Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 12413 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 12413 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 21/01/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME DI NOME COGNOME NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il 28/10/1976 in ALBANIA avverso l’ordinanza del 14/10/2024 della CORTE di APPELLO di FIRENZE visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Firenze ha rigettato l’istanza presentata da NOME COGNOME avente ad oggetto la ricomprensione del periodo trascorso in regime di obbligo di dimora, con prescrizioni orarie di permanenza domiciliare, nel computo del residuo di pena da eseguire, ai sensi dell’art. 657 cod. proc. pen.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, a mezzo dell’avv. NOME COGNOME deducendo violazione dell’art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87, in relazione alla declaratoria di manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 657 cod. proc. pen., posta con riferimento agli artt. 3, 13 e 27 terzo comma Cost., nonchØ all’art. 117 Cost., quale parametro interposto dell’art. 5 CEDU, nella parte in cui non prevede che – nel calcolare l’entità della pena residua da eseguire – si debba tenere conto anche del periodo di tempo trascorso dal condannato in condizioni di assoggettamento alla misura dell’obbligo di dimora, correlata alla prescrizione di permanenza all’interno del domicilio in determinati orari. Non si Ł adeguatamente valutato come la misura dell’obbligo di dimora, a differenza di quella dell’obbligo di presentazione alla p.g., eserciti sul piano qualitativo una incidenza analoga – rispetto alla misura degli arresti domiciliari – sulla libertà della persona che vi sia sottoposta. La diversa natura e funzione che rivestono le restrizioni cautelari, rispetto a quelle che sono proprie di istituti operanti nel campo della esecuzione della pena, infine, non costituisce legittimo motivo di discrimine, fra queste e le misure cautelari cd. non detentive.
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso
La Corte territoriale ha escluso – con motivazione congrua e non manifestamente illogica – che, nonostante la prescrizione accessoria di permanenza presso l’abitazione in orario notturno, l’indicata misura coercitiva possa essere equiparata, agli effetti che ora interessano, a una misura di tipo detentivo. Il condannato assume che il periodo nel quale fu sottoposto all’obbligo di dimora debba essere scontato, dal totale della pena residua da espiare; tale richiesta Ł inconciliabile, però, con il divieto testuale di cui all’art. 657 cod. proc. pen., tanto che la difesa propone la questione di legittimità costituzionale. Trattasi, però, di questione già dichiarata manifestamente infondata.
In definitiva, la circostanza che la misura cautelare coercitiva dell’obbligo di dimora afferisca alla tutela delle esigenze cautelari, enucleate dall’art. 274 cod. proc. pen., non consente di assimilarla alle pene da eseguire all’esito del passaggio in giudicato di una sentenza di condanna, nØ di inserirla nella fase trattamentale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso Ł infondato.
In punto di ammissibilità, in sede di legittimità, dell’impugnazione a mezzo della quale si deduca unicamente una questione di legittimità costituzionale, in precedenza già disattesa, occorre rifarsi al dictum di Sez. 6, n. 25005 del 07/05/2024, COGNOME, Rv. 286713 – 02, a mente della quale: ‹‹¨ ammissibile il ricorso per cassazione con il quale si deduca esclusivamente l’illegittimità costituzionale della disposizione applicata dal giudice di merito, in quanto comporta pur sempre una censura di violazione di legge riferita alla sentenza impugnata, a condizione che sussista la rilevanza della questione, nel senso che dall’accoglimento di essa consegua un effetto favorevole per il ricorrente, in termini di annullamento, anche parziale, della sentenza››; nello stesso senso, si vedano Sez. 6, n. 37796del 08/04/2020, COGNOME, Rv. 280961 – 01 e Sez. 1, n. 20702 del 16/06/2020, COGNOME, Rv. 279376 – 01).
Il Collegio condivide tali regole ermeneutiche e, in applicazione delle stesse, ritiene che sia consentito riproporre – nel giudizio di legittimità – il motivo attinente a una questione di legittimità costituzionale, ritenuta infondata in sede di merito. Tanto andava preliminarmente precisato, con riferimento alla esperibilità della sopra esposta tipologia di impugnazione.
La Corte territoriale ha disatteso, nei confronti di COGNOME, la richiesta volta a ottenere il computo ex art. 657 cod. proc. pen. – nella pena residua da espiare – del periodo di tempo trascorso in regime di obbligo di dimora, con prescrizione di permanenza domiciliare; in ipotesi difensiva, invece, sarebbe possibile stabilire una equipollenza, tra la misura restrittiva di massimo rigore e l’obbligo di dimora con prescrizioni, della quale viene prospettata una natura sostanzialmente detentiva.
L’impugnato provvedimento, però, Ł sorretto da una struttura motivazionale esaustiva e puntuale, oltre ad esser privo del pur minimo spunto di contraddittorietà e, infine, pienamente conforme ai principi di diritto ripetutamente elaborati da questa Corte.
3.1. Il giudice dell’esecuzione, contestualmente, ha disatteso la relativa questione di illegittimità costituzionale, che Ł stata pedissequamente riproposta mediante la presente impugnazione, andando essa a costituire, pertanto, l’unico motivo di ricorso.
