Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26831 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 1 Num. 26831 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/10/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
udito il difensore
AVV_NOTAIO NOME si riporta ai motivi di ricorso insistendo per il loro accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 13 ottobre 2023 la Corte di appello di Napoli, confermando la sentenza emessa dal Tribunale di Napoli in data 12 gennaio 2021, ha condannato NOME COGNOME alla pena di quattro mesi di reclusione ed euro 8.000 di multa, e alla confisca della somma di C 734.966,75, per il reato di cui agli artt. 30 e 31 legge n. 646/1982 commesso dal 03/08/2011 al 24/02/2017.
La Corte di appello ha respinto i motivi di impugnazione, quanto alla inoffensività del fatto, affermata dall’imputato perché l’incremento patrimoniale non comunicato nei termini è derivato da una successione ereditaria, perché ha ritenuto violata la finalità della norma, di consentire un controllo sui beni dei condannati per il delitto di cui all’art. 416-bis cod.pen., e quanto all’asserit assenza di dolo perché, essendo il reato punito a titolo di dolo generico, è sufficiente la coscienza e volontà di non rispettare il precetto normativo e non può essere addotta, quale giustificazione, l’ignoranza del suo contenuto.
Avverso la sentenza ha proposto·ricorso NOME COGNOME, per mezzo del suo difensore AVV_NOTAIO, articolando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod.proc.pen. con riferimento agli artt. 30 e 31 della legge n. 646/1982, e il vizio di motivazione in ordine alla disposta confisca.
Le questioni di legittimità costituzionale delle norme, proposte nel 2001 dal Tribunale di Trapani, sono state dichiarate inammissibili per difetto di rilevanza, ma sono fondate. Contrasta con il principio di proporzionalità della pena la previsione di un obbligo di comunicazione, sanzionato penalmente, anche quando manca una concreta offensività della omissione, come nel caso di specie, in cui l’incremento patrimoniale non è stato occultato ma, provenendo da una successione ereditaria, era conoscibile in quanto avvenuto tramite atti pubblici.
L’applicazione indiscriminata della confisca, anche a beni acquisiti legittimamente, ha un carattere meramente punitivo, essendo slegata dall’accertamento della pericolosità del bene. Inoltre vi è una illegittimità, per disparità di trattamento in situazioni analoghe, rispetto alla confisca prevista per le violazioni previste dall’art. 12 -sexies legge n. 306/1992, ora trasfuso nell’art. 240-bis cod.pen., nelle quali la dimostrazione della legittima provenienza del bene impedisce la confisca.
La Corte ha omesso di verificare l’offensività in concreto della mancata comunicazione, benché tale verifica fosse stata chiesta con i motivi di appello. La Corte non ha tenuto conto neppure della giurisprudenza di legittimità, che ha
escluso dall’obbligo di comunicazione tutte le acquisizioni che non derivino da un impiego di fondi patrimoniali da parte del condannato: tale principio è stato applicato solo per escludere dall’obbligo di comunicazione i canoni di affitto di immobili già di proprietà del ricorrente, ma anche la successione ereditaria è un incremento che non consegue ad un impiego di fondi patrimoniali.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso censura la sentenza in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo.
Essa deve essere valutata con prudenza quando, come in questo caso, l’applicabilità della norma è dubbia, non essendovi certezza in ordine alla necessità di comunicare incrementi patrimoniali che risultano da atti pubblici, e sono quindi già conosciuti. Il ricorrente non ha nascosto la sua qualità di erede, in quanto ha presentato egli stesso la denuncia di successione, e se avesse voluto occultare l’incremento patrimoniale che ne conseguiva avrebbe potuto rinunciare all’eredità, che sarebbe stata acquisita dai suoi figli. La Corte di appello, invece, ha valutato solo l’irrilevanza della giustificazione di avere ignorato l’esistenza del precetto.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso deduce l’erronea indicazione dell’epoca di consumazione del reato, con conseguente omissione della declaratoria di prescrizione.
