Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 3695 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 3695 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da: COGNOME COGNOME nato il 05/05/1991 a LEGNANO COGNOME nato il 19/07/1972 a NAPOLI COGNOME NOME nato il 06/10/1972 a NAPOLI COGNOME NOME nata il 04/05/1992 a SAN GIORGIO A COGNOME NOME nato il 24/07/1997 a NAPOLI COGNOME NOME nato il 01/04/1990 a NAPOLI COGNOME NOME nata il 13/06/1981 a NAPOLI COGNOME NOME nata il 13/12/1971 a NAPOLI NOME nato il 19/12/1988 a NAPOLI
avverso la sentenza in data 06/02/2024 della CORTE DI APPELLO DI NAPOLI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
preso atto che il procedimento viene trattato in forma orale a seguito di rituali richieste difensive di trattazione in presenza;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentita la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi;
sentito l’avvocato NOME COGNOME che, nell’interesse di COGNOME NOME e di COGNOME NOME ha illustrato i motivi d’impugnazione e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME, COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME FabioCOGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME MicheleCOGNOME per il tramite dei rispettivi procuratori speciali e con separati ricorsi, impugnano la sentenza in data 06/02/2024 della Corte di appello di Napoli, che ha riformato la sentenza in data 14/10/2022 del G.u.p. del Tribunale di Napoli. In particolare, la Corte di appello: ha applicato la pena concordata dalle parti ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen. nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME Michele; ha rideterminato la pena inflitta a COGNOME Fabio per i delitti contestatigli; ha revocato la pena accessoria applicata a COGNOME NOMECOGNOME confermando la sua condanna per i reati di trasferimento fraudolento di valori, di riciclaggio e di reimpiego; ha confermato la sentenza di primo grado nei confronti di COGNOME COGNOME COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Deducono:
COGNOME (Capo 34: art. 640 cod. pen.).
1.1. Violazione dell’art. 23-bis decreto-legge n. 127 del 28/10/2020 e conseguente nullità della sentenza per omesso avviso all’imputato della richiesta di trattazione orale inoltrata da altra parte e del conseguente provvedimento che ha disposto la trattazione orale.
Il ricorrente premette l’appello veniva trattato con la procedura stabilita dall’art. 23-bis del decreto-legge n. 137 del 2020, così come convertito nella legge n. 176 del 2020.
In forza di ciò -si osserva- la difesa attendeva le conclusioni scritte del procuratore generale, non avendo avanzato istanza di trattazione orale e non essendole pervenuta alcuna comunicazione che tale istanza fosse stata avanzata da altri difensori.
Evidenzia che -però- altre difese avevano avanzato istanza di trattazione orale, di cui veniva a conoscenza soltanto dopo che era già stato celebrato l’appello in forma partecipata, dal quale veniva di fatto escluso.
Scrive, dunque, la difesa: «appare evidente che la disciplina emergenziale presenti una lacuna normativa laddove non stabilisce alcuna particolare formalità per notiziare le parti dell’eventuale mutamento del rito, da cartolare a trattazione orale, né prevede alcuna forma d’invalidità in caso di mancata comunicazione alle altre parti del fatto che, in ragione della richiesta formulata da una di esse», il giudizio si svolge con la presenza delle parti e nelle forme previste per la discussione orale.
Il ricorrente sostiene che, pur in mancanza di un’espressa norma di legge, in forza di un’interpretazione sistematica, nel caso di istanza di trattazione orale di
una delle parti, non si può far gravare sulle altre parti l’onere di verificare la fissazione dell’udienza partecipata, spettando all’ufficio la comunicazione di essa.
Sulla base di tali argomentazioni, la difesa deduce la nullità della sentenza impugnata per inosservanza delle norme relative all’intervento, alla rappresentanza e all’assistenza dell’imputato, in violazione del principio del contraddittorio.
1.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 99 cod. pen
A tale riguardo il ricorrente osserva che la Corte di appello ha ritenuto la recidiva reiterata specifica e infra-quinquennale sulla base del solo rimando al casellario giudiziale, trascurando le deduzioni difensive e senza tener conto, in particolare, che il reato oggetto del presente procedimento si colloca in epoca anteriore alla sentenza emessa dalla Corte di appello di Milano, che ha riunito sotto il vincolo della continuazione le due truffe per cui è intervenuta condanna a carico di Bersani (sentenza del 26.11.2019, irrevocabile in data 11.01.2020).
Si assume, dunque, che non è possibile ritenere una maggiore pericolosità sulla base di provvedimenti giurisdizionali successivi a quello in esame e sulla base di pene non ancora espiate, in assenza della previa acquisizione dello status di recidivo.
1.3. Con istanza in data 27/11/2024, l’Avv. NOME COGNOME in difesa di NOME COGNOME dopo aver rappresentato la sua assenza all’udienza del 03/12/2024, ha chiesto che, in tale sede, venisse nominato un difensore d’ufficio in sua sostituzione.
NOME (Capo 46: art. 416 co. 2 cod. pen.; capi 72 e 73: art. 640 cod. pen.).
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio.
Il ricorrente sostiene che dalla motivazione della sentenza impugnata non è possibile risalire al percorso logico seguito dai giudici per determinare la pena, tanto più in relazione alle circostanze attenuanti generiche e alla possibilità di applicare la diminuzione massima prevista dall’art. 62-bis cod. pen..
Si assume che la pena inflitta non ha la funzione rieducativa voluta dalla Costituzione.
COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME NOME–
Va premesso che, per i ricorrenti ora menzionati, la Corte di appello ha applicato la pena indicata dalle parti, così come da loro determinata con l’accordo raggiunto ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen. e con rinuncia ai motivi di gravame riguardanti il merito
GLYPH
t-1/4-2
A
3.1. NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME NOMECOGNOME con un unico motivo denunciano il vizio di omessa motivazione in ordine alla sussistenza di cause evidenti di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen..
