Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 27518 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 27518 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CATANIA il 20/05/1971
avverso l’ordinanza del 26/02/2024 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibili del ricorso.
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 26 febbraio 2025, la Corte di appello di Caltanissetta ha rigettato l’istanza di NOME COGNOME COGNOME intesa al riconoscimento, quale presofferto da scomputare nella determinazione della pena da applicare in esecuzione di una condanna definitiva, del periodo – decorso dal 9 febbraio 2023 al 15 novembre 2024 – nel quale egli è stato sottoposto alla misura cautelare dell’obbligo di dimora nel comune di Catania con la prescrizione di non allontanarsi dalla propria abitazione tra le ore 19:00 e le ore 6:30 e di presentarsi quotidianamente alla P.G. alle ore 18:00.
A tal fine, ha ritenuto, in senso ostativo all’accoglimento della richiesta, ch la misura de qua agitur, «non preclusiva della possibilità per il Greci di interazione con l’esterno, non ha affatto determinato un’assimilazione alla misura detentiva considerato che la prescrizione aggiuntiva afferente al divieto di uscita notturna riguardava un arco temporale normalmente destinato dai consociati ad essere trascorso in ambito domestico».
NOME COGNOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’avv. NOME COGNOME ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale deduce violazione di legge e vizio di motivazione sul rilievo che la misura cautelare illo tempore impostagli, pur avendo natura apparentemente non detentiva, si è, di fatto, caratterizzata per l’affiancamento all’obbligo di non valicare il territorio comune di Catania di quello di permanere in casa consecutivamente per undici ore e trenta minuti, ciò che ha compresso la sua libertà di movimento in misura tanto intensa e pregnante da rendere più che giustificata l’assimilazione del suo contingente status a quello proprio di chi, ristretto in regime di arresti domiciliari sia autorizzato a lasciare il luogo di detenzione al solo fine di svolgere, in ambiente esterno, attività lavorativa.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché vertente su censure manifestamente infondate.
La giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che «Ai fini della determinazione della pena detentiva da eseguire a seguito di condanna per un
determinato reato, la misura cautelare dell’obbligo di dimora subita in relazione ad esso, non è fungibile, ai sensi ‘dell’art. 657 cod. proc. pen., con la pena inflit salvo che sia accompagnata dall’arbitraria imposizione all’imputato di obblighi tali da renderla assimilabile al regime degli arresti domiciliari» (così, tra le tante, Sez 1 n. 37302 del 09/09/2021, COGNOME, Rv. 281908 – 01).
La misura cautelare dell’obbligo di dimora potrà, dunque, essere equiparata, al fine considerato, a quelle propriamente detentive solo qualora l’obbligo della permanenza domiciliare sia imposto per un lasso temporale eccedente sia le specifiche esigenze cautelari che quello usualmente trascorso nella dimora per le ordinarie necessità di vita, riposo e cura della propria ed altrui persona.
In questo senso, si sono espresse, ancora di recente, Sez. 1, n. 45204 del 01/10/2024, COGNOME, e Sez. 1, n. 5294 del 13/10/2023, dep. 2024, Catania, entrambe non massimate, coerenti nell’escludere la fungibilità al cospetto di fattispecie in cui l’obbligo di permanenza in casa era esteso, rispettivamente, per dieci e quindici ore continuative.
L’ordinanza impugnata si pone in linea di perfetta continuità con tale indirizzo ermeneutico, del quale il ricorrente mostra di non tener conto laddove sollecita una diversa interpretazione del dato fattuale senza, tuttavia, offrire il benché minimo elemento idoneo ad attestare l’arbitrarietà dell’imposizione, nel caso concreto, dell’indicato periodo di permanenza in casa – pressoché coincidente con la notte, che chiunque, ordinariamente, suole trascorrere in ambiente interno né ad evidenziare, nella sentenza impugnata, specifico profili di illogicità tantomeno manifesta, o contraddittorietà.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 14/05/2025.