Obbligo di dimora: non è equiparabile agli arresti domiciliari
Con l’ordinanza n. 12120/2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi su un tema di grande rilevanza pratica: la distinzione tra l’obbligo di dimora e gli arresti domiciliari. La questione centrale è se il periodo trascorso sotto la misura dell’obbligo di dimora, specialmente se aggravato da ulteriori prescrizioni come il coprifuoco notturno, possa essere scomputato dalla pena detentiva finale, alla pari di quanto avviene per la custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari. La risposta della Suprema Corte è, ancora una volta, negativa.
I Fatti del Caso
Il Tribunale di Brescia, in qualità di giudice dell’esecuzione, rigettava la richiesta di un soggetto volta a ottenere il riconoscimento della cosiddetta “fungibilità” della misura dell’obbligo di dimora con gli arresti domiciliari. All’imputato erano state imposte diverse prescrizioni: l’obbligo di risiedere in un determinato comune, l’obbligo di presentarsi quotidianamente alla polizia giudiziaria, il divieto di espatrio e il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione dalle ore 20:30 alle ore 7:00 del giorno successivo. Sulla base di questo cumulo di obblighi, il ricorrente sosteneva che la sua libertà personale fosse stata compressa in modo tale da rendere la misura sostanzialmente identica agli arresti domiciliari.
La questione sull’obbligo di dimora e la sua fungibilità
Il ricorso in Cassazione si fondava su due motivi principali. In primo luogo, si denunciava la violazione dell’art. 657 del codice penale, sostenendo che il complesso delle misure applicate fosse, di fatto, equiparabile a una detenzione domiciliare. In secondo luogo, si sollevava una questione di legittimità costituzionale dello stesso articolo, per la presunta disparità di trattamento rispetto ad altre situazioni, come quella della “messa alla prova”, che prevede benefici diversi.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo entrambe le doglianze manifestamente infondate e confermando il proprio orientamento consolidato in materia.
Le motivazioni
La Corte ha smontato punto per punto le argomentazioni del ricorrente.
Per quanto riguarda il primo motivo, i giudici hanno ribadito che l’imposizione anche cumulativa di diverse misure, incluso un coprifuoco notturno, non determina una restrizione della libertà personale paragonabile a quella degli arresti domiciliari. La differenza fondamentale risiede nella continuità della privazione della libertà: mentre gli arresti domiciliari impongono una permanenza coattiva e ininterrotta presso un domicilio, l’obbligo di dimora, pur limitando gli spostamenti, lascia al soggetto la libertà di muoversi all’interno del comune designato durante le ore diurne e di svolgere le normali attività quotidiane. La limitazione notturna non è sufficiente a trasformare la natura della misura.
Sul secondo motivo, relativo alla questione di costituzionalità, la Corte ha spiegato che non è possibile assimilare l’obbligo di dimora alla messa alla prova. Le due misure hanno presupposti e finalità completamente diversi. L’obbligo di dimora è una misura cautelare che si fonda sulla pericolosità sociale attuale dell’imputato. La messa alla prova, invece, è un istituto che ha finalità rieducative e non presuppone necessariamente un giudizio di pericolosità. Inoltre, la messa alla prova comporta una serie di obblighi (come il lavoro di pubblica utilità) che non sono presenti nell’obbligo di dimora.
Le conclusioni
La decisione riafferma un principio chiaro: ai fini della fungibilità della pena, ciò che conta è la natura della compressione della libertà personale. Solo le misure che comportano una privazione totale e continua della libertà di movimento, come il carcere o gli arresti domiciliari, possono essere scomputate dalla pena detentiva da espiare. L’obbligo di dimora, anche nella sua forma più restrittiva con coprifuoco notturno, non rientra in questa categoria. L’inammissibilità del ricorso ha comportato per il ricorrente la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
L’obbligo di dimora, anche se accompagnato da altre prescrizioni come il coprifuoco notturno, è equiparabile agli arresti domiciliari?