3.2. NOME denuncia il vizio di omessa motivazione in ordine ai motivi di gravame con cui la difesa invocava il contenimento della pena al minimo edittale.
3.3. NOME denuncia il vizio di omessa motivazione in ordine alla sussistenza di cause evidenti di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.. Aggiunge che la Corte di appello non ha motivato in ordine alla congruità della sanzione detentiva inflitta.
4. NOME (Capo 1: art. 416 cod. pen.).
Il ricorrente denuncia il vizio di omessa motivazione, precisando che aveva rinunciato ai motivi di gravame, fatta eccezione per quelli relativi alle circostanze attenuanti generiche e alla recidiva. Sostiene che non è condivisibile la motivazione spesa dalla Corte di appello per negare le attenuanti generiche e per ritenere la recidiva, nonostante la riduzione della pena operata dalla Corte di merito.
NOME (Capo 91 a esclusione dei beni indicati ai punti A, B ed F): art. 512-bis cod. pen.; capo 92 escluso il bene di cui al punto B: art. 648bis cod. pen.; capo 93: art. 648-ter; capo 87: art. 416 cod. pen.).
5.1. Vizio di motivazione in relazione alla partecipazione di COGNOME NOME al reato associativo contestato al capo 87.
Si sostiene che la motivazione della Corte di appello non indica gli elementi da cui desumere la partecipazione della ricorrente al sodalizio criminoso contestato al capo 87, non potendosi trarre tale conclusione dal solo legame intercorrente con COGNOME NOME.
Si osserva che, anzi, proprio il legame sentimentale intercorrente con COGNOME faceva pretendere un maggior rigore nella individuazione della prova sulla responsabilità penale.
Si rimarca come alla donna non venga attribuito alcun ruolo all’interno della compagine associativa, così mancando quel quid pluris che la Corte di cassazione ritiene necessario affinché sia provata la partecipazione a un sodalizio criminoso di un soggetto legato sentimentalmente ad un altro soggetto individuato quale presunto promotore dell’associazione.
Viene altresì denunciata la manifesta illogicità della motivazione esposta alla pagina 131 della sentenza impugnata, là dove la Corte di appello ricava la partecipazione della donna al sodalizio criminoso dal fatto che ella si sarebbe prestata a interporsi fittiziamente sui beni di COGNOME, pur concorrendo nei reati tributari e commettendo i reati di riciclaggio e di reimpiego.
A tale proposito osserva che la Corte di appello ha ritenuto la partecipazione di COGNOME NOME al sodalizio criminoso senza indicare elementi ulteriori rispetto al suo rapporto sentimentale con COGNOME,.
Aggiunge, infine, che i giudici valorizzano il contenuto di due intercettazioni dal contenuto del tutto neutro.
5.2. Vizio di motivazione nella parte in cui è stato ritenuto sussistente l’elemento psicologico del reato di cui all’art. 512-bis cod. pen. contestato al capo 91 della rubrica.
Dopo avere riassunto il contenuto dei motivi di appello e della ragioni per cui essi sono stati disattesi dalla Corte di appello, la difesa osserva che «la Corte adita potrà agevolmente verificare che le presunte intestazioni fittizie sono state poste in essere nel periodo dal luglio 2014 al dicembre 2017; arco temporale in cui non vi è alcun elemento di indagine che possa far ritenere la Nurcato consapevole di agevolare l’elusione di misure di prevenzione patrimoniale in capo al suo compagno COGNOME e commettere delitti di riciclaggio», in quanto tutta l’attività d’indagine ha avuto inizio nel 2018, fino al 2020, così che la sussistenza del dolo specifico richiesto dalla norma è stata ritenuta sulla base di mere deduzioni.
5.3. Violazione di legge e vizio di motivazione nella parte in cui il reato di cui all’art. 512-bis cod. pen. contestato al capo 91 non è stato ritenuto assorbito in quelli di cui agli artt. 648-bis cod. pen. e 648-ter cod. pen. contestati ai capi 92 e 93.
In questo caso la ricorrente osserva come la Corte di appello si sia immotivatamente e, comunque, illogicamente discostata dal principio di diritto fissato dalla Corte di cassazione, secondo il quale, in caso di concorso tra riciclaggio e intestazione fittizia, la violazione deve ritenersi come di un unico reato, in quanto il riciclaggio è un reato a forma libera, che può realizzarsi anche con una pluralità di atti, accomunati dall’obiettivo di occultare la provenienza delittuosa del denaro o dei beni, così che il reato di trasferimento fraudolento è assorbito in quello di riciclaggio.
5.4. Vizio di motivazione in relazione ai reati di cui agli artt. 648-bis e 648ter cod. pen. in riferimento all’acquisto degli immobili.
Con l’ultimo motivo di ricorso si denuncia il vizio di omessa motivazione in relazione ai motivi esposti con particolare riferimento al capo 92. La ricorrente osserva come il giudice di primo grado avesse accolto parzialmente le deduzioni difensive, così che nell’atto di appello si argomentava solo in relazione ai beni ancora sottoposti a vincolo reale, rispetto ai quali non è dato rinvenire una specifica motivazione, non potendosi considerare tale la laconica argomentazione spesa alla pagina 129 della sentenza impugnata.
NOME (capo 104: art. 648-ter cod. pen.).
6.1. Vizio di omessa motivazione.
A tale riguardo la difesa segnala che con l’atto di appello aveva censurato la sentenza di primo grado perché viziata da omessa motivazione, per la mancanza di qualsiasi confronto con il materiale probatorio, atteso che il giudice di primo grado si limitava a riportare soltanto gli atti investigativi, senza alcuna valutazione degli stessi.
Si duole, della mancata risposta in relazione a tale motivo con riguardo alla posizione di COGNOME NOME.