L’imputazione indica, quale data di consumazione del reato, il 24/02/2017 in quanto è la data di deposito della dichiarazione di successione, ma tale adempimento non coincide con l’acquisizione del patrimonio. Tale acquisizione risale al 2016, come dimostrato dal fatto che, nella denuncia dei redditi presentata nel 2017, relativa ai redditi percepiti nel 2016, è inserito il 2 5 % dei canoni di affitto dei beni ereditati. Ad ulteriore conferma di tale anticipata acquisizione, vi è la richiesta di disdetta dell’utenza telefonica, inviata da ricorrente già in data 01/04/2016 dichiarando la propria qualità di erede.
Il Procuratore generale, con la requisitoria orale, ha chiesto il rigetto del ricorso, sussistendo l’offensività della condotta per la violazione della finalità della norma, costituita dal controllo su tutte le variazioni patrimoniali di u soggetto pericoloso a causa di una precedente condanna per violazione dell’art. 416-bis cod.pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Ritiene il Collegio che la trattazione del ricorso vada rimessa, ai sensi dell’art. 618 cod.proc.pen., alle Sezioni Unite di questa Corte, per le ragioni che seguono.
2. Il punto essenziale, su cui si registra un iniziale contrasto interpretativo tra le Sezioni semplici, è rappresentato dalla interpretazione della norma dell’art. 30 della legge n. 646 del 13/09/1982, con riferimento al suo contenuto oggettivo e alla conseguente offensività della condotta sanzionata, nel caso di una variazione patrimoniale che, come quella conseguente ad una successione ereditaria, non derivi da un’attività dell’imputato e non sia indicativa della disponibilità di beni aventi una possibile origine illecita,
Detta norma, nel testo novellato dalla legge n. 136 del 13 agosto 2010, stabilisce l’obbligo, per i condannati per i reati previsti dall’art. 51, comma 3-bis, cod.proc.pen. e per altri gravi delitti, di comunicare al nucleo di polizia tributari del luogo di dimora, entro trenta giorni da fatto e per dieci anni, «tutte l variazioni nell’entità e nella composizione del patrimonio concernenti elementi di valore non inferiore ad euro 10.329,14». Analogo obbligo, previsto da questa stessa norma ma poi trasfuso nell’art. 80 d.lgs. n. 159/2011, è posto a carico dei soggetti sottoposti ad una misura di prevenzione; la violazione dell’obbligo, cioè l’omessa comunicazione della variazione patrimoniale, è sanzionata dal successivo art. 31 legge n. 646/1982 e, per i sottoposti a misura di prevenzione, dall’art. 76, comma 7, d.lgs., n. 159/2011, norme che prevedono anche la confisca obbligatoria «dei beni a qualunque titolo acquistati nonché del corrispettivo dei beni a qualunque titolo alienati».
La ratio della norma è chiara, volendo il legislatore sottoporre a controllo ogni variazione patrimoniale di un soggetto che, a seguito della condanna subita, risulta rivestire una speciale pericolosità sociale nonché un collegamento con associazioni criminose dedite alla commissione di reati che assicurano ingenti profitti economici, al fine di verificare tempestivamente l’eventuale illiceità dell operazioni giuridiche che hanno determinato dette variazioni, o l’illecita provenienza delle nuove fonti patrimoniali.
La Corte costituzionale, più volte investita di questioni di legittimità relative a detta norma, o all’analoga norma di cui all’art. 80 d.lgs. n. 159/2011, ha sempre dichiarato inammissibili le questioni stesse, ma nella motivazione dei suoi provvedimenti ha talvolta avuto modo di suggerirne una interpretazione costituzionalmente orientata.
Nell’ordinanza n. 442 del 19/28 dicembre 2001, nel respingere una censura circa la ragionevolezza dell’applicazione della sanzione quando l’acquisizione patrimoniale fosse stata comunque resa pubblica tramite la trascrizione degli atti di acquisto dei beni, in quel caso beni immobili, la Corte costituzionale ha affermato che «il sistema fornisce elementi che conducono la giurisprudenza … a
escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato quando la pubblicità sia comunque assicurata e dunque sia di per sé impossibile l’occultamento degli atti soggetti a comunicazione».
