Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 1282 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 1282 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 16/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato il 14/04/1990
avverso la sentenza del 06/12/2022 della CORTE APPELLO di TORINO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con sentenza dell’8 aprile 2022 il Tribunale di Torino, in rito immediato, ha condannato NOME COGNOME alla pena di 9 anni di reclusione, oltre statuizioni accessorie, per il tentato omicidio di NOME COGNOME avvenuto in Torino il 27 giugno 2021, e per i reati di rapina aggravata e lesioni, avvenuti in Torino il 26 giugno 2021.
Con sentenza del 6 dicembre 2022 la Corte di appello di Torino, in parziale riforma, ha rideterminato la pena inflitta all’imputato in 8 anni e 4 mesi di reclusione e confermato per il resto la sentenza di primo grado.
I giudici del merito hanno, in particolare, ritenuto accertato che il 27 giugno 2021 una pattuglia della Squadra volante della Polizia di Stato è intervenuta, su richiesta della centrale operativa, in INDIRIZZO a Torino perché era stata segnalata una rissa. Giunti sul posto, i poliziotti avevano notato due persone di origine africana in terra, l’uno sopra l’altro; il primo, identificato nell’odie ricorrente, stava colpendo l’altro, che era a terra, con un coccio di bottiglia di vetro nell’area della testa e del collo; l’uomo ha continuato a colpire anche alla presenza della polizia, che lo ha poi bloccato ed arrestato.
La vittima, portata in ospedale, dove le venivano diagnosticate ferite giudicate guaribili in 60 giorni, ed ascoltata successivamente, riferiva che l’aggressione era avvenuta come punizione per aveva denunciato alla polizia una rapina che aveva subito il giorno precedente, 26 giugno 2021, quando era stata aggredita dalla stessa persona, e da un correo, con delle bottiglie di vetro in testa e rapinato di un borsello contenente 100 euro. Il racconto della vittima era riscontrato dalla denuncia, relativa al fatto della notte precedente, che effettivamente era già stata presentata prima dell’episodio criminoso del giorno successivo.
Secondo il c.t.u. medico legale, le ferite riportate dalla vittima nel corso dell’aggressione erano idonee a cagionare la morte, in particolare quelle portate nella regione del collo.
Nel corso del giudizio l’imputato si è sottoposto all’esame in primo grado ed ha rilasciato dichiarazioni spontanee nel secondo, negando la responsabilità per la rapina del giorno 26 giugno (per il reato del giorno successivo l’imputato era stato, come detto, sorpreso in flagranza).
In giudizio è stato sentito anche il coimputato del delitto di rapina del 26 giugno, che ha, a sua volta, riferito che il responsabile della rapina del 26 giugno non era l’odierno ricorrente, ma un altro connazionale, che si chiamava anch’egli NOMECOGNOME
In questo complessivo quadro probatorio i giudici del merito avevano concluso per la responsabilità dell’imputato sia per il tentato omicidio del 27 giugno 2021, che per i reati di rapina aggravata e lesioni del giorno precedente.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso l’imputato, per il tramite del difensore, con i seguenti motivi di seguito descritti nei limit strettamente necessari ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Con il primo motivo deduce inosservanza di norma processuale, perché, a differenza di quanto avvenuto in primo grado, il giudizio di secondo grado si è svolto senza l’assistenza dell’interprete, che non era presente neanche nel momento in cui l’imputato ha reso dichiarazioni spontanee; si tratta di una nullità di ordine generale di cui all’art. 178, comma 1, lett. c) cod. proc. pen.
Con il secondo motivo deduce illogicità della motivazione in ordine alla condanna per i reati di rapina e lesioni commessi il 26 giugno del 2021; nel motivo si sostiene, in particolare, che l’unica fonte di prova a carico sono le dichiarazioni della persona offesa, che, però, non sono riscontrate in alcun modo; si aggiunge che la sentenza di appello ha sostenuto /in ordine all’identificazione del ricorrente come uno degli autori della rapina del 26 giugno /che non vi sarebbero dubbi perché il ricorrente è stato arrestato in flagranza il giorno successivo per un fatto ai danni della stessa vittima e che il collegamento tra i due episodi è dato dal proposito di vendetta del ricorrente per essere stato denunciato per il fatto del giorno prima; ma questa proposizione è in contrasto con altro passaggio della sentenza in cui si dice che non è noto come il ricorrente potrebbe essere venuto a conoscenza della denuncia presentata poche ore prima, aggiungendo solo che non è inverosimile che la vittima si fosse confidata con terzi e che in quelle ore, pertanto, la notizia fosse già a conoscenza della comunità nigeriana; la condanna, quindi, si baserebbe su un semplice rapporto di verosimiglianza che non può bastare in sede penale.
Con requisitoria scritta il Procuratore generale, dr. NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
Il primo motivo, che deduce violazione di legge processuale per la mancata assistenza dell’interprete nel giudizio di secondo grado, è infondato.