6.2. Violazione del divieto di bis in idem in relazione alla sentenza in data n. 1170 del 01/12/2023 del Tribunale di Vibo Valentia, che ha assolto Nurcato NOME dal reato di trasferimento fraudolento di valori avente a oggetto la medesima attività oggetto del delitto di riciclaggio contestato nel presente procedimento, ossia la RAGIONE_SOCIALE
In relazione a tale motivo, la ricorrente riporta in premessa la motivazione della sentenza del Tribunale di Vibo Valentia, che ha assolto COGNOME NOME dal reato di trasferimento fraudolento di valori rimarcando la mancanza di elementi -ancorché indiziari- capaci di avallare l’ipotesi secondo cui COGNOME NOME avesse agito per agevolare la commissione dei delitti di riciclaggio e autoriciclaggio ovvero per eludere le disposizioni di legge in materia di contrabbando.
Aggiunge che la medesima imputazione era stata elevata a carico di COGNOME Lucia anche nell’odierno procedimento; imputazione che, però, veniva abbandonata dal pubblico ministero all’indomani dell’ordinanza del tribunale del riesame, che aveva ritenuto la violazione del divieto di bis in idem.
Vengono dunque riportate le motivazioni della corte di appello e quelle del tribunale del riesame in punto di violazione del divieto di bis in idem per evidenziare l’erroneità della prima e la correttezza della seconda.
6.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento al capo 104, per la sua qualificazione ai sensi dell’art. 648-ter cod. pen. piuttosto che ai sensi dell’art. 512-bis cod. pen..
In questo caso si osserva che l’affermazione della responsabilità di RAGIONE_SOCIALE per il reato di riciclaggio si poggia sulla consapevolezza dell’intestazione fittizia della RAGIONE_SOCIALE, là dove il Tribunale di Vibo Valentia ha escluso tale consapevolezza, così mancando l’elemento cardine della condotta riciclatoria, ossia proprio l’intestazione fittizia.
6.4. Vizio di motivazione in relazione alle circostanze attenuanti generiche e al trattamento sanzionatorio.
Con l’ultimo motivo la ricorrente osserva che le circostanze attenuanti generiche sono state negate sul presupposto che la Nurcato si sia dichiarata innocente, così basandola su presupposto inesistente, visto che la donna si è avvalsa della facoltà di on rispondere davanti al G.i.p. in occasione dell’interrogatorio di garanzia e non ha reso dichiarazioni davanti al G.u.p..
Aggiunge che la Corte di appello omette di motivare sul diverso trattamento sanzionatorio riservato alla Nurcato, rispetto ad altri coimputati pur gravati da una pluralità di contestazioni, cui vengono riconosciute anche le attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di COGNOME è fondato nel primo motivo, restando assorbiti gli altri.
1.1. Va preliminarmente rigettata la richiesta difensiva avanzata in data 27/11/2024.
Invero, nel giudizio di Cassazione, l’assenza del difensore di fiducia, al quale sia stato regolarmente notificato il decreto di fissazione dell’udienza e la cui richiesta di trattazione orale sia stata accolta, non comporta l’obbligo di nominare un difensore d’ufficio e di rinviare l’udienza (Sez. 2, n. 29574 del 07/07/2022, COGNOME, Rv. 283682).
1.2. Con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente si duole della mancata comunicazione della fissazione dell’udienza di discussione orale richiesta da altre parti. A tale proposito sostiene che la Corte di appello avrebbe dovuto comunicare la fissazione dell’udienza partecipata alle parti che non l’avevano richiesta, ancorché manchi un’espressa disposizione normativa che disponga in tal senso.
1.3. Le argomentazioni della difesa sono, invero, conformi a quelle espresse da questa Corte, che ha già avuto modo di osservare che «la normativa, che disciplina le modalità della richiesta di trattazione orale e dello svolgimento del contraddittorio in mancanza di essa, (come rilevato già dai primi commentatori e segnalato da una relazione dell’Ufficio del massimario e del ruolo di questa Corte) nulla dispone in ordine agli eventuali adempimenti conseguenti alla richiesta di una delle parti -che costituisce esercizio di un diritto potestativo-, e in particolare in ordine alle modalità per rendere edotte le altre parti della richiesta medesima.
Si tratta di un profilo di certo rilevante per garantire che, ove sia stata avanzata richiesta di discussione orale, possa avere luogo il contraddittorio nell’udienza che verrà celebrata. Difatti, le parti che non hanno avanzato la richiesta ben possono ritenere che tale udienza non avrà luogo, essendo prevista ope legis, nei termini predetti e senza necessità di specifica comunicazione, la decisione in camera di consiglio con il solo contraddittorio cartolare (cfr. Sez. 5, n. 677 del 13/10/2021, dep. 2022, D.G., n.m.).
Ritiene il Collegio che proprio per tale ultima ragione non possa porsi a carico della parte che non ha fatto richiesta di discussione orale un onere di verificare che nessuna delle altre parti abbia avanzato tale richiesta. Ragion per cui, pur in mancanza di un’espressa previsione di legge, un’interpretazione sistematica (in
,
mancanza della quale la normativa sopra richiamata si esporrebbe a censure in punto di compatibilità con i princìpi costituzionali e con la Carta EDU) impone di ritenere che, qualora -a fronte di una richiesta di discussione orale- la Corte di appello celebri udienza in assenza delle parti private (o di una di esse) che non ne hanno fatto richiesta e non sono state ritualmente edotte della trattazione del giudizio nelle forme ordinarie – si determina una nullità di ordine generale a regime intermedio ai sensi della disciplina generale posta dagli artt. 178, comma 1, lett. c), secondo cui «è sempre prescritta a pena di nullità l’osservanza delle disposizioni con- cementi l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato e delle altre parti private», e 180 cod. proc. pen.» (così, in motivazione, Sez. 5, n. 7750 del 27/10/2021 Ud., dep. 2022, N., Rv. 282897 – 01).