Nell’ordinanza n. 362 del 10/18 luglio 2002, nel respingere una censura circa la ragionevolezza della previsione di . una sanzione per una condotta puramente omissiva, la Corte costituzionale ha affermato che «la scelta del legislatore di sanzionare penalmente la mancata comunicazione delle operazioni patrimoniali … in un sistema di repressione del fenomeno della criminalità organizzata fortemente caratterizzato dall’utilizzo degli strumenti di contrasto di tipo patrimoniale, costituisce esercizio dell’ampia discrezionalità che al legislatore medesimo è da riconoscersi quanto alla configurazione degli illeciti penali e alla determinazione delle relative sanzioni», non , essendo superato il limite della ragionevolezza.
Nella sentenza n. 81 del 08 aprile 2014, pur respingendo, per l’inammissibilità della richiesta concretamente avanzata, il dubbio di costituzionalità con riferimento all’ipotesi di un acquisto non comunicato ma sottoposto ad una forma di pubblicità legale, trattandosi dell’acquisto di un immobile trascritto nei registri immobiliari, ha sottolineato che «la questione sollevata coglie un indubbio profilo di criticità del paradigma punitivo considerato». Il giudice rimettente lamentava, infatti, che a fronte della indicazione contenuta nelle precedenti ordinanze dichiarative della manifesta infondatezza delle questioni proposte; circa la possibilità di ritenere insussistente l’elemento soggettivo del reato nel caso di acquisti avvenuti tramite atti pubblici, essendo in tal caso impossibile l’occultamento dell’incremento patrimoniale, nella giurisprudenza di legittimità si era consolidato un diverso indirizzo, che riteneva sussistente il reato anche in tal caso, non essendo l’acquisto comunque portato a conoscenza della polizia tributaria, trattandosi di un reato di pericolo presunto finalizzato a garantire la conoscenza dell’atto da parte dell’organo deputato al controllo, e a rendere obbligatoria per l’amministrazione una verifica altrimenti solo eventuale.
Infine, nella sentenza n. 99 emessa in data 08 febbraio 2017, ha esplicitamente dichiarato non fondate le questioni, sollevate in relazione all’art. 31 legge n. 646/1982 e all’art. 76, comma 7, d Igs. n. 159/2011, nella parte in cui le norme si riferiscono «anche alle variazioni patrimoniali compiute con atti pubblici dei quali è prevista la trascrizione nei registri immobiliari e l registrazione a fini fiscali», pur sollecitando l’adozione di strumenti tecnici che assicurino l’automatica comunicazione alla polizia tributaria degli atti soggetti a pubblicità legale, relativi alle persone destinatarie dell’obbligo di comunicazione. Nella parte motiva di questa sentenza, la Corte costituzionale ha affermato che il
bene giuridico protetto dagli artt. 31 legge n. 646/1982 e 76, comma 7, d.lgs. n. 159/2011 «è rappresentato dall’ordine pubblico», avendo dette norme la finalità, indicata nella sentenza n. 81/2014 della Corte stessa, di garantire la conoscenza dell’atto da parte della polizia tributaria, e di rendere obbligatoria pe l’amministrazione una verifica altrimenti solo eventuale, e che, pertanto, «la mancanza della comunicazione della variazione patrimoniale al nucleo di polizia tributaria che ne è destinatario risulta tutt’altro che priva di offensività». pertanto concluso che deve essere «riconosciuta l’offensività ‘in astratto’ dell’omissione», mentre spetta poi al giudice ordinario, sempre che non si escluda il dolo, il compito di valutare la sussistenza della offensività ‘in concreto’ della condotta, escludendone la punibilità se essa risulti, nel caso specifico, assolutamente inidonea a porre in pericolo il bene giuridico protetto.
