento.
2. Il primo motivo è infondato.
Viene pacificamente in questione il tema dei criteri di determinazione della pena da eseguire e del correlato principio di tassatività, pacificamente desunto dalla giurisprudenza di questa Corte dal combinato disposto degli artt. 657, 285, comma 3 e 284, comma 5, cod. proc. pen.
Sufficientemente consolidato, sul punto, l’orientamento secondo cui «ai fini della determinazione della pena detentiva da eseguire a seguito di condanna per un determinato reato, la misura cautelare dell’obbligo di dimora subita in relazione ad esso non è fungibile con la pena inflitta» (Sez. 1, n. 47428 del 28/11/2007, COGNOME, Rv. 238174).
Sez. 1, n. 36231 dei 08/11/2016, dep. 2017, Curea, Rv. 271043, ha anche respinto una questione di legittimità costituzionale dell’art. 657 cod. proc. pen., ricordando che essa è stata dichiarata manifestamente infondata dalla Corte costituzionale, con l’ordinanza n. 215/1999 che ha affermato l’erroneità di una pretesa assimilazione agli arresti domiciliari dell’obbligo di dimora, anche quando aggravato dall’obbligo di non allontanarsi da casa in alcune ore del giorno.
E’ costante, altresì, l’affermazione secondo cui, ferma restando la non
applicabilità dell’art. 657 cod. proc. pen. a misure cautelari diverse da quelle detentive, il periodo trascorso in applicazione di un’altra misura cautelare, in particolare l’obbligo di dimora, può essere ritenuto fungibile qualora essa sia accompagnata dall’arbitraria imposizione di obblighi tali da renderla assimilabile a quella degli arresti domiciliari.
Il giudice deve, quindi, valutare la concreta afflittività e arbitrarietà degli ulteriori limiti imposti all’imputato, oltre all’obbligo di dimora, al fine di stabil se, nel caso concreto, la misura imposta abbia comportato una limitazione della libertà di movimento tale da renderla equiparabile agli arresti domiciliari, in quanto fortemente, e arbitrariamente, riduttiva della possibilità di usufruire liberamente del tempo solitamente dedicato al lavoro e alla vita sociale, ferma restando la sua diversità ontologica da tale, più grave, misura cautelare.
In tal senso, Sez. 1, n. 37302 del 09/09/2021, COGNOME, Rv. 281908, secondo cui «ai fini della determinazione della pena detentiva da eseguire a seguito di condanna per un determinato reato, la misura cautelare dell’obbligo di dimora subita in relazione ad esso, non è fungibile, ai sensi dell’art. 657 cod. proc. pen., con la pena inflitta, salvo che sia accompagnata dall’arbitraria imposizione all’imputato di obblighi tali da renderla assimilabile al regime degli arresti domiciliari. (In motivazione la Corte ha aggiunto che l’elemento caratterizzante l’assimilazione delle due misure consiste nell’imposizione arbitraria dell’obbligo della permanenza domiciliare per un lasso temporale eccedente sia le specifiche esigenze cautelari che quello usualmente trascorso nella dimora per le ordinarie necessità di vita, riposo e cura della propria ed altrui persona)».
In tal senso, testualmente, anche Sez. 1, n. 5295 del 13/10/2023, dep. 2024, Catania, n.m. citata anche nell’ordinanza impugnata.
Il giudice dell’esecuzione si è conformato ai principi sin qui illustrati spiegando compiutamente per quale ragione, nel caso specifico, le ulteriori prescrizioni all’obbligo di dimora (non uscire di casa dalle 20.00 alle 06.00) non possano essere considerate estremamente afflittive, tenuto conto della piena salvaguardia del diritto di libertà di movimento per tutte le ore del giorno e della facoltà di frequentare, nel comune di Otranto, luoghi e persone «senza ulteriori restrizioni».
Si tratta di valutazione compiuta dalla Corte di appello di Lecce nell’esercizio della propria piena discrezionalità, rispetto alla quale è stata offerta una motivazione priva di vizi evidenti e pienamente coerente con i principi di diritto che governano la materia.
3. Il secondo motivo è inammissibile.
Viene lamentata la revoca della sospensione condizionale della pena concessa con sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce del 15 giugno 2018 per effetto del riconoscimento della continuazione con altra sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brindisi del 24 febbraio 2021, confermata dalla Corte di appello di Lecce con statuizione coperta da giudicato.
La continuazione e, dunque, la revoca della sospensione condizionale della pena oggetto dell’istanza avanzata al giudice dell’esecuzione, è stata riconosciuta in sede di cognizione con decisione ormai definitiva.
Tanto risulta dalla disamina del provvedimento di cumulo agli atti.
La questione posta dal condannato, quindi, non può costituire oggetto di incidente di esecuzione.
Il motivo di censura, semmai, avrebbe dovuto formare oggetto di impugnazione avverso la sentenza che ha rideterminato la pena complessiva in misura superiore, peraltro, ai limiti di concedibilità della sospensione condizionale, ossia in tre anni di reclusione.
Si tratta, per inciso, di sentenza che si è attenuta al costante principio di diritto secondo cui l’unificazione delle pene ai sensi dell’art. 81 cod. pen. di una nuova condanna con altri già giudicati in precedenza impone una nuova delibazione sulle condizioni alle quali l’art. 163 cod. pen. subordina la concessione della sospensione condizionale.
E’ stato efficacemente chiarito come tale valutazione «escluso ogni automatismo, deve (…) riguardare, venuta meno – perché riconosciuto, su istanza dello stesso imputato, il vincolo della continuazione tra reati e non perché revocata ai sensi dell’art. 168 cod. pen. – la sospensione precedente, innanzitutto il superamento per effetto del cumulo giuridico tra le pene dei limiti massimi per la concedibilità della sospensione condizionale e, in ogni caso, anche se tali limiti non siano superati, il rinnovo della prognosi di non recidività, richiesta agli effetti del medesimo beneficio». (fra le molte, Sez. 1, 39217 del 12/02/2014, COGNOME, Rv. 260502, in motivazione).
Alla luce di quanto illustrato, discendono il complessivo rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 01/10/2024