Sulla base di tali argomentazioni è stato enunciato il seguente principio di diritto: «nel giudizio di appello, qualora una delle parti – nel vigore della disciplina emergenziale pandemica da Covid-19 – formuli richiesta di discussione orale, il provvedimento che dispone la trattazione con rito ordinario deve essere comunicato a tutte le parti, determinandosi in mancanza, ove l’udienza venga celebrata in assenza della parte non edotta, una nullità generale a regime intermedio ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.» (Sez. 5, n. 7750 del 27/10/2021 Ud., dep. il 2022, N., Rv. 282897 – 01; Sez. 6, n. 3673 del 19/01/2022, G., Rv. 282750 – 01).
1.4. Altro orientamento -cui il Collegio ritiene di aderire- si discosta in parte da quello appena illustrato, diversamente dal quale ritiene che l’omessa comunicazione di che trattasi configuri una nullità assoluta e non anche una nullità di ordine generale a regime intermedio.
In tal senso è stato spiegato che tale impostazione più rigorosa deve essere ritenuta preferibile «perché più coerente con il principio generale espresso da Sez. U, n. 24630 del 26/03/2015, Rv. 263598 (e più volte ribadito; ex plurimis, Sez. 6, n. 29683 del 29/09/2020, Rv. 279722), nel senso che l’omesso avviso dell’udienza al difensore di fiducia tempestivamente nominato dall’imputato o dal condannato, integra una nullità assoluta ai sensi degli artt. 178, comma 1, lettera c), e 179, comma 1, cod. proc. pen., quando di esso è obbligatoria la presenza, a nulla rilevando che la notifica sia stata effettuata al difensore d’ufficio e che in udienza sia stato presente un sostituto nominato ex art. 97, comma 4, cod. proc. pen..
L’obbligatorietà della presenza del difensore -tanto rilevante che in sua assenza viene nominato un difensore d’ufficio- rende il pregiudizio al diritto di difesa immanente nella circostanza pura e semplice che lo schema legale non si sia realizzato; con la conseguenza che non può essere richiesta al difensore non avvisato e che non abbia partecipato all’udienza la specificazione di un ulteriore pregiudizio concreto. L’interpretazione qui condivisa sembra anche più coerente
delle altre rispetto al dato letterale dell’art. 179, comma 1, cod. proc. pen., il cui espresso riferimento all’assenza del difensore nei casi in cui ne è obbligatoria la presenza non sembra lasciare spazio all’applicabilità del successivo art. 180, né ad una valutazione circa la sussistenza dell’interesse a far valere l’inosservanza della disposizione violata viveri. Infatti, quest’ultimo è previsto dall’art. 182 come presupposto per il rilievo delle nullità previste dagli artt. 180 e 181, ma non anche di quelle previste dall’art. 179 cod. proc. pen.».
E’ stato, dunque, enunciato il seguente principio di diritto: «in tema di giudizio cartolare di appello celebrato nel vigore della disciplina emergenziale per il contenimento della pandemia da Covid-19, è causa di nullità assoluta, ex artt. 178, comma 1, lett. c) e 179, comma 1, cod. proc. pen., l’omesso avviso ai difensori di fiducia dell’imputato dell’accoglimento della richiesta della parte civile di trattazione orale del giudizio, prevedendo tale rito la presenza obbligatoria dei predetti difensori e non rilevando la partecipazione all’udienza di un sostituto, nominato ai sensi dell’art. 97, comma 4, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 11170 del 15/12/2023 Ud., dep. 18/03/2024, COGNOME, Rv. 286046 – 01)
1.5. Nel caso di specie, dall’esame degli atti (consentita in ragione della natura processuale della questione sollevata cfr. Sez. U., n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092 – 01; Sez. 1, n. 17123 del 07/01/2016, Fenyves, Rv. 266613 – 01) emerge quanto denunciato dal ricorrente, ossia che il processo ha avuto trattazione orale in grado di appello, su richiesta dei difensori di altri imputati e che il difensore di fiducia dell’odierno ricorrente, sostituito nelle udienze che si sono succedute da un difensore d’ufficio all’uopo nominato, non aveva ricevuto alcuna comunicazione da parte della cancelleria circa la celebrazione del processo in forma orale.
Ne deriva la sussistenza della denunciata nullità processuale.
La sentenza va, dunque, annullata senza rinvio, con trasmissione degli atti ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio.
1.6. I restanti motivi d’impugnazione restano assorbiti.
2. Il ricorso di COGNOME è inammissibile.
Con un unico motivo d’impugnazione il ricorrente si duole del trattamento sanzionatorio e denuncia il vizio di omessa motivazione in relazione alle circostanze attenuanti generiche.
L’enunciata inammissibilità discende dalla manifesta aspecificità del correlato motivo di appello che si assume non trattato nella sentenza impugnata.
A tale proposito va rilevato come il motivo di appello dedicato alla negazione delle circostanze attenuanti generiche sia affetto da aspecificità e, in quanto tale, inammissibile. Esso, invero, si risolve nella mera enunciazione di orientamenti
giurisprudenziali sviluppatisi in tema di circostanze attenuanti generiche e del ruolo loro attribuito dal legislatore, senza che siano individuabili censure alla sentenza di primo grado.
2.1. Da qui discende l’inammissibilità del motivo oggi esposto con il ricorso, dovendosi ribadire che «la inammissibilità dell’impugnazione non rilevata dal giudice di secondo grado deve essere dichiarata dalla Cassazione, quali che siano state le determinazioni cui detto giudice sia pervenuto nella precedente fase processuale, atteso che, non essendo le cause di inammissibilità soggette a sanatoria, esse devono essere rilevate, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento. (Fattispecie di inammissibilità dell’appello dovuta a tardiva presentazione dei motivi)» (Sez. 3, n. 20356 del 02/12/2020, dep. 2021, Mirabella, Rv. 281630 – 01).