No, secondo la Corte di Cassazione, l’obbligo di dimora, anche con prescrizioni aggiuntive come il divieto di allontanarsi durante le ore notturne, non determina una restrizione della libertà personale paragonabile a quella degli arresti domiciliari, che impongono una permanenza continuativa in un luogo determinato.
Perché il periodo trascorso in obbligo di dimora non può essere detratto dalla pena da scontare (fungibilità)?
Proprio perché non è considerato equiparabile agli arresti domiciliari. La fungibilità tra custodia cautelare e pena detentiva è prevista dall’art. 657 del codice penale solo per le misure che comportano una privazione sostanzialmente totale della libertà personale, condizione non riscontrata nell’obbligo di dimora.
Esiste una disparità di trattamento incostituzionale tra chi è sottoposto a obbligo di dimora e chi è ammesso alla messa alla prova?
No. La Corte ha ritenuto la questione manifestamente infondata perché le due situazioni non sono assimilabili. L’obbligo di dimora è una misura cautelare basata sulla pericolosità attuale del soggetto, mentre la messa alla prova ha presupposti e finalità differenti e non è fondata sullo stesso giudizio di pericolosità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12120 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12120 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BRESCIA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 23/11/2023 del TRIBUNALE di BRESCIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
Rilevato che il Tribunale di Brescia, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta di COGNOME NOME di riconoscere la fungibilità della misura dell’obbligo di dimora con gli arresti domiciliari;
Rilevato che con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione di legge in relazione all’art. 657 cod. pen. in quanto l’obbligo di dimora, associato all’obbligo di presentazione alla p.g. tutti i giorni nonché al divieto di espatrio e a quello di allontanarsi dalle ore 20.30 di ogni giorno alle 7,00 di quello successivo sarebbero equiparabili agli arresti domiciliari;
Rilevato che con il secondo motivo si chiede di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 657 cod. pen. in relazione alla disparità che ci sarebbe con quanto previsto dagli artt. 168 bis e 657 bis cod. pen.;
Rilevato che la doglianza oggetto del primo motivo di ricorso è manifestamente infondata in quanto il giudice dell’esecuzione, facendo corretto riferimento alla giurisprudenza di legittimità sul punto ha dato conto delle ragioni per le quali l’imposizione anche cumulativa delle misure non ha determinato una restrizione della libertà personale paragonabile a quella degli arresti domiciliari, ciò anche con riferimento al divieto di allontanarsi, previsto per le sole ore notturne (Sez. 1, n. 40070 del 05/06/2023, COGNOME, Rv. 285129 – 01; Sez. 1, n. 10062 del 25/2/2020, Dines, n.m.Sez. 1, n. 36231 del 08/11/2016, dep. 2017, Curea, Rv. 271043-01);
Rilevato che la questione di legittimità costituzionale è manifestamente infondata in quanto le situazioni non sono assimilabili sul piano delle limitazioni imposte alla libertà personale, perché la messa alla prova comporta ex art. 168-bis cod, pen. una serie di obblighi tra cui la prestazione di lavoro di pubblica utilità per almeno due ore al giorno, nonché l’affidamento al servizio sociale, che può disporre anche l’obbligo di rapporti con una struttura sanitaria o limitazioni alla libertà di movimento o al divieto di frequentare determinati locali; l’argomento, inoltre, non è fondato anche perché si tratta di situazioni non assimilabili neanche sul piano dei presupposti, in quanto l’obbligo di dimora è una misura cautelare e ha quindi come presupposto l’attuale pericolosità del soggetto che vi è sottoposto che non è previsto per la messa alla prova (Sez. 1, Sentenza n. 40070 del 05/06/2023, COGNOME, Rv. 285129 – 01);
Ritenuto pertanto che il ricorso è inammissibile in quanto le doglianze sono manifestamente infondate e in parte tese a sollecitare una diversa e alternativa lettura che non è consentita in questa sede (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv 280601);
NOME
Considerato che alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il contenuto del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento della somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 7/3/2024