Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 5295 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 5295 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI MILANO nel procedimento a carico di:
NOME nato a DESIO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 10/03/2023 del GIP TRIBUNALE di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del procuratore generale, nella persona del sostituto procuratore NOME COGNOME, che ha chiesto, con requisitoria scritta, l’annullamento senza rinvio del provvedimento.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 10 marzo 2023 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, quale giudice dell’esecuzione, ha accolto la richiesta presentata da NOME COGNOME ed ha riconosciuto la fungibilità dell’obbligo di dimora, a cui egli è stato sottoposto in data 13/07/2018, con la residua pena da espiare in seguito alla condanna emessa il 19/02/2021. Ha perciò detratto dalla pena da espiare, calcolata dal pubblico ministero in tre anni, sette mesi e ventotto giorni di reclusione, il periodo dal 13/07/2018 al 04/04/2019, rideterminando detta pena in due anni e undici mesi di reclusione.
Secondo il Tribunale la misura non detentiva applicata al COGNOME doveva essere ritenuta assimilabile agli arresti domiciliari perché, oltre all’obbligo di dimora nel Comune di Desio, prevedeva quello di trattenersi in casa dalle ore 18.00 alle ore 9.00. La lunga durata di tale obbligo, ben quindici ore, unito al fatto che l’obbligo di dimora vigeva in una piccola località quale il Comune indicato, limitava in modo rilevante la libertà di movimento del sottoposto, tanto da poter essere detta misura assimilata ad un misura detentiva. Tale obbligo, inoltre, era stato imposto senza una specifica ragione che giustificasse una limitazione così lunga, ed era stato pertanto imposto in modo arbitrario, cioè senza una effettiva esigenza cautelare.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, articolando un unico motivo con il quale deduce la errata applicazione della legge, con violazione degli artt. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. e 657 cod. proc.pen.
La giurisprudenza di legittimità attribuisce rilievo alla sostanzialità della misura, stabilendo di computare, come presofferto, la custodia cautelare subita, indipendentemente dal nomen iuris attribuitole e quindi ogni qual volta essa sia, in concreto, assimilabile ad una misura detentiva, in particolare agli arresti domiciliari. Il giudice dell’esecuzione, invece, ha fondato il suo provvedimento su una interpretazione estensiva dell’art. 657 cod.proc.pen., affermando che essa deve essere intesa come una norma di apertura e non di chiusura, che consente l’equiparazione delle misure non detentive a quelle detentive, in particolare agli arresti domiciliari, quando siano particolarmente rigide e afflittive. Le due misure mantengono, però, la loro differenza strutturale: negli arresti domiciliari, l’allontanamento dall’abitazione è concesso solo in via eccezionale, e anche quando il soggetto è autorizzato ad allontanarsi egli rimane in stato di detenzione tanto che, in caso di trasgressione di tale autorizzazione, egli commette il delitto di evasione. Il soggetto sottoposto all’obbligo di dimora,
invece, è libero di spostarsi nel territorio stabilito, non può essere sottoposto al divieto di comunicare con estranei, e in caso di trasgressione delle prescrizioni imposte non commette alcun reato. Non è perciò condivisibile la valutazione compiuta nell’ordinanza impugnata, di una completa equiparazione della misura imposta al COGNOME con quella degli arresti domiciliari.
I casi sottoposti all’esame della Corte di cassazione, nelle sentenze citate nell’ordinanza, erano relativi a misure a cui erano state applicate ulteriori prescrizioni, effettivamente tali da obbligare alla permanenza in casa per un tempo ben superiore a quello che vi viene usualmente trascorso per le ordinarie esigenze di vita e di riposo, mentre nel caso del COGNOME l’obbligo riguardava per lo più le ore notturne, lasciando piena libertà di movimento negli orari solitamente destinati al lavoro o alla vita sociale.
L’ordinanza è inoltre errata perché, equiparando agli arresti domiciliari la misura in concreto applicata al COGNOME, formula una interpretazione estensiva dell’art. 657 cod.proc.pen., che non è consentita stante la tassatività delle ipotesi in esso previste.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto l’accoglimento del ricorso, con annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
GLYPH Il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano è fondato e deve essere accolto.
1.1. GLYPH L’ordinanza propone un’interpretazione estensiva dell’art. 657 cod.proc.pen., affermando che esso deve essere letto «pensando alla sua massima estensione e non come norma di chiusura ma come norma di apertura», ma tale interpretazione non è corretta, essendo stata sempre ribadita, da questa Corte, la tassatività dei periodi computabili a titolo di pena detentiva da espiare, precisando che la norma consente la fungibilità solo con riferimento alla custodia cautelare e agli arresti domiciliari, in virtù del disposto dell’art. 284, comma 5, cod.proc.pen..