4.. Nel panorama così delineato dalla corte costituzionale, la corte di cassazione ha assunto un orientamento consolidato, secondo cui la norma sanziona l’omessa comunicazione anche nel caso di acquisti soggetti ad una pubblicità legale effettivamente applicata, presentando anche tale condotta l’offensività richiesta, cioè l’idoneità a porre in pericolo il bene giuridico protet (che Sez. U, n. 16896 del 31/01/2019, Stangolini, Rv. 275080, ha ribadito dover essere individuato nell’ordine pubblico).
Può farsi risalire tale orientamento alle sentenze Sez. 5, n. 15220 del 18/02/2003, Rv. 224379, Sez. 5, n. 14996 del 25/02/2005, Rv. 231365, sino alla più recente Sez. 3, n. 50299 del 27/10/2023, Rv. 285589, con rare pronunce di orientamento contrario (Sez. 1, n. 10024 del 30/01/2002, Rv. 221494; Sez. 6, n. 11398 del 05/02/2003, Rv. 224007).
Tale orientamento è stato confermato anche in una sentenza, relativa ad un fatto analogo a quello contestato nel presente procedimento, di un incremento patrimoniale derivante da successione ereditaria, nella quale, invero, non si è valutata la sussistenza dell’offensività dell’omessa comunicazione, ribadendo la sussistenza del reato e, in astratto, del suo elemento soggettivo, anche nel caso di un acquisto soggetto a pubblicità legale, ma si è ritenuto incidente sul doto il fatto che si fosse trattato di un «mutamento patrimoniale che non richiede alcuna iniziativa dell’agente» (Sez. 5, n. 3079 del 17/10/2005, Rv. 231417).
Questa pronuncia, incidentalmente, ha quindi evidenziato il diverso rilievo che può avere un incremento patrimoniale derivante da un’iniziativa dell’agente, rispetto ad un acquisto meramente derivante da successione ereditaria, in cui l’attività si limita all’accettazione o meno dell’eredità. In tale caso, p permanendo l’offensività in astratto dell’omessa comunicazione, appare dubbia l’offensività in concreto della condotta, trattandosi di un incremento patrimoniale
che non deriva da un’attività posa in essere dal soggetto pericoloso e che, pertanto, non può dimostrarne o farne sospettare una specifica pericolosità.
Analogo rilievo è stato attribuito, da una pronuncia isolata, ma il cui principio è stato applicato nella sentenza di primo grado del presente procedimento, alle rendite provenienti da beni già di proprietà del condannato, per le quali Sez. 6, n. 17691 del 14/04/2016, COGNOME, non massimata, ha escluso la sussistenza di un obbligo di comunicazione, «non essendo acquisizioni conseguenti all’impiego di fonti patrimoniali in capo al condannato»: tale pronuncia, infatti, ha affermato che «non ogni elemento positivo che entra a far parte di detto patrimonio costituisce variazione patrimoniale rilevante ai fini della comunicazione. Essa, invero, si individua in quegli incrementi – che incidono sulla composizione o sulla entità del patrimonio oltre il limite previsto – la cu acquisizione abbia comportato un impiego di fonti patrimoniali – o assunzione di corrispondenti obblighi – da parte del condannato». Tale principio è stato richiamato da Sez. 1, n. 27723 del 02/05/2023, non massimata, che ha escluso la sussistenza dell’obbligo di comunicazione per l’incremento patrimoniale derivato dal riscatto di una parte dei titoli azionari oggetto di un precedente acquisto da parte del condannato.
La valutazione della sentenza Corte Cost. n. 99/2017, circa la possibilità che la condotta omissiva prevista dall’art. 30 legge n. 646/1982, pur mantenendo l’offensività ‘in astratto’ anche quando abbia ad oggetto acquisizioni soggette a pubblicità legale, possa essere ritenuta priva di offensività ‘in concreto’, e cioè risulti assolutamente inidonea a porre in pericolo il bene giuridico protetto, impone di chiedersi se tale situazione non sussista nell’ipotesi di un’acquisizione patrimoniale derivante da successione ereditaria, sulla base del principio dettato dalle due isolate pronunce sopra richiamate.
