Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 15155 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 15155 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 15/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato in TUNISIA il 05/12/2001
avverso l’ordinanza del 27/08/2024 del TRIB. LIBERTA di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le note conclusive del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per la inammissibilità del ricorso letta la memoria di replica del difensore, avv. NOME COGNOME che ha concluso insistendo nel ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con la ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale del Riesame di Roma rigettava l’appello del difensore del ricorrente e confermava le ordinanze della Corte di Appello di Roma del 16 e 24 luglio 2024, che rigettavano l’istanza di revoca e/o sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere, applicata con provvedimento del Tribunale del 24.04.2024, quale aggravamento rispetto alla misura del divieto di dimora nel Comune di Roma del 19.02.2024, in relazione al delitto di tentato furto aggravato in abitazione. La Corte di Appello,
con provvedimento del 24 luglio 2024, rigettava l’istanza del difensore dell’indagato del 18 luglio 2024, che eccepiva la nullità, ai sensi degli artt.143 e 178 col, lett. c), cod. proc. pen., dell’ordinanza di aggravamento della misura cautelare emessa il precedente 24 aprile, per omessa traduzione della stessa nella lingua conosciuta dall’imputato, ritenendo sul punto competente il Tribunale del riesame e, nel merito, per avere il Feki rinunciato alla traduzione scritta degli atti all’udienza di convalida dell’arresto.
Contro l’anzidetta ordinanza, l’indagato propone ricorso a mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME affidato a due motivi, di seguito sintetizzati ai sensi dell’art.173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1 II primo motivo di ricorso lamenta inosservanza dele norme processuali stabilite a pena di nullità e manifesta illogicità della motivazione, ai sens dell’art.606, lett. c) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt.143, 178 lett. 180 e 192, cod. proc. pen., poiché il Tribunale del riesame ha rigettato l’appello ritenendo che il vizio dell’ordinanza di aggravamento della misura cautelare, di cui si chiedeva la revoca poiché non tradotta in lingua nota all’imputato, doveva essere eccepito nel termine di decadenza di dieci giorni dalla sua esecuzione o notificazione tramite il mezzo del riesame, in quanto nullità generale a regime intermedio, deducendo che, al momento dell’esecuzione, l’ordinanza di aggravamento veniva eseguita con conduzione di COGNOME in carcere senza possibilità di interloquire con il proprio difensore, nominatogli d’ufficio; l’indaga non era in grado di comprendere natura e contenuto della ordinanza, con conseguente impossibilità di proporre impugnazione nei dieci giorni successivi. Deduce il ricorrente che l’assunto del Tribunale è in contrasto con l’orientamento della Suprema Corte che, anche con recenti pronunce, seppure in tema di omessa traduzione della sentenza, ha affermato che all’omessa traduzione degli atti consegue il mancato decorso del termine per impugnare, che resta sospeso sino al perfezionamento della procedura di traduzione e notifica dell’atto, termine che, tenuto conto della mancata traduzione, non sarebbe ancora decorso. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Riguardo al termine per la deducibilità del vizio, si deduce che esso integra una nullità di ordine generale ex art. 178 lett. c) cod. proc. pen. in quanto incidente sull’intervento e la partecipazione attiva e cosciente dell’imputato e quindi, essendosi la nullità verificata nel corso del processo di primo grado, poteva essere eccepita entro la deliberazione del grado successivo, ex art. 180 cod. proc. pen.
2.2 n secondo motivo di ricorso lamenta vizio di violazione di legge e vizio di mancanza della motivazione, in relazione all’art.275 comma 2 bis, cod. proc. pen., per avere il Tribunale del riesame ritenuto irrilevante che il giudizio di primo grado si fosse concluso con la comminazione all’imputato di una pena di
anni uno e mesi sei di reclusione, dunque al di sotto dei limiti di pena di cui all’art. 275, comma 2 bis, cod. proc. pen., e ritenuto inapplicabile il disposto di tale disposizione normativa nel caso in cui la sostituzione, in aggravamento della misura meno afflittiva, sia dipeso dalla violazione di quest’ultima e dall’aggravamento delle esigenze cautelari, richiamando una pronuncia risalente e minoritaria della Suprema Corte (Sez. 5, n. 7742 del 4/02/2015), male interpretata in quanto il giudice di legittimità affermava la possibilità per giudice di mantenere in esecuzione una misura custodiale in presenza di una condanna in primo grado a pena inferiore ad anni tre di reclusione nel caso in cui gli arresti domiciliari non possano essere eseguiti per mancanza del luogo di esecuzione; nel caso specifico non sarebbe stata verificata l’idoneità del luogo indicato dal ricorrente ai fini della concessione degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico e, comunque, tale orientamento sarebbe superato per effetto di altra pronuncia, che aveva escluso – nel caso in cui intervenga una sentenza di condanna a pena detentiva inferiore ad anni tre – di poter mantenere in atto una misura custodiale (Sez. 1, n. 5949 dell’11/10/2022, dep. 2023, Rv 284349).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è nel complesso infondato.
2. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Giova premettere che, sul tema del diritto alla traduzione del provvedimento giurisdizionale in favore dell’indagato o imputato che non conosce la lingua italiana, si sono pronunciate le Sezioni Unite di questa Corte (udienza del 26/10/2023, imp. COGNOME) affermando il principio di diritto secondo il quale, qualora dagli atti sia già emerso che l’imputato o l’indagato non conosca la lingua italiana, l’omessa traduzione dell’ordinanza di custodia cautelare personale ne determina la nullità, ai sensi del combinato disposto degli artt. 143 e 292 cod. proc. pen.
Nel caso di specie, risulta evidente la mancata conoscenza della lingua italiana da parte del ricorrente, posto che all’udienza di convalida era presente l’interprete, che provvedeva a tradurre oralmente l’ordinanza cautelare. Quanto alla rinuncia del ricorrente alla traduzione scritta degli atti del procedimento, iv compresa la sentenza, si osserva come all’evidenza essa non implichi la rinuncia anche alla traduzione orale.
Tanto premesso, è immune da censure l’ordinanza del Tribunale del riesame che ha ritenuto intempestiva e, comunque, irrituale l’eccezione di nullità per omessa traduzione nella lingua conosciuta dall’indagato dell’ordinanza di aggravamento della misura cautelare adottata dalla Corte d’appello il 24 aprile 2024, in quanto dedotta soltanto il successivo 18 luglio 2024 alla medesima Corte di appello, anziché con atto di impugnazione dinanzi al Tribunale del riesame nel termine di giorni dieci dalla esecuzione o notificazione del provvedimento, ai sensi degli artt.310, comma 1 e 2, 309, comma 1, cod. proc. pen.
Facendo corretta applicazione dei principi recentemente espressi dalle Sezioni Unite COGNOME (Sez. U, n. 15069 del 26/10/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286356), il decidente ha, infatti, individuato come, nel caso sottoposto al suo esame, l’adozione dell’ordinanza di aggravamento della misura cautelare fosse avvenuta dopo che era già emersa la circostanza della mancata conoscenza della lingua italiana da parte dell’arrestato, tanto che all’udienza di convalida dell’arresto del 9 febbraio 2024 egli era stato assistito da un interprete per parteciparvi (ed aveva pure rinunciato alla traduzione scritta degli atti).
Sul punto, le dette Sezioni Unite hanno affermato che: laddove la mancata conoscenza della lingua italiana da parte dell’indagato o dell’imputato alloglotta emerga prima dell’adozione del provvedimento cautelare, la mancata traduzione del medesimo provvedimento nella lingua conosciuta dall’indagato o imputato determina una nullità generale a regime intermedio, ai sensi degli artt.143 e 292 cod. proc. pen. che non può essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità, riguardando un’ipotesi di nullità che, in quanto, appunto, generale a regime intermedio, deve «essere eccepita con l’impugnazione dell’ordinanza applicativa dinanzi al tribunale del riesame, restando altrimenti preclusa la sua deducibilità e la sua rilevabilità» (Sez. 1, n. 1262 del 20/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 276482 – 01; in senso conforme, si vedano Sez. 3, n. 41786 del 26/10/2021, COGNOME, Rv. 282460 – 01; Sez. 1, n. 1072 del 3 20/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278069 – 01).
Nel caso di specie, dunque, correttamente il Tribunale del riesame, facendo corretta applicazione dei principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte, ha ritenuto decorso il termine di legge di dieci giorni per far valere il vizio dell’atto rigettato l’appello.