Il principio di tassatività è stato dettato già dalle sentenze Sez. 1, n. 17223 del 26/02/2001, Rv., 218764 e Sez. 1, n. 47428 del 28/11/2007, Rv. 238174, ed è stato ribadito da tutte le pronunce successive, tra cui quelle citate nell’ordinanza stessa. La sentenza Sez. 1, n. 36231 dei 08/11/2016 (dep. 2017), Rv. 271043, ha anche respinto una questione di legittimità costituzionale della norma, ricordando che essa è stata dichiarata manifestamente infondata dalla Corte costituzionale, con l’ordinanza n. 215/1999 che ha affermato
l’erroneità di una pretesa assimilazione agli arresti domiciliari dell’obbligo di dimora, anche quando aggravato dall’obbligo di non allontanarsi da casa in alcune ore del giorno. Anche la sentenza citata nel corpo della motivazione come emessa dalla Sez. 1 in data 13 marzo 2020, rectius la n. 10062/2020 emessa in data 25/02/2020, conferma tale principio e non propone, invero, alcuna interpretazione estensiva dell’art. 657 cod.proc.pen.
Questa Corte, in tutte le sue pronunce, ha in realtà affermato che, ferma restando la non applicabilità dell’art. 657 cod.proc.pen. a misure cautelari diverse da quelle detentive, il periodo trascorso in applicazione di un’altra misura cautelare, in particolare l’obbligo di dimora, può essere ritenuto fungibile qualora essa sia accompagnata dall’arbitraria imposizione di obblighi tali da renderla assimilabile alla misura degli arresti domiciliari. Il giudice deve, quindi, valutare la concreta afflittività e arbitrarietà degli ulteriori limiti imposti all’imputato, o all’obbligo di dimora, al fine di stabilire se, nel caso concreto, la misura imposta abbia comportato una limitazione della libertà di movimento tale da renderla equiparabile agli arresti donniciliari, in quanto fortemente, e arbitrariamente, riduttiva della possibilità di usufruire liberamente del tempo solitamente dedicato al lavoro e alla vita sociale, ferma restando la sua diversità ontologica da tale, più grave, misura cautelare. In particolare tale principio è stato ribadito, recentemente, oltre che dalla sentenza sopra citata, non nnassimata, da Sez. 1, n. 37302 del 09/09/2021, Rv. 281908, secondo cui «Ai fini della determinazione della pena detentiva da eseguire a seguito di condanna per un determinato reato, la misura cautelare dell’obbligo di dimora subita in relazione ad esso, non è fungibile, ai sensi dell’art. 657 cod. proc. pen., con la pena inflitta, salvo che sia accompagnata dall’arbitraria imposizione all’imputato di obblighi tali da renderla assimilabile al regime degli arresti domiciliari. (In motivazione la Corte ha aggiunto che l’elemento caratterizzante l’assimilazione delle due misure consiste nell’imposizione arbitraria dell’obbligo della permanenza domiciliare per un lasso temporale eccedente sia le specifiche esigenze cautelari che quello usualmente trascorso nella dimora per le ordinarie necessità di vita, riposo e cura della propria ed altrui persona)». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.2. L’ordinanza impugnata non si è, pertanto, conformata ai principi sopra indicati, in quanto ha genericamente affermato che la misura dell’obbligo di dimora nel Comune di Desio imposta all’imputato era «sostanzialmente assimilabile al regime degli arresti domiciliari» perché accompagnata dal divieto di lasciare l’abitazione per un periodo di quindici ore, e perché imposta «nella piccola località ove risiedeva l’imputato quindi con ulteriori ridotte facoltà di movimento». Il giudice avrebbe dovuto, invece, valutare se l’ulteriore obbligo di trattenersi nell’abitazione eccedesse il tempo abitualmente trascorso in casa per
svolgere le ordinarie attività di riposo e cura, alla luce del concreto contenuto dell’obbligo stesso. Nel caso di specie avrebbe dovuto, in particolare, valutare che l’orario imposto occupa, per la sua maggior parte, le ore notturne, cioè il periodo in cui abitualmente le persone si trattengono nella propria abitazione, e che solo occasionalmente viene dedicato, in parte, ad attività da svolgersi all’esterno, mentre all’imputato è stata lasciata la piena libertà di movimento, con i soli limiti imposti dall’obbligo di dimora, per il tempo e gli orari propri di una normale giornata lavorativa.
L’ordinanza è, poi, del tutto erronea laddove assimila la misura dell’obbligo di dimora a quella degli arresti domiciliari anche perché imposta in una piccola località, in quanto anche ciò limiterebbe la facoltà di movimento dell’imputato. La libertà di movimento non è correlata alla grandezza dell’area territoriale in cui l’imputato è obbligato a trattenersi, essendo questa, in ogni caso, notevolmente più ampia del luogo in cui viene abitualmente scontata la misura degli arresti domiciliari. Affermare il contrario significa eliminare ogni differenza tra la misura dell’obbligo di dimora e quella degli arresti domiciliari quando la prima venga applicata a carico di persone dimoranti nei molti Comuni italiani di piccole dimensioni, mentre la diversità della limitazione alla libertà di movimento imposta dalle due misure è di assoluta ed immediata evidenza.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, accolto, e l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano per un nuovo giudizio, da svolgersi con piena libertà valutativa, ma nel rispetto dei principi sopra puntualizzati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al G.i.p. del Tribunale di Milano.
Così deciso il 13 ottobre 2023
Il Consigliere estensore
GLYPH
Il Presidente