Infatti, se il bene giuridico protetto dalla norma è rappresentato dalla tutela dell’ordine pubblico, che richiede un controllo tempestivo delle variazioni del patrimonio di un soggetto pericoloso in quanto condannato per specifici reati, quale quello di cui all’art. 416-bis cod.pen., appare evidente che l’oggetto di tale controllo, ed anche la sua finalità, siano quelli di verificare l’eventual disponibilità, da parte di tale soggetto, di beni che possano derivare dall’attività criminosa precedente o da collegamenti ancora in essere con detta attività, ovvero di verificare movimenti finanziari che possano far sorgere il sospetto di una circolazione di beni o denaro aventi una provenienza non lecita. Solo le movimentazioni di beni e denaro non completamente lecite possono, infatti, creare problemi di ordine pubblico e legittimare l’intervento dello Stato che, nel caso della condotta qui sanzionata, non si limita al controllo sulle varie
operazioni, ma giunge alla ablazione del bene o della somma movimentate, mediante la sanzione della confisca, prevista dalla legge nel caso dell’omessa comunicazione. Che tale sia lo scopo della norma è stato esplicitamente ritenuto da Sez. 6, n. 31817 del 22/04/2009, Rv. 244404 («l’obbligo di comunicazione … costituisce una misura di prevenzione di natura patrimoniale volta a esercitare un controllo preventivo e costante sui beni dei condannati o degli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso o camorristico al fine di accertare ogni forma di illecito arricchimento») e da Sez. 5, n. 13077 del 03/12/2015, dep. 2016, Rv. 266381 («permettere l’esercizio di un controllo patrimoniale più penetrante e analitico … nei confronti di persone ritenute particolarmente pericolose, onde accertare per tempo se le variazioni patrimoniali dipendono o meno dall’eventuale svolgimento di attività illecite»), a loro volta richiamate da molte pronunce successive, quali Sez. 2, n. 19647 del 29/02/2024, Rv. 286253; Sez. 1, n. 44586 del 19/10/2021, Rv. 282227; Sez. 6, n. 24874 del 30/10/2014, dep. 2015, Rv. 264163; Sez. 5, n. 40338 del 21/09/2011, Rv. 251724; Sez. 6, n. 17691 del 14/04/2016, non massimata)
6. L’individuazione dello scopo della norma di cui all’art. 30 della legge n. 646/1982, ovvero la specificazione della tutela offerta al bene giuridico protetto nei termini sopra indicati, è alla base del principio dettato da Sez. 6, n. 17691 del 14/04/2016, COGNOME, non massinnata, sopra citata al punto 4., che ha escluso l’obbligo di comunicazione per le rendite provenienti da beni già di proprietà del condannato (in particolare canoni di locazione) affermando, come detto, che esso deve limitarsi alle variazioni derivanti dall’impiego di fOnti patrimoniali o da assunzione di corrispondenti obblighi da parte del condannato. Un’analoga conclusione negativa, ma solo in via incidentale, era stata espressa da Sez. 6, n. 41342 del 23/09/2011, a proposito dell’obbligo di comunicazione di rendite non meglio indicate.
Questo principio è stato richiamato da Sez. 1, n. 27723 del 02/05/2023, non nnassimata, che, come detto, ha escluso la sussistenza dell’obbligo di comunicazione per l’incremento patrimoniale derivato dal riscatto di una parte dei titoli azionari oggetto di un precedente acquisto da parte del condannato.
Esso è stato, però, esplicitamente sconfessato da pronunce successive, in particolare Sez. 2, n. 19647 del 29/02/2024, Rv. 286253, e Sez. 2, n. 24493 del 19/04/2023, non massimata, che hanno ribadito l’orientamento maggioritario, che ritiene soggetta all’obbligo di comunicazione qualunque variazione patrimoniale, anche se effettuata con atti che hanno avuto pubblicità legale ed anche se certamente proveniente da fonte lecita, richiamando il concetto di offensività in astratto della omissione di tali comunicazioni.
