Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 25627 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 25627 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME COGNOME nato a MILANO il 20/12/1959
NOME COGNOME nato a NISCEMI il 23/07/1966
avverso la sentenza del 12/06/2024 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo
Il Proc. Gen. si riporta alla requisitoria in atti e conclude per il rigetto di tutti i udito il difensore
Il difensore NOME COGNOME del foro di NAPOLI, in qualità di sostituto processuale dell’avvocato COGNOME NOME del foro di CALTAGIRONE, deposita conclusioni scritte unitamente alla nota spese, nonché atto di nomina e procura speciale già in atti unitamente a nomina a sostituto processuale dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME del foro di ROMA, presente in apertura di udienza ma successivamente assentatasi a
causa di impegni sopravvenuti.
Il difensore COGNOME NOME del foro di GELA si riporta ai motivi del ricorso di NOME COGNOME e insiste per l’accoglimento dello stesso. Il difensore NOME COGNOME del foro di ROMA sottolinea che vi è stata rinuncia alla costituzione di Parte Civile, in grado di appello, del ricorrente COGNOME NOME COGNOME e insiste per l’annullamento della sentenza e l’accoglimento del ricorso.
IN FATTO E IN DIRITTO
1. Con la sentenza di cui in epigrafe, resa in data 12.6.2024, la corte di appello di Caltanissetta riformava parzialmente in senso favorevole agli imputati la sentenza con cui il tribunale di Gela, in data 15.6.2023, aveva condannato COGNOME NOME NOME e COGNOME, ciascuno alle pene, principali e accessorie, ritenute di giustizia, oltre al risarcimento dei danni derivanti da reato in favore della costituita parte civile, “Curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE“, in relazione ai fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e di bancarotta fraudolente documentale loro ascritti, in qualità, rispettivamente, di amministratore unico di diritto il COGNOME, di amministratore di fatto il COGNOME, in relazione al fallimento della società “RAGIONE_SOCIALE“, dichiarato dal tribunale di Gela il 4.7.2015.
In particolare, come si evince dalla lettura dei capi A) e B) dell’imputazione, la contestazione elevata nei confronti dei predetti imputati, ha per oggetto, per un verso, la bancarotta fraudolenta per distrazione, realizzata attraverso quattro condotte, e, precisamente, l’incameramento delle somme di denaro ricevute a titolo di incentivo alle imprese dal Ministero dello Sviluppo Economico, la cessione del ramo d’azienda, sito a Niscemi, in INDIRIZZO in favore di Trapani NOME, la cessione del capannone con terreno pertinenziale, sito in Acate, in favore della “RAGIONE_SOCIALE, e la locazione del capannone industriale, sito in Caltagirone, alla “RAGIONE_SOCIALE“, in assenza di corrispettivo; per altro verso, la bancarotta fraudolenta documentale, consistente nella tenuta delle “scritture contabili obbligatorie in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari e in particolare omettendo di tenere i bilanci di esercizio per gli anni 201, 2013, 2014 e 2015”.
Il giudice di appello ha assolto gli imputati limitatamente al fatto di bancarotta distrattiva della somma di euro 598.693,16, ricevuta a titolo del menzionato incentivo alle imprese, per insussistenza del fatto, con conseguente rideterminazione dell’entità del trattamento sanzionatorio, confermando nel resto la sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiedono l’annullamento, hanno proposto tempestivo ricorso per cassazione i suddetti imputati, ciascuno con un autonomo atto di impugnazione.
2.1 Il COGNOME, in particolare, nel ricorso a firma dei difensori di fiducia, avv. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME, lamenta: 1) violazione di legge processuale con riferimento all’art. 601, c.p.p., nel testo modificato ex art. 34, co. 1, d.lgs. 150 del 2022, e vizio di motivazione, nella parte in cui la sentenza ha disatteso l’eccezione difensiva volta a far valere la tardività della notifica del decreto di citazione a giudizio dell’imputato, che, nel caso di specie, era inferiore a quaranta giorni, così come previsto dalla nuova formulazione del citato art. 601, c.p.p.; 2) manifesta illogicità della motivazione, quanto alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, con particolare riferimento alla contestata distrazione delle somme di denaro concesse dal Ministero dello Sviluppo Economico, per avere, la sentenza impugnata, ritenuto realizzata la condotta distrattiva alla luce della mera constatazione del mancato svolgimento dell’attività imprenditoriale finanziata per tutta la durata del Patto territoriale sottoscritto dalla società fallita nell’ambito del programma di incentivo alle imprese, che prevedeva, tra l’altro, la realizzazione in Acate di un capannone industriale da destinare per un periodo di cinque anni all’attività di lavorazione e confezionamento di prodotti ortofrutticoli, nonché l’acquisto di macchinari e attrezzature funzionali allo svolgimento della nuova attività produttiva, non specificando l’eventuale finalità fraudolenta di una tale contingenza e ritenendo che la mancata prosecuzione dell’attività imprenditoriale per il tempo prescritto dal Patto implichi automaticamente che si versi in un’ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Il ricorrente evidenzia come il Ministero, pur ritenendo ammissibile il finanziamento delle spese gravanti sulla “RAGIONE_SOCIALE” per un importo di 1.197.726,33 euro, ha poi effettivamente erogato alla società fallita, sulla base di una rigorosa istruttoria avente a oggetto una serie di voci di spesa indicate da quest’ultima, la somma complessiva di euro
1.045.000,00, corrispondente a quanto effettivamente speso dalla società per pagare la costruzione del capannone e l’acquisto dei macchinari, conformemente alla previsione del Patto territoriale, e su tale importo si sarebbe dovuta calcolare l’entità della distrazione, non su quello di 1.197.726,33 euro, riguardante la somma astrattamente liquidabile.
Con riferimento, poi, allo svolgimento dell’attività imprenditoriale, osserva il ricorrente che essa è continuata sino al luglio del 2009, quando è stata sospesa per il fallimento del progetto imprenditoriale, determinato dalla sfavorevole congiuntura economica, che aveva costretto la società a fare ricorso alla C.I.G.
Ne consegue che nessuna distrazione è configurabile posto che non vi è stato alcun utilizzo del finanziamento per finalità estranee all’attività aziendale, essendo state, piuttosto, le somme erogate utilizzate per gli scopi previsti, laddove il mero mancato utilizzo del capannone e dei macchinari da un certo periodo in poi, ove anche si fosse risolto nel mancato integrale rispetto delle previsioni contenute nel Patto territoriale, è dipeso da una serie di fattori estranei alla volontà dell’imprenditore e non imputabile ad una sua gestione anomala, difettando anche, in mancanza di indici di fraudolenza, la dimostrazione della sussistenza del dolo in capo all’imputato; 3) manifesta illogicità della motivazione, per avere la corte territoriale ritenuto sussistente la distrazione dei canoni di locazione del capannone sito in Caltagirone (pari alla somma di euro 9.600,00 annui), pur in presenza di un contratto di locazione del predetto immobile stipulato con la “RAGIONE_SOCIALE“, in cui era stata prevista una clausola di compensazione di detti importi fino alla concorrenza dell’importo necessario per l’esecuzione di lavori di manutenzione ordinaria da eseguirsi all’interno della medesima struttura; 4) manifesta illogicità della motivazione in tema di sussistenza dell’elemento psicologico del reato di bancarotta fraudolenta documentale generica e di mancato riconoscimento della meno grave fattispecie di bancarotta documentale semplice, avendo, al riguardo, il giudice di appello reso una decisione fondata su argomentazioni del tutto
generiche sulla specificità del dolo dell’imputato in relazione all’irregolare tenuta delle scritture contabili, tale da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio sociale, dovendosi escludere ogni sua responsabilità per il periodo compreso tra la data di cessazione del ruolo di amministratore di diritto (avvenuta nel 2010) e il 9.12.2013, data in cui egli assunse di nuovo tale carica, mantenuta fino alla dichiarazione di fallimento, posto che il precedente amministratore non aveva collaborato con il ricorrente, che si era comunque prodigato per consentire al curatore fallimentare tutta la documentazione in suo possesso; 5) manifesta illogicità della motivazione per il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non considerando, la corte territoriale, l’avvenuto risarcimento del danno, in virtù del versamento alla curatela fallimentare della somma di euro 20.0000, con conseguente revoca della costituzione di parte civile.
2.2. Il COGNOME, nel ricorso a firma del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME lamenta: 1) violazione di legge processuale in riferimento agli artt. 161, 178, 179, comma 1, c.p.p., 111 e 117 Cost. e 6 CEDU per nullità delle notificazioni dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, della richiesta di rinvio a giudizio, dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare e del decreto che dispone il giudizio, perché eseguita ai sensi dell’art. 161, co. 4, c.p.p., a mani del difensore d’ufficio dell’imputato e non nel domicilio dichiarato dall’interessato e indicato presso la propria abitazione in Niscemi, INDIRIZZO ove è stato redatto in fase di indagini preliminari il verbale di identificazione del 12.1.2019, sul presupposto che l’indirizzo fosse insufficiente, trattandosi di una zona di campagna molto vasta, e che le informazioni assunte in loco dagli ufficiali giudiziari incaricati delle notifiche avevano dato esito negativo, senza, tuttavia, che si sia proceduto a un previo e adeguato accertamento della definitiva impossibilità di notificazione al domicilio dichiarato dal Musco, in sede di identificazione.
Tale dichiarazione, osserva il ricorrente, dimostra l’esistenza di un rapporto effettivo fra il dichiarante e il luogo prescelto, presso il quale gli agenti di polizia giudiziaria, come si è detto, hanno avuto materialmente
accesso, e l’assenza della volontà del COGNOME di sottrarsi alla conoscenza degli atti del processo, avendo egli comunicato un indirizzo valido, sicché non può essergli addebitata, come sembra fare la corte territoriale, la “colpa di avere indicato un’intera contrada di Niscemi, in assenza di migliori specificazioni, il che risulta evidente da un’ulteriore circostanza: l’avvenuta notifica a mani dell’imputato in data 2.6.2020 dell’avviso di rinvio d’ufficio dell’udienza preliminare per l’emergenza pandemica, dopo il vano tentativo di notifica del 16.5.2020, non andato a buon fine sempre a causa dell’insufficienza dell’indirizzo indicato e delle informazioni assunte in loco dal messo notificatore.
Ne consegue che, nel caso in esame, la mancata notifica degli atti in precedenza indicati presso il domicilio dichiarato deve attribuirsi a un difetto del procedimento di notifica, dovuto ad un’insufficiente attività di ricerca e/o carenza di conoscenza degli itinerari cittadini da parte dell’ufficiale giudiziario.
Senza tacere, da un lato, che l’autorità giudiziaria ha avallato tale superficialità, non disponendo, ai sensi dell’art. 420 quater, c.p.p., la notifica degli atti a mezzo della polizia giudiziaria; dall’altro, che COGNOME, all’atto dell’identificazione, come si evince dal relativo verbale, oltre al domicilio, dichiarò anche la residenza, in Niscemi, alla INDIRIZZO sicché, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, prima di procedere ai sensi dell’art. 161, co. 4, c.p.p., si sarebbe dovuto provare ad accedere al suddetto indirizzo;
2) violazione di legge processuale in riferimento agli artt. 161, co. 2, 178, 179, comma 1, c.p.p., per nullità della notifica del decreto che ha disposto il