I ricorsi di NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME sono inammissibili perché propongono questioni non consentite avverso una sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., con la quale è stata inflitta la pena concordata dalle parti.
Con essi, infatti, i ricorrenti fanno questione circa l’omessa motivazione sulla sussistenza di cause di proscioglimento ovvero sulla congruità e sulla misura della pena.
A tale proposito va ricordato che «in tema di concordato in appello, è ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc.pen. che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. e, altresì, a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa da quella prevista dalla legge» (Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019 Cc., dep. 2020,vRv. 278170).
Da qui l’inammissibilità dei ricorsi in esame, in quanto tutti intesi a far valere vizi non deducibili davanti alla Corte di cassazione con l’impugnazione di una sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen.
4. Il ricorso di NOME è inammissibile.
Il ricorrente si duole della “non condivisibilità” della motivazione spesa dalla Corte di appello per disattendere i motivi non rinunciati, ossia quelli relativi alle circostanze attenuanti generiche e alla recidiva.
4.1. Per il ricorso di COGNOME in realtà, valgono le medesime ragioni d’inammissibilità già rilevate per la posizione di NOME COGNOME visto che il motivo di gravame dedicato alle circostanze attenuanti generiche e alla recidiva si risolve nella mera sollecitazione di riconoscimento delle prime e di esclusione delle seconde.
Da ciò la prima ragione di inammissibilità, in forza del principio di diritto già richiamato al paragrafo 2.1..
4.2. A ciò si aggiunga che la Corte di appello -non rilevando l’inammissibilità del motivo di gravame- ha ampiamente giustificato il riconoscimento della recidiva (osservando che COGNOME aveva riportato due condanne per fatti commessi in data precedente a quello per cui veniva giudicato, per delitti della stessa indole, tanto che vi sarebbero stati gli estremi per ritenere le recidiva specifica oltre che la recidiva reiterata contestata) e la negazione delle circostanze attenuanti generiche (osservando che la condotta processuale di COGNOME era solo parzialmente collaborativa, essendosi manifestata soltanto in relazione ad aspetti che già erano emersi con evidenza).
A fronte di ciò, il ricorrente si limita a sostenere che la motivazione non è condivisibile, così tradendo l’evidente carattere valutativo della doglianza che, per ciò solo risulta -ulteriormente- inammissibile. A ciò si aggiunga che il ricorrente non spiega le ragioni per cui la motivazione della sentenza impugnata in punto di pena non sia condivisibile, così risultando del tutto priva dei requisiti di specificità previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 581 cod. proc. pen., in quanto manca la puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricorso e dei correlati congrui riferimenti alla motivazione dell’atto impugnato e che, dunque, non consente al giudice dell’impugnazione di individuare i rilevi mossi ed esercitare il proprio sindacato.
Da tutte tali ragioni discende l’inammissibilità del ricorso.
5. Il ricorso di COGNOME è fondato.
5.1. Con il primo motivo d’impugnazione la ricorrente denuncia l’omessa motivazione quanto alla partecipazione e al ruolo della Nurcato in seno alla compagine associativa.
A tale proposito si afferma, che la Corte di appello si è basata sul solo rapporto sentimentale intercorrente con COGNOME ritenuto promotore dell’associazione, senza tuttavia indicare il ruolo rivestito dalla donna.
Il motivo è fondato.
Nel capo d’imputazione (capo 87) si legge che l’associazione per delinquere la cui partecipazione è contestata alla Nurcato era finalizzata sia all’importazione illecita di olii industriali dai Paesi dell’Est Europa al fine di rivenderlo per l successiva miscelazione con il gasolio, sia alla successiva attività di di riciclaggio e
11 GLYPH
– 0
di reimpiego del denaro provento dei delitti di truffa e di evasione fiscale.
Ciò premesso, va rilevato come la sentenza risulti monca in relazione alla sussistenza dell’associazione per delinquere così descritta nel capo d’imputazione, in quanto in essa non si rinviene alcuno stralcio che sia dedicato alle caratteristiche del sodalizio criminoso, del quale non vengono mai illustrati l’organizzazione, la composizione, le modalità di funzionamento, l’individuazione delle società strumentali alla realizzazione dei reati-fine (tra le molteplici che si assumono riferibili a COGNOME NOME) e ai ruoli rivestiti dai suoi partecipi, con particol riguardo alla posizione di NOME NOME, della quale non viene spiegato in cosa consistesse in concreto l’attività svolta nel sodalizio criminoso, in vista del perseguimento degli scopi criminosi per cui l’associazione per delinquere era stata costituita.
Quanto alle società coinvolte nell’attività criminosa, nella sentenza impugnata si trovano isolati accenni alla pag. 89 e alla pag. 104, nella parte narrativa della motivazione, dove si assume che i carichi di carburante introdotti clandestinamente da COGNOME NOME venivano portati presso il deposito di carburante della RAGIONE_SOCIALE, intestata a COGNOME NOME, ma gestita da COGNOME NOME.
Va altresì annotato come nella sentenza non venga trattata la posizione di COGNOME NOME, al cui riguardo si evidenzia solo che l’imputato ha rinunciato ai motivi di gravame e ha fatto una proposta di concordato.
La preliminare trattazione di tale posizione, però, non può essere completamente pretermessa nel momento in cui la Corte di appello riconosce la partecipazione della Nurcato all’associazione per il fatto di essere eterodiretta da COGNOME NOME, di cui si sconoscono, in concreto, le condotte realizzate, le modalità della loro realizzazione, le aziende usate per realizzarle e -in definitiva- la condotta in concreto realizzata dall’odierna ricorrente nell’ambito di tali aziende e la loro finalizzazione agli scopi del sodalizio criminoso.
