Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 17663 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 17663 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Palermo il 28/02/1955
avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di L’Aquila il 7/03/2024, visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le note conclusionali del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza in epigrafe, con cui la Corte di appello di L’Aquila ha confermato quella pronunciata nei suoi confronti dal Tribunale di Pescara il 12 settembre 2022, di condanna a pena di giustizia in relazione al reato di cui all’art. 31 legge 13 settembre 1982, n. 646.
Al ricorrente è contestato di avere omesso di comunicare, entro il termine di legge, le variazioni intervenute nella entità e nella composizione del proprio patrimonio per un importo complessivo superiore alla soglia di rilevanza penale indicata dall’art. 30, legge cit., comunicazione cui era tenuto per avere riportato pregressa condanna per il reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Il ricorso è affidato a due motivi, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo la difesa lamenta mancanza ovvero apparenza della motivazione.
COGNOME ha ricevuto le somme cui si riferisce l’addebito omissivo dallo Stato, in ragione dell’assunto ruolo di collaboratore di giustizia, e tali somme avrebbe investito nell’acquisto di quote societarie e di una polizza, conformemente al progetto di reimpiego che aveva dovuto presentare al Ministero .
Così operando, il ricorrente sarebbe incorso in un errore sul fatto determinato da errore su legge extrapenale, inquadrabile nel paradigma di cui all’art. 47, comma 3, cod. pen., in quanto l’operazione di acquisto di quote societarie incriminata, siccome avvenuta con atto notarile debitamente registrato, è tracciabile ed il ricorrente – non animato da alcuna intenzionalità omissiva sarebbe incorso in errore non sull’esistenza dell’obbligo di segnalazione, ma sulle modalità di adempimento, avendo ritenuto a tal fine esaustiva la registrazione dell’atto eseguita dal notaio rogante.
2.2.Col secondo motivo il difensore deduce violazione di legge in relazione agli artt. 30 e 31 della legge n. 646 del 1982, 5 e 49 cod. pen. e vizi di motivazione.
La condotta ascritta al ricorrente è, in ogni caso, priva di offensività in concreto, essendo incriminato un illecito di mera disobbedienza al precetto legislativo, che non comporta alcuna lesione o esposizione a pericolo del bene interesse tutelato.
Il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME ha concluso per l’accoglimento con rinvio del ricorso, per i motivi enunciati nella requisitoria scritta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato per le ragioni che di seguito si espongono.
2. La Corte costituzionale, ripetutamente investita di questioni sulla legittimità costituzionale della norma incriminatrice di cui al disposto combinato degli artt. 30 e 31 della legge n. 646 del 1982, ha individuato il bene giuridico protetto nell’ordine pubblico, inscrivendosi la disposizione tra i meccanismi di contrasto a fenomeni criminali di particolare gravità.
L’obbligo di comunicazione è inteso, da un lato, a «garantire che il nucleo di polizia tributaria venga effettivamente e sollecitamente a conoscenza della variazione intervenuta nel patrimonio di soggetti di accertata pericolosità sociale, dall’altro, a rendere obbligatoria per l’amministrazione una verifica altrimenti solo eventuale» (in termini, Corte cost. n. 81 del 2014).
Nel caso in scrutinio viene in rilievo una fattispecie in cui la variazione patrimoniale non comunicata alla polizia tributaria deriva da un’operazione giuridica soggetta a forme di pubblicità legale.
Il paradigma punitivo evidenzia in tale evenienza – come ritenuto dal Giudice delle leggi nella richiamata decisione – «un indubbio profilo di criticità», apparendo prima facie inoffensiva in concreto, ed assimilabile ad un reato di mera disobbedienza, l’omessa comunicazione di un atto notarile del quale siano previste la trascrizione nei registri immobiliari e la registrazione a fini fiscali.
La Consulta, con sentenza n. 99 del 2017, ha tuttavia finito con il condividere l’impostazione di questa Corte regolatrice – oggi consolidata GLYPH -secondo la quale, nel sistema congegnato dal legislatore con le previsioni di cui agli artt. 30 e 31 della legge n. 646 del 1982, la mancata comunicazione della variazione patrimoniale al nucleo di polizia tributaria che ne è destinatario risulta tutt’altro che priva di offensività, anche se l’atto dispositivo compiuto dal soggetto obbligato alla comunicazione sia un atto pubblico, in quanto scopo della norma incriminatrice è quello di permettere l’esercizio di un controllo patrimoniale penetrante e analitico della polizia tributaria «nei confronti di persone ritenute particolarmente pericolose, onde accertare per tempo se le variazioni patrimoniali dipendano o meno dall’eventuale svolgimento di attività illecite» (Sez. 1, n. 44586 del 19/10/2021, COGNOME, Rv. 282227 – 01; Sez. 5, n. 13077 del 03/12/2015, dep. 2016, Artale, Rv. 266381 – 01). A tali fini si rende necessario un rflonitoraggio costante sui beni delle persone onerate dal legislatore degli obblighi comunicativi, che non può essere surrogato dalla GLYPH registrazione e trascrizione degli atti che
determinano le variazioni patrimoniali, trattandosi di forme di pubblicità legale che non implicano una diretta informazione della polizia tributaria: per l’efficienza complessiva del sistema, non è realisticamente pensabile che il nucleo di polizia tributaria del luogo di dimora del soggetto obbligato debba essere gravato di un onere di consultazione permanente di tutti i pubblici registri, al fine di acquisire d’iniziativa quelle notizie che devono, invece, essere tempestivamente poste a sua conoscenza per le dovute verifiche.
E tuttavia, ai fini della attribuzione di reità, la Consulta ha precisato che, sempre che non si possa escludere in radice il dolo (v., sul punto, ordinanze n. 362 e n. 143 del 2002, n. 442 del 2001), compete pur sempre al giudice «il compito di allineare il fatto oggetto del giudizio al canone dell’offensività in concreto», verificando, in particolare, se la singola condotta omissiva risulti assolutamente inidonea, avuto riguardo alla ragione giustificativa della norma incriminatrice, a porre in pericolo il bene giuridico protetto e, dunque, se sia di fatto inoffensiva, in tal caso dovendosene escludere la punibilità (sentenze n. 109 del 2016, n. 139 del 2014 e n. 225 del 2008).
A questa direttrice esegetica, che il Collegio condivide ed alla quale intende dare continuità, si è puntualmente conformata anche questa Corte regolatrice (v. Sez. 3, n. 50299 del 27/10/2023, COGNOME, Rv. 285589 – 01).
Venendo al caso in esame, i Giudici di merito, limitandosi a negare valenza esimente alla ipotetica ignorantia legis del precetto legislativo da parte del ricorrente, si sono sottratti, anzitutto, all’obbligo di verificare in concreto l ricorrenza dell’elemento soggettivo del reato.
Il dolo è stato assertivamente ritenuto in re ipsa, pur a fronte della deduzione di elementi che, ove accertati, potrebbero essere evocativi di buona fede (tra cui, l’errore sulle modalità comunicative della variazione, a fronte della presentazione di un progetto di reinvestimento, ritualmente approvato, delle somme che il ricorrente ha ricevuto dallo Stato in relazione all’intrapreso percorso collaborativo).
La sentenza impugnata è poi silente anche quanto alla verifica della offensività in concreto della condotta, non essendosi rilevato se la omissione abbia esposto a pericolo il bene giuridico protetto, avuto riguardo alla ratio della incriminazione che, come detto, è quella di favorire, attraverso il monitoraggio tempestivo e costante delle operazioni sopra soglia, l’emersione di eventuali attività o cointeressenze illecite riferibili a soggetti socialmente pericolosi.
Non è invero ravvisabile nella motivazione della sentenza impugnata alcuno sforzo argomentativo finalizzato a tale duplice verifica, essendosi limitati i giudici
di appello ad affermare che l’omessa comunicazione è stata l’effetto di una condotta volontaria.
6. Si impone, alla stregua di quanto precede, l’annullamento della decisione impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Perugia per nuova valutazione, da
compiere alla stregua delle linee esegetiche sopra indicate.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Perugia.
Così deciso l’ 8 gennaio 2025
Il Consigliere estensore