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Obbligo di dimora: non è come gli arresti domiciliari

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che chiedeva di considerare l’obbligo di dimora, con coprifuoco notturno, equivalente agli arresti domiciliari ai fini del calcolo della pena. La Suprema Corte ha stabilito che tale misura, anche se cumulativa, non comporta una restrizione della libertà personale paragonabile a quella degli arresti domiciliari, confermando l’orientamento consolidato sul tema dell’obbligo di dimora.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Obbligo di dimora: non è equiparabile agli arresti domiciliari

Con l’ordinanza n. 12120/2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi su un tema di grande rilevanza pratica: la distinzione tra l’obbligo di dimora e gli arresti domiciliari. La questione centrale è se il periodo trascorso sotto la misura dell’obbligo di dimora, specialmente se aggravato da ulteriori prescrizioni come il coprifuoco notturno, possa essere scomputato dalla pena detentiva finale, alla pari di quanto avviene per la custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari. La risposta della Suprema Corte è, ancora una volta, negativa.

I Fatti del Caso

Il Tribunale di Brescia, in qualità di giudice dell’esecuzione, rigettava la richiesta di un soggetto volta a ottenere il riconoscimento della cosiddetta “fungibilità” della misura dell’obbligo di dimora con gli arresti domiciliari. All’imputato erano state imposte diverse prescrizioni: l’obbligo di risiedere in un determinato comune, l’obbligo di presentarsi quotidianamente alla polizia giudiziaria, il divieto di espatrio e il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione dalle ore 20:30 alle ore 7:00 del giorno successivo. Sulla base di questo cumulo di obblighi, il ricorrente sosteneva che la sua libertà personale fosse stata compressa in modo tale da rendere la misura sostanzialmente identica agli arresti domiciliari.

La questione sull’obbligo di dimora e la sua fungibilità

Il ricorso in Cassazione si fondava su due motivi principali. In primo luogo, si denunciava la violazione dell’art. 657 del codice penale, sostenendo che il complesso delle misure applicate fosse, di fatto, equiparabile a una detenzione domiciliare. In secondo luogo, si sollevava una questione di legittimità costituzionale dello stesso articolo, per la presunta disparità di trattamento rispetto ad altre situazioni, come quella della “messa alla prova”, che prevede benefici diversi.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo entrambe le doglianze manifestamente infondate e confermando il proprio orientamento consolidato in materia.

Le motivazioni

La Corte ha smontato punto per punto le argomentazioni del ricorrente.

Per quanto riguarda il primo motivo, i giudici hanno ribadito che l’imposizione anche cumulativa di diverse misure, incluso un coprifuoco notturno, non determina una restrizione della libertà personale paragonabile a quella degli arresti domiciliari. La differenza fondamentale risiede nella continuità della privazione della libertà: mentre gli arresti domiciliari impongono una permanenza coattiva e ininterrotta presso un domicilio, l’obbligo di dimora, pur limitando gli spostamenti, lascia al soggetto la libertà di muoversi all’interno del comune designato durante le ore diurne e di svolgere le normali attività quotidiane. La limitazione notturna non è sufficiente a trasformare la natura della misura.

Sul secondo motivo, relativo alla questione di costituzionalità, la Corte ha spiegato che non è possibile assimilare l’obbligo di dimora alla messa alla prova. Le due misure hanno presupposti e finalità completamente diversi. L’obbligo di dimora è una misura cautelare che si fonda sulla pericolosità sociale attuale dell’imputato. La messa alla prova, invece, è un istituto che ha finalità rieducative e non presuppone necessariamente un giudizio di pericolosità. Inoltre, la messa alla prova comporta una serie di obblighi (come il lavoro di pubblica utilità) che non sono presenti nell’obbligo di dimora.

Le conclusioni

La decisione riafferma un principio chiaro: ai fini della fungibilità della pena, ciò che conta è la natura della compressione della libertà personale. Solo le misure che comportano una privazione totale e continua della libertà di movimento, come il carcere o gli arresti domiciliari, possono essere scomputate dalla pena detentiva da espiare. L’obbligo di dimora, anche nella sua forma più restrittiva con coprifuoco notturno, non rientra in questa categoria. L’inammissibilità del ricorso ha comportato per il ricorrente la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.

L’obbligo di dimora, anche se accompagnato da altre prescrizioni come il coprifuoco notturno, è equiparabile agli arresti domiciliari?
No, secondo la Corte di Cassazione, l’obbligo di dimora, anche con prescrizioni aggiuntive come il divieto di allontanarsi durante le ore notturne, non determina una restrizione della libertà personale paragonabile a quella degli arresti domiciliari, che impongono una permanenza continuativa in un luogo determinato.

Perché il periodo trascorso in obbligo di dimora non può essere detratto dalla pena da scontare (fungibilità)?
Proprio perché non è considerato equiparabile agli arresti domiciliari. La fungibilità tra custodia cautelare e pena detentiva è prevista dall’art. 657 del codice penale solo per le misure che comportano una privazione sostanzialmente totale della libertà personale, condizione non riscontrata nell’obbligo di dimora.

Esiste una disparità di trattamento incostituzionale tra chi è sottoposto a obbligo di dimora e chi è ammesso alla messa alla prova?
No. La Corte ha ritenuto la questione manifestamente infondata perché le due situazioni non sono assimilabili. L’obbligo di dimora è una misura cautelare basata sulla pericolosità attuale del soggetto, mentre la messa alla prova ha presupposti e finalità differenti e non è fondata sullo stesso giudizio di pericolosità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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