A tale proposito, infatti, si osserva che a pagina 131 e ss., la Corte di appello affronta il tema della partecipazione di COGNOME NOME all’associazione e assume che COGNOME NOME “forniva le direttive necessarie alla gestione delle varie aziende fittiziamente intestate”.
Va rilevato come tale inciso risulti apodittico e non superi la soglia di un indefinito enunciato teorico ove non venga specificato con l’indicazione degli elementi concreti comprovanti le direttive effettivamente impartite da COGNOME alla Nurcato, le aziende in cui esse venivano impartite e le modalità di attuazione di tali direttive da parte della Nurcato, accompagnata dalla consapevolezza che la loro esecuzione era finalizzata al perseguimento degli scopi del sodalizio criminoso.
A tal fine -in assenza di ulteriori elementi concreti- non può ritenersi
sufficiente la valorizzazione del contenuto di alcune conversazioni: quella del 5.1.2019 nel corso della quale Nurcato NOME informava COGNOME che le fatture non erano state terminate e chiedeva come procedere; quella del 29/01/2019, nel corso della quale Nurcato NOME consigliava a COGNOME di non dare troppe informazioni al commercialista COGNOME NOME.
A loro riguardo, la difesa ha correttamente evidenziato come il riferimento alla compilazione delle fatture e al commercialista, in sé considerate, siano del tutto neutre, ove non venga spiegato perché e sulla base di quali elementi la compilazione delle fatture in questione fossero da ritenersi collegate al delitto associativo, ovvero ai reati fine.
Parimenti si dica con riguardo all’invito ad avere un atteggiamento più riservato nei confronti del commercialista, visto che tale monito non risulta significativo ai fini che qui interessano, ove non si spieghi come esso si colleghi all’attività delittuosa, tanto più ove si consideri che il commercialista menzionato nell’intercettazione non risulta coinvolto nei traffici delittuosi né emerge che quegli raccolga le confidenze di tali traffici.
Analoghe considerazioni valgono anche in relazione alla nota n. 10 a piè di pagina 132 della sentenza impugnata, dove la Corte di appello ha riportato i contenuti della conversazione del 7.02.2019, registrata in occasione di una perquisizione, nel corso della quale COGNOME informava la Nurcato che l’atto investigativo riguardava una vecchia indagine e che non gli operanti di polizia giudiziaria non avevano trovato niente.
Anche in questo caso non è possibile comprendere il significato probatorio di tale conversazione, ove scollegata da ulteriori elementi che la riconducano a condotte concrete realizzate dalla Nurcato riferibili ai fatti contestatile.
L’evidenziata lacuna argomentativa, peraltro, è il risultato dell’omessa risposta agli specifici motivi d’impugnazione sviluppati dalla difesa con l’atto di appello, dove si doleva dell’assenza di motivazione «in ordine alla esistenza del sodalizio e ai ruoli che i presunti sodali avrebbero avuto in esso», della mancata indicazione degli «elementi da cui poter desumere la qualità di partecipe della presunta associazione a delinquere contestata» e dell’avere individuato l’imputata «-per il solo fatto di essere la compagna di vita di COGNOME NOME– quale partecipe dell’associazione a delinquere finalizzata all’importazione illecita di prodotti petroliferi attraverso lo schermo apparente di società intestate a prestanome nonché di riciclaggio e reimpiego di denaro provento dei reati di truffa ed evasione fiscale».
Nell’appello, inoltre, la difesa censurava la sentenza impugnata perché «indica le ritenute responsabilità dei correi, senza avere individuato gli elementi che integrano la sussistenza di un vincolo associativo e dell’affectio societatis, necessari
13 GLYPH
per l’integrazione del reato contestato e per distinguerlo dal mero concorso di persone nel reato. Non emergono elementi da cui evincere che i coimputati agissero sotto le direttive dell’imputato , da cui poter ritenere sia la sussistenza dell’associazione e sia la qualifica di partecipe in capo alla Nurcato».
Tutti i temi sollevati con i motivi di appello sono rimasti, in effetti, privi di risposta, con la conseguente fondatezza del motivo di appello.
La sentenza, dunque, va annullata con rinvio alla Corte di appello di Napoli, per nuovo giudizio sul capo 87), che terrà conto dei rilievi dianzi esposti.
5.2. Il ricorso risulta fondato anche in relazione al terzo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente denuncia il vizio di omessa motivazione in relazione al questione sollevata con l’appello circa la possibilità che il trasferimento fraudolento di valori contestato alla Nurcato potesse ritenersi assorbito nelle condotte di riciclaggio e di reimpiego pure contestatele.
In relazione a tale questione va richiamato il principio di diritto con il quale è stato puntualizzato che «il delitto di riciclaggio, in quanto reato a forma libera e a formazione eventualmente progressiva, realizzabile anche con più atti finalizzati ad ostacolare l’illecita provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità, assorbe il delitto di trasferimento fraudolento di valori in forza della clausola di riserva di cui all’art. 512-bis cod. pen. nel caso in cui quest’ultimo costituisca un segmento della più articolata condotta riciclatoria» (Sez. 2, n. 38141 del 15/07/2022, COGNOME Rv. 283677 – 01).
