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Obbligo di dimora: non si sconta dalla pena finale

Un condannato ha richiesto che il periodo trascorso in regime di obbligo di dimora, con l’aggiunta di una prescrizione di permanenza domiciliare notturna, venisse detratto dalla sua pena residua. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando che l’obbligo di dimora non è una misura detentiva equiparabile agli arresti domiciliari. Pertanto, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, non può essere scontato dalla pena finale, poiché la limitazione della libertà personale non ha la stessa intensità di una misura detentiva.

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Pubblicato il 19 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Obbligo di Dimora: la Cassazione nega lo scomputo dalla pena

Il tempo trascorso in obbligo di dimora, anche se aggravato da prescrizioni di permanenza notturna in casa, non può essere detratto dalla pena detentiva finale. Questo è il principio ribadito dalla Corte di Cassazione, Prima Sezione Penale, con la sentenza n. 12413 del 2025. La decisione chiarisce ancora una volta la netta distinzione tra misure cautelari detentive e non detentive ai fini della cosiddetta “fungibilità della pena”.

I fatti del caso

Il caso ha origine dal ricorso di un condannato che, durante la fase delle indagini, era stato sottoposto alla misura cautelare dell’obbligo di dimora. A tale misura era stata aggiunta una prescrizione specifica: l’obbligo di rimanere presso la propria abitazione durante le ore notturne.
Una volta divenuta definitiva la condanna, l’interessato ha presentato un’istanza alla Corte di Appello di Firenze, chiedendo che il periodo trascorso sottostando a queste restrizioni venisse calcolato e sottratto dal totale della pena da espiare, ai sensi dell’art. 657 del codice di procedura penale.
La richiesta si basava sull’idea che l’obbligo di permanenza domiciliare notturna rendesse la misura qualitativamente simile agli arresti domiciliari, incidendo in modo significativo sulla libertà personale. Di fronte al rigetto della Corte d’Appello, il condannato ha proposto ricorso per cassazione, sollevando una questione di legittimità costituzionale.

La decisione della Corte di Cassazione sull’obbligo di dimora

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione del giudice dell’esecuzione. I giudici hanno respinto l’argomentazione del ricorrente, basando la loro decisione su un orientamento giurisprudenziale consolidato e su precedenti pronunce della Corte Costituzionale.
La Cassazione ha chiarito che esiste una differenza sostanziale e non solo formale tra le misure cautelari detentive (custodia in carcere, arresti domiciliari) e quelle non detentive, come l’obbligo di dimora. Solo le prime sono considerate “fungibili”, ovvero possono essere scontate dalla pena finale.

Le motivazioni della sentenza

La Corte ha articolato le sue motivazioni su alcuni punti cardine:

1. Natura della Misura: L’obbligo di dimora, anche con prescrizioni orarie, non trasforma la sua natura. La persona sottoposta a tale misura è considerata “libera” all’interno del territorio comunale durante il giorno e non si trova in uno “stato di custodia” o di “non libertà” come chi è agli arresti domiciliari. La limitazione, per quanto significativa, non equivale a una privazione totale della libertà di movimento.

2. Precedenti Costituzionali: I giudici hanno richiamato la sentenza n. 215 del 1999 della Corte Costituzionale, la quale aveva già giudicato “manifestamente infondata” una questione identica. La Consulta aveva stabilito che la pretesa di assimilare le due misure è erronea, poiché non si può ravvisare una violazione né del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) né di quello di umanità della pena (art. 27 Cost.). Le misure cautelari, infatti, hanno finalità procedurali e non sanzionatorie.

3. Funzione Diversa: Le restrizioni cautelari rispondono a esigenze processuali (art. 274 c.p.p.), come evitare il pericolo di fuga o di reiterazione del reato. L’esecuzione della pena, invece, ha una funzione retributiva e rieducativa. Questa differenza di scopo impedisce un’assimilazione automatica ai fini del computo della pena.

4. L’Eccezione dell’Arbitraria Afflittività: La Cassazione ha riconosciuto un’unica, strettissima eccezione. La fungibilità potrebbe essere discussa solo se le prescrizioni imposte fossero talmente arbitrarie, irragionevoli e afflittive da rendere, di fatto, la misura non custodiale praticamente equipollente agli arresti domiciliari. Tale situazione, valutata come insussistente nel caso di specie, rappresenta un’ipotesi limite e non la regola.

Le conclusioni

In conclusione, la sentenza riafferma un principio fondamentale del nostro ordinamento processuale: non tutte le limitazioni alla libertà personale subite prima della condanna definitiva possono essere detratte dalla pena. La distinzione qualitativa tra misure detentive e coercitive non detentive rimane netta. L’obbligo di dimora, per sua natura, non priva il soggetto della libertà in modo continuativo e totale, e pertanto il tempo trascorso in tale regime non riduce la durata della pena detentiva da scontare. La decisione sottolinea come solo un’imposizione di obblighi palesemente arbitrari e sproporzionati potrebbe, in via del tutto eccezionale, aprire la strada a una diversa valutazione.

Il periodo trascorso in obbligo di dimora si può sottrarre dalla pena da scontare?
No, di norma non è possibile. La Cassazione ha ribadito che l’obbligo di dimora non è una misura detentiva come la custodia cautelare in carcere o gli arresti domiciliari, e quindi non è “fungibile” con la pena detentiva finale.

Cosa succede se all’obbligo di dimora si aggiunge la prescrizione di restare a casa in certi orari, come di notte?
Anche in questo caso, la misura non diventa automaticamente equiparabile agli arresti domiciliari. La Corte ha chiarito che, nonostante la restrizione, la persona rimane “libera” nel territorio del comune durante il resto della giornata, una condizione qualitativamente diversa dalla detenzione domiciliare.

Esistono eccezioni in cui l’obbligo di dimora può essere considerato detentivo ai fini dello scomputo pena?
Sì, ma solo in casi eccezionali e teorici. Ciò avviene quando le prescrizioni imposte sono talmente arbitrarie, irragionevoli e restrittive da rendere la misura, di fatto, identica agli arresti domiciliari. Deve trattarsi di un’imposizione vanamente afflittiva, circostanza che non è stata riscontrata nel caso di specie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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