La interpretazione offerta nel primo motivo di ricorso riguarda invece la diversa ipotesi in cui la circostanza in parola non sia conosciuta dall’autorità procedente ed emerga dopo l’adozione del provvedimento, che non è il caso specifico sottoposto all’attenzione del giudice del riesame.
Nella specie non risulta neanche la deduzione di un pregiudizio concreto derivante dalle modalità di traduzione del provvedimento restrittivo di aggravamento, in applicazione del principio giurisprudenziale, espressamente richiamato (Sez. 6, n. 25276 del 06/04/2017, Money, Rv. 270491 – 01), secondo cui «può configurarsi una lesione del diritto di difesa, correlata all’attivazione personale dell’impugnazione da parte dell’imputato, solo qualora quest’ultimo evidenzi il concreto e reale pregiudizio alle sue prerogative derivante dalla mancata traduzione».
Con istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare personale applicata in aggravamento si deduceva la giovane età, l’apprezzabile lasso di tempo trascorso dalla esecuzione della misura, la intervenuta condanna a pena detentiva di anni uno e mesi sei di reclusione, circostanze che non integrano il pregiudizio concreto e attuale indice di interesse ad impugnare.
Invero, il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare in che modo, rispetto al contenuto motivazionale dell’ordinanza, la mancata tempestiva conoscenza del provvedimento avrebbe influito sulle proprie strategie difensive; dimostrazione che COGNOME non ha fornito. Tale mancata deduzione appare pregiudizialmente produttiva di inammissibilità rispetto a tutte le doglianze sollevate.
2.2 Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Il ricorrente risulta essere stato condannato per il reato di furto in abitazione di cui all’art. 624 bis cod. pen. Si tratta di un’ipotesi di reato per la qua l’art.275 comma 2 bis, terzo periodo, cod. proc. pen. prevede espressamente una deroga del principio enunciato dal secondo periodo e, dunque, consente di non tener conto del quantum di pena irrogata con la sentenza.
Parimenti, sotto il profilo dell’adeguatezza del regime cautelare disposto, l’ordinanza è immune da vizi adottando una motivazione non suscettibile di censura in questa sede.
Il Tribunale, uniformandosi al principio di diritto elaborato da questa Corte in tema di scelta della misura cautelare, ha indicato le ragioni della inidoneità di misure cautelari meno afflittive diverse della custodia in carcere, ritenute inadeguate in considerazione della contestuale commissione di un reato della stessa specie di quello che aveva imposto l’applicazione della misura non custodiale, e dell’aggravamento del quadro cautelare, ed ha ritenuto la custodia in carcere unica misura adeguata e proporzionata alla gravita dei fatti contestati, nonché idonea alla salvaguardia delle indicate esigenze cautelari, in considerazione della attualità e concretezza del pericolo di reiterazione criminosa.
Sotto il profilo della inadeguatezza di altre misure, il Tribunale del riesame ha evidenziato in modo chiaro ed univoco come la condotta dell’imputato sia
stata tale da non essere compatibile in assoluto con la misura degli arresti domiciliari, che si è rivelata inadeguata al controllo del cautelato. Il decidente ha,
infatti, evidenziato l’estrema gravità della condotta dell’imputato che, in un unico contesto di tempo e di luogo, ha violato le prescrizioni della misura applicata e
commesso un reato non solo della stessa specie di quello per il quale la misura era applicata, ma ancora più grave, essendo transitato dall’ipotesi di furto in
abitazione a quello di rapina impropria, richiamando la motivazione della Corte di appello che, quanto ai gravi indizi, evidenzia una mancata allegazione di
elementi nuovi tali da imporre una rivalutazione del quadro indiziario esaminato, e, quanto alle esigenze cautelari, l’attualità del pericolo di reiterazione del reato
desumibile dalla violazione della misura originariamente applicata e dalla commissione di un grave reato quale quello di rapina impropria.
Inoltre, il divieto, ai sensi dell’art. 275, comma secondo bis, cod proc. pen.
di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nel caso in cui il giudice abbia irrogato una pena detentiva inferiore a tre anni, non impedisce di adottare la più grave misura cautelare qualora ogni altra misura si riveli inadeguata e gli arresti domiciliari non possono essere disposti per mancanza del luogo di esecuzione (Sez. 5, Sentenza n. 7742 del 04/02/2015, Rv. 262838 01).
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art.94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma il 15/11/2024.
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