Nella sentenza ora citata si legge, tra l’altro: «questa Corte ha affermato che integra il reato di riciclaggio anche la semplice condotta di colui che accetta di essere indicato come beneficiario economico di beni che, nella realtà, appartengono a terzi e sono frutto di attività delittuosa, in quanto detta condotta, pur non concretizzandosi nel compimento di atti dispositivi, è comunque idonea a ostacolare l’identificazione della provenienza del denaro (Sez. 2, n. 21687 del 05/04/2019, COGNOME, Rv. 276114; Sez. 6, n. 24548 del 22/05/2013; COGNOME, Rv. 256815; da ultimo v. Sez. 2, n. 23890 del 01/04/2021, COGNOME, Rv. 281463, non mass. sul punto). Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, il riciclaggio è un reato a forma libera, la cui condotta costitutiva può consistere anche in una pluralità di distinti atti in sé leciti, realizzati a distanza di tempo l’uno dall’altro, purch unitariamente riconducibili all’obiettivo comune cui sono finalizzati, ossia l’occultamento della provenienza delittuosa del denaro, dei beni o delle altre utilità che ne costituiscono l’oggetto: in questa ipotesi si configura proprio un unico reato a formazione progressiva, che viene a cessare con l’ultima delle operazioni poste in essere (Sez. 2, n. 7257 del 13/11/2019, COGNOME, Rv. 278374; Sez. 2, n. 29869 del 23/06/2016, Re, Rv. 267856; Sez. 2, n. 29611 del 27/04/2016, Re, Rv. 267511; Sez. 2, n. 52645 del 20/11/2014, Montalbano, Rv. 261624; da ultimo cfr. Sez. 2, n.
26250 del 22/06/2022, COGNOME, non mass.)».
Questo era il tema in effetti sollevato con il quarto motivo di appello, con il quale la difesa richiamava espressamente il principio di diritto ora enunciato, per chiederne l’applicazione in relazione ai reati di trasferimento fraudolento di valori (capo 91), di riciclaggio (capo 92) e di reimpiego (capo 93) contestati alla Nurcato e aventi a oggetto sostanzialmente i medesimi beni.
Ebbene, la motivazione data dalla Corte di appello in risposta al motivo di appello sul punto risulta apodittica.
L’eccezione della difesa, invero, è disattesa dalla Corte di appello con la motivazione che di seguito si riporta per esteso (pag. 134): «Invero, nel caso che occupa non ci troviamo di fronte ad un’unica condotta di riciclaggio, realizzata con più atti, bensì con più condotte, ciascuna integrante un’autonoma attribuzione fittizia della titolarità dei singoli beni nel dettaglio della imputazione ».
L’argomentazione spesa dalla Corte di appello sembra operare una non ben precisata distinzione tra “atti” e “condotte” che provocherebbe la possibilità del concorso e non anche l’assorbimento dei fatti contestati alla ricorrente, ma non spiega per quale ragione ritenga che la condotta di trasferimento fraudolento di valori non sia un segmento della condotta di riciclaggio e/o di reimpiego, ancorché i reati siano contestati in relazione ai medesimi beni immobili che -per di più- si assumono acquistati con il denaro proveniente sempre dall’attività illecita di COGNOME.
Tale GLYPH ultima GLYPH evenienza, GLYPH invero, GLYPH va GLYPH raccordata GLYPH all’insegnamento giurisprudenziale che, come già evidenziato, ha spiegato che costituisce riciclaggio la semplice condotta di colui che accetta di essere indicato come beneficiario economico di beni che, nella realtà, appartengono a terzi e sono frutto di attività delittuosa, in quanto detta condotta, pur non concretizzandosi nel compimento di atti dispositivi, è comunque idonea a ostacolare l’identificazione della provenienza del denaro.
Per tale ragione la sentenza va annullata con rinvio alla Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio sul punto.
5.3. Restano assorbiti il secondo e il quarto motivo di ricorso, con i quali si contesta la sussistenza dei requisiti dei reati di trasferimento fraudolento (capo 91), riciclaggio (capo 92) e reimpiego (capo 93.
I temi del concreto atteggiarsi di tali reati e della loro sussistenza, invero, sono strettamente intrecciati alla verifica dell’unicità ovvero della pluralità delle violazioni eventualmente commesse con le condotte contestate.
5.4. La sentenza va, dunque, annullata nei confronti di COGNOME NOME in relazione ai capi 87, 91, 92 e 93, con rinvio alla Corte di appello di Napoli per nuovo
GLYPH ….. 9….,bj
-.•
giudizio.
Il ricorso di COGNOME NOME è inammissibile.
6.1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia il vizio di omessa motivazione in relazione alla doglianza di merito con cui si denunciava la mancanza di una motivazione intellegibile nella sentenza di primo grado.
La censura è manifestamente infondata, atteso che la Corte di appello (alla pagina 128 della sentenza impugnata) ha dato risposta alla censura di nullità della sentenza di primo grado per omessa motivazione, affrontando l’identica questione sollevata in appello da COGNOME NOMECOGNOME disattesa con motivazione riferibile anche alla posizione di COGNOME NOME attesa l’assoluta identità della questione sollevata.
Da qui la manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso.
6.2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione del divieto di bis in idem asserendo che per lo stesso fatto è già stata pronunciata sentenza non definitiva dal Tribunale di Vibo Valentia.
A tale riguardo, la Corte di appello ha correttamente rilevato come tale evenienza non abbia nessuna ripercussione nel presente giudizio, atteso che da essa non deriva alcuna preclusione, configurandosi l’ipotesi della litispendenza presso uffici giudiziari diversi.
Tanto conduce ad affermare che i giudici della Corte di merito hanno fatto corretta applicazione del principio di diritto secondo il quale «nel caso di litispendenza tra due procedimenti per lo stesso fatto e a carico della stessa persona, avanti ad uffici diversi, non opera, con riferimento all’azione penale esercitata nel secondo procedimento, la preclusione del “ne bis in idem”, in quanto si tratta di una situazione che deve essere regolata dalle disposizioni sui conflitti positivi di competenza» (Sez. 6, n. 41380 del 19/09/2023, COGNOME, Rv. 285354 – 01; Sez. 5, n. 10037 del 19/01/2017, COGNOME, Rv. 269422 – 01).
Tanto implica che in relazione a tale motivo deve rilevarsi la carenza d’interesse, atteso che dal suo eventuale accoglimento non deriverebbe alcun effetto favorevole per la Nurcato, visto che la sentenza del Tribunale di Vibo Valentia non produce nessuna preclusione nell’odierno giudizio, non essendovi le condizioni per ritenere configurato il denunciato vizio di violazione del divieto di bis in idem.
6.3. Anche il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato, là dove si sostiene che il fatto contestato andrebbe più correttamente qualificato ai sensi dell’art. 512-bis cod. pen. e non ai sensi dell’art. 648-ter cod. pen..
A tale proposito vanno qui richiamati i principi già illustrati al paragrafo 5.2., là dove è stato osservato che la condotta astrattamente riconducibile all’ipotesi di trasferimento fraudolento di valori perde di autonomia quando essa abbia una finalità di occultamento, tale da costituire un segmento della condotta di riciclaggio
ovvero di reimpiego.
La Corte di appello ha, in effetti, ritenuto che nella fattispecie si fosse verificata tale evenienza.
Secondo la ricostruzione dei giudici, infatti, la RAGIONE_SOCIALE era riconducibile a COGNOME NOME ed era fittiziamente intestata a Nurcato Lucia soltanto al fine di creare uno schermo da utilizzare per il reimpiego dei proventi illeciti nell’acquisto di alcune unità immobiliari.
I giudici, dunque, hanno ritenuto che l’intestazione fittizia fosse un segmento della condotta di reimpiego, in quanto inserita in una sequela di atti tra loro coordinati e tutti finalizzati a occultare e disperdere la provenienza illecita del denaro, attraverso il suo momentaneo versamento nelle casse della società fittiziamente intestate a Nurcato per poi reimpiegarlo nell’acquisto di beni immobili.
Va rimarcato come tale ricostruzione debba considerarsi pacifica, atteso che nel motivo di ricorso in esame non vi sono censure a suo riguardo, visto che la doglianza è tutta incentrata nell’evidenziare l’illogicità della motivazione in quanto COGNOME NOME è stata assolta dal Tribunale di Vibo Valentia per il reato di trasferimento fraudolento di valori avente a oggetto sempre la RAGIONE_SOCIALE
La ricorrente, dunque, denuncia l’illogicità della qualificazione giuridica facendo valere quella sentenza del Tribunale di Vivo Valentia di cui si è già detto che non produce alcuna preclusione nel presente giudizio.
Da qui la manifesta infondatezza del motivo di ricorso e la correttezza della qualificazione giuridica data al fatto dalla Corte di appello.
6.4. Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente si duole della negazione delle circostanze attenuanti generiche e del trattamento sanzionatorio, denunciando l’illogicità della motivazione perché basata su un presupposto processuale inesistente, ossia che la donna si è sempre professata innocente.
Il motivo è manifestamente infondato e aspecifico.
6.4.1. Con riguardo alle circostanze attenuanti generiche va rilevato che la Corte di appello non le ha riconosciute perché «non sono stati individuati, a favore dell’imputata, elementi che impongano una valutazione dei fatti e/o della personalità dell’imputata che consenta un adeguamento della pena ai principi costituzionali di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e di finalità rieducativa della pena (art. 27 co. III Cost.)» (così a pag. 140 della sentenza impugnata).
La motivazione della Corte di appello è conforme a quanto più volte ribadito da questa Corte, che ha puntualizzato che «l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse. (Conf. Sez. 1, n. 3529 del 1993, Rv. 195339-01)» (Sez. 3, n. 24128 del
18/03/2021, COGNOME, Rv. 281590 – 01).
A fronte di una motivazione conforme ai principi di diritto affermati da questa Corte, la ricorrente non indica elementi favorevolmente valutabili al fine del riconoscimento delle attenuanti di che trattasi, limitandosi a denunciare genericamente e apoditticamente una illogicità della motivazione che non trova riscontro in atti.
Tanto fa emergere come il motivo sia al contempo manifestamente infondato e aspecifico sul punto, oltre che fuorviante nella parte in cui sostiene che vi sarebbe stata una disparità di trattamento rispetto ad altri coimputati, segnatamente in riferimento a COGNOME NOME, alla quale sono state riconosciute circostanze attenuanti generiche nonostante fosse gravata da più contestazioni.
A tale proposito va osservato che le due donne sono state condannate in relazione a fatti diversi, cos si che le due posizioni non possono ritenersi omogenee, là dove l’omogeneità della situazione fattuale risulta il presupposto indefettibile per verificare la configurazione di un’eventuale disparità di trattamento.
6.4.2. Analoghe considerazioni valgono anche in relazione al trattamento sanzionatorio, al cui riguardo la Corte di appello ha evidenziato che il giudice di primo grado ha applicato il minimo edittale della pena.
In effetti, si rileva come la pena detentiva inflitta a COGNOME NOME (anni due, mesi otto di reclusione) coincida al minimo edittale della pena comminata dall’art. 648-ter, comma primo, cod. pen., pari ad anni quattro di reclusione che, ridotta di un terzo per la celebrazione del processo secondo le forme del rito abbreviato, diventa pari ad anni due, mesi otto di reclusione.
A fronte di ciò, il motivo si risolve in una eminentemente generica doglianza, priva di reali contenuti, visto che la Corte di appello -una volta esclusa la sussistenza di circostanze attenuanti generiche- non poteva ridurre la misura della pena inflitta dal giudice di primo grado, per come oggi preteso da COGNOME NOMECOGNOME il cui ricorso risulta -conclusivamente- inammissibile.
Quanto esposto conduce: all’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti di COGNOME con trasmissione degli atti alla Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio; all’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Napoli; all’inammissibilità dei ricorsi di COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME che vanno altresì condannati al pagamento delle spese processuali nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME con trasmissione degli atti ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio; annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli; dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 3 dicembre 2024
GLYPH
Il Consigliere estensore
Il Presidente