Come correttamente ricordato dalla Corte territoriale, la suddetta tematica Ł già stata sottoposta al vaglio di conformità costituzionale ed Ł stata giudicata manifestamente infondata [si veda Corte Cost., sentenza n. 215 del 1999, a mente della quale: ‹‹¨ manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., la questione di legittimità costituzionale degli artt. 657, commi 1 e 3, cod. proc. pen. e 57 l. 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui
non prevedono che il condannato possa chiedere al p.m. che per la determinazione della sanzione sostitutiva da eseguire, quando questa sia la libertà controllata, siano computati i periodi espiati in applicazione dell’obbligo di dimora ai sensi dell’art. 283, comma 4, stesso codice, in quanto – posto che, mentre la persona sottoposta alla misura degli arresti domiciliari, ancorchØ autorizzata ad assentarsi dal luogo degli arresti “nel corso della giornata” (e, quindi, non per piø giorni consecutivi) per cause specifiche e per recarsi in luoghi determinati, non cessa per ciò solo di essere in stato di custodia e, pertanto, in una condizione di “non libertà”, la persona sottoposta alla misura dell’obbligo di dimora Ł invece “libera” nell’ambito del territorio individuato dalla ordinanza applicativa, anche nell’ipotesi in cui le venga prescritto l’obbligo di non allontanarsi dall’abitazione in alcune ore del giorno – risulta palesemente erronea la pretesa assimilazione delle due misure, sicchØ non può nella specie ravvisarsi alcuna violazione ne’ del principio di uguaglianza e di ragionevolezza, ne’ di quello “di umanità della pena” ai sensi dell’art. 27 Cost., non potendosi in alcun modo riconnettere alla misure cautelari caratteristiche e funzioni di tipo sanzionatorio››].
In epoca antecedente rispetto a tale pronuncia, inoltre, si era pronunciata anche questa Corte, che aveva parimenti ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 282, 283 e 657 cod. proc. pen – con riferimento agli artt. 13 e 16 Cost. – laddove non equiparano le misure coercitive dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, del divieto e dell’obbligo di dimora alla custodia cautelare in carcere, in vista della possibilità di applicare il criterio della fungibilità sulla sanzione sostitutiva da espiare. Ciò in quanto, anzitutto, deve escludersi che il legislatore abbia considerato l’assoggettamento dell’indagato – o dell’imputato – alle sopra indicate misure coercitive, quale fattore talmente limitativo della libertà del soggetto e così incisivamente afflittivo, da poterlo considerare di valenza equivalente, rispetto allo status custodiale; inoltre, non risulta violata la garanzia rappresentata dall’esistenza di un provvedimento motivato, proveniente dall’autorità giudiziaria, atteso che Ł il magistrato di sorveglianza a disporre circa le modalità di esecuzione della sanzione sostitutiva della pena (Sez. 1, n. 3372 del 05/06/1995, COGNOME, Rv. 202407 – 01; si veda anche Sez. 6, n. 1171 del 23/03/1995, COGNOME, Rv. 201445 – 01, che ha così statuito: ‹‹¨ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 657 cod. proc. pen. nella parte in cui non consente al pubblico ministero, ai fini della determinazione della pena da eseguire, di tenere conto del periodo in cui l’imputato Ł stato sottoposto all’obbligo di dimora ed all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, per contrasto con gli artt.3, 13, secondo comma, e 27, primo comma, della Costituzione; la possibilità, infatti che in seguito alle sentenze della Corte Cost. n.343/87 e 282/89 Ł data al magistrato di sorveglianza di tenere conto, ai fini della determinazione della residua pena nei casi di revoca dell’affidamento in prova e della liberazione condizionale, della durata delle limitazioni patite dal condannato nel periodo di prova o di libertà condizionale, trova la sua ragione nella particolare funzione svolta dal magistrato di sorveglianza, chiamato alla valutazione della persona e del suo comportamento ai fini del giudizio prognostico in ordine alla pericolosità ed alla possibilità di reinserimento nel tessuto sociale, nonchØ nelle finalità delle misure alternative alla detenzione, volte alla rieducazione del reo, ben diverse sia dalla funzione attribuita al pubblico ministero, chiamato in sede di esecuzione ad un mero esercizio di calcolo matematico che prescinde da valutazioni di tipo diverso, sia dalle finalità proprie delle anzidette misure cautelari››).
3.2. Per sola completezza di analisi, giova ricordare che – secondo quanto condivisibilmente ricordato dalla Corte territoriale – nella giurisprudenza di legittimità si Ł da tempo formato un orientamento unanime, che questo Collegio condivide, secondo il quale «ai fini della determinazione della pena detentiva da eseguire a seguito di condanna per un determinato reato, la misura cautelare dell’obbligo di dimora subita in relazione ad esso, non Ł fungibile, ai sensi dell’art. 657 cod. proc. pen.,con la pena inflitta, salvo che sia accompagnata dall’arbitraria imposizione all’imputato di
obblighi tali da renderla assimilabile al regime degli arresti domiciliari» (Sez. 1, n. 36231 del 08/11/2016 – dep. 2017, COGNOME, Rv. 271043; Sez. 1, n. 3664 del 19/01/2012, COGNOME, Rv. 251861).
AffinchØ si possa porre il dedotto problema di equiparabilità e, consequenzialmente, sia possibile discorrere tanto della natura sostanzialmente detentiva della suddetta misura coercitiva non custodiale, quanto della sua fungibilità, in punto di determinazione della pena da eseguire, occorre dunque la sussistenza di una arbitraria imposizione di prescrizioni. Al soggetto richiedente, insomma, devono risultare imposti obblighi vanamente afflittivi – e arbitrariamente limitativi della libertà personale – che siano di tale rigore, da rendere la misura non custodiale praticamente equipollente rispetto al regime degli arresti domiciliari. Una situazione che, del tutto correttamente e con motivazione nØ contraddittoria, nØ illogica – Ł stata reputata insussistente, nella concreta vicenda.
4. Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone il rigetto del ricorso; segue lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 21/01/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME
ex