Va osservato anzitutto che la non conoscenza della lingua italiana non può essere desunta induttivamente dalla circostanza che in una fase processuale precedente (in questo caso, in primo grado) vi sia stata la presenza di un interprete, ma deve derivare da un accertamento positivo della mancata conoscenza della lingua italiana da parte dell’imputato, che nel caso in esame difetta.
In ogni caso, la mancata presenza di un interprete che assista l’imputato in udienza ai sensi dell’art. 143 cod. proc. pen. è una nullità a regime intermedio che si verifica nel corso dell’udienza, e che, conformemente alla regola generale dell’art. 182, comma 2, primo periodo, cod. proc. pen., deve essere eccepita nella stessa udienza (“prima del suo compimento”), per impedire che la nullità sia sanata ex art. 182, comma 2 cod. proc. pen. (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 26078 del 09/06/2016, Ka, Rv. 267157; Sez. 3, Sentenza n. 30891 del 24/06/2015, H., Rv. 264330).
La norma citata dispone, infatti, che “quando la parte vi assiste, la nullità di un atto deve essere eccepita prima del suo compimento ovvero, se ciò non è possibile, immediatamente dopo”.
Ne consegue che, in caso di mancanza di un interprete in una udienza in cui è presente il difensore dell’imputato (posto che, per giurisprudenza di legittimità ormai pacifica, il difensore è “la parte” cui si riferisce la disposizione dell’art. 18 cfr., da ultimo, Sez. 6, Sentenza n. 26222 del 04/05/2023, COGNOME, Rv. 284916), la violazione dell’art. 143 cod. proc. pen. deve essere dedotta nella stessa udienza prima che si svolgano le attività processuali successive che la mancanza dell’interprete renderebbe nulle (“prima del suo compimento”).
Non è, quindi, una nullità che la difesa dell’imputato .A possa 4conservarjper le fasi successive del giudizio, come ha fatto nel caso in esame, in cui il difensore, presente nell’udienza in cui si sarebbe verificata la nullità, nulla ha dedotto nel verbale di udienza, ed ha proposto l’eccezione soltanto con il ricorso per cassazione.
2. Il secondo motivo è infondato.
Il ricorso deduce che l’unica fonte di prova sull’episodio criminoso di rapina e lesioni del 26 giugno 2021 sono le dichiarazioni della persona offesa che non sarebbero riscontrate in alcun modo; ma – in una situazione in cui la persona offesa è stata più volte giudicata attendibile, con argomenti del tutto logici, nelle pagine nn. 5, 6 e 7 della sentenza d’appello – la rivalutazione delle prove e la sufficienza delle stesse a reggere il giudizio di responsabilità è preclusa in sede di legittimità (Sez. 2, Sentenza n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747; Sez. 3, Sentenza n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217; Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, COGNOME, Rv. 270519), in cui è ammesso soltanto il controllo logico e giuridico della struttura della motivazione, al fine di verificare se sia stat data esatta applicazione ai criteri legali ed alle regole della logica nell’interpretazione dei risultati probatori.
Il ricorso deduce ancora che vi sarebbero due passaggi della sentenza di appello in contraddizione l’uno con l’altro, perché la sentenza impugnata, da un lato ritiene che non vi siano dubbi sull’identificazione del ricorrente come uno degli autori della rapina del 26 giugno /essendo stato il ricorrente arrestato in flagranza il giorno successivo per un fatto ai danni della stessa vittima legato al primo dal proposito di vendetta per l’avvenuta denuncia del fatto, dall’altro sostiene che non è noto come il ricorrente fosse venuto a conoscenza della denuncia del giorno prima.
L’argomento è infondato, in quanto non si tratta, in realtà, di argomenti in contrasto, perché la sentenza si è limitata ad evidenziare la mancanza di prova
circa le circostanze di fatto attraverso cui l’imputato era venuto a conoscenza della denuncia presentata poche ore prima, mancanza, però, che il giudice di appello ha superato con argomentazione del tutto logica, ritenendo che la vittima avesse riferito della denuncia a conoscenti comuni della comunità nigeriana, che ne avevano poi riferito all’imputato.
In ogni caso, si tratta anche di argomento del tutto inidoneo a disarticolare la motivazione del provvedimento impugnato, perché il collegamento tra gli episodi criminosi del 26 e del 27 giugno non è, in realtà, necessario per reggere il giudizio di responsabilità, atteso che quello per il reato del 27 giugno dipende dall’osservazione diretta della polizia giudiziaria che ha sorpreso l’imputato mentre colpiva la vittima, e quello per i reati del 26 giugno dipende soltanto dalla valutazione, formulata in sentenza, di attendibilità della vittima, che ha indicato come autore del reato del giorno prima lo stesso soggetto che è stato sorpreso dalla polizia mentre la stava colpendo il giorno successivo.
In definitiva, il motivo è nel complesso infondato.
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16 novembre 2023
Il consigliere estensore l presidente