La corte di cassazione, però, si è molto raramente occupata di valutare la sussistenza della offensività in concreto dell’omessa comunicazione di incrementi patrimoniali derivanti da successione ereditaria: un controllo attraverso i siti informatici permette di individuare un numero molto limitato di pronunce relative alla contestazione del delitto di cui all’art. 30 legge n. 646/1982 per l’omessa comunicazioni di acquisizioni per via ereditaria (Sez. 1, n. 52024/19 del 16499/2019; Sez. 6, ordinanza n. 322238 del 04/06/2014, n. m.; Sez. 5, n. 20088 del 18/04/2013; Sez. 1, n. 37408 del 25/10/2006; Sez. 5, n. 3079 del 17/10/2005, Rv. 231417; Sez. 5, n. 36595 del 18/04/2008; Sez. 3, n. 15558 del 13/03/2007; Sez. 1, n. 15298 del 04/04/2006; si può aggiungere all’elenco, per l’omogeneità della situazione, Sez. 5, n. 8768 del 23/01/2018, COGNOME, relativa all’acquisizione di un risarcimento assicurativo per la morte di un congiunto).
Nella maggior parte dei casi tali sentenze hanno valutato solo l’incidenza sul dolo della natura dell’acquisizione, per la sua caratteristica di essere un atto soggetto a pubblicità legale, ribadendo l’orientamento maggioritario circa la sussistenza dell’obbligo anche in tale ipotesi, ma senza rilevare la peculiarità di una variazione che avviene senza un’attività del condannato e senza l’impiego di fonti patrimoniali in suo possesso o l’assunzione di obblighi di natura finanziaria. Manca, pertanto, una riflessione approfondita sulla sussistenza dell’offensività nella condotta consistente nella omessa comunicazione, ai sensi dell’art. 30 legge n. 646/1982 e, analogamente, dell’art. 80 d.lgs. n. 159/2011, di un’acquisizione proveniente da successione ereditaria, essendo in tal caso evidente l’impossibilità di sospettare che tali beni derivino dall’attività criminos precedente o da collegamenti ancora in essere con dette attività, ovvero che costituiscano circolazione di beni o denaro’di provenienza non lecita, ed essendo perciò evidente che l’obbligo di comunicazione non risponde, in tal caso, alla tutela dell’ordine pubblico, e che la sua violazione non è idonea a mettere in pericolo il bene giuridico protetto.
La riflessione sull’offensività di tale condotta ha rilevanza anche per l’applicazione della sanzione accessoria della confisca dei beni di cui è stata omessa la comunicazione, conseguente ex lege alla commissione del reato, che in tali casi andrebbe a cadere su beni di provenienza sicuramente lecita.
Le pronunce Sez. 6, n. 17691 del 14/04/2016, COGNOME, e Sez. 1, n. 27723 del 02/05/2023, COGNOME, .evidenziano la sussistenza di un potenziale contrasto tra le Sezioni semplici, in merito all’interpretazione dell’art. 30 della legge n 646/1982, dal momento che l’applicazione del principio posto a base di queste decisioni, incidente sulla questione dell’offensività della condotta, condurrebbe
all’esclusione del reato anche nel caso di un’acquisizione patrimoniale derivante da successione ereditaria, diversamente da quanto ritenuto nelle pur rare pronunce aventi analogo oggetto, e diversamente da quanto ritenuto, più genericamente, dall’orientamento maggioritario che, senza scendere nel merito, ritiene sussistente il reato nel caso di omessa comunicazione di qualunque variazione patrimoniale, indipendentemente dalla sua ragione giuridica.
Appare, pertanto, opportuna la rimessione della trattazione alle Sezioni Unite di questa Corte, con formulazione del seguente quesito:
– se l’obbligo di comunicazione delle variazioni patrimoniali previsto dall’art. 30 della legge n. 646 del 13/09/1982 possa ritenersi configurabile, con rilevanza penale della sua violazione, nell’ipotesi di una acquisizione proveniente da successione ereditaria.
P.Q.M.
Rimette il ricorso alle Sezioni Unite.
Così deciso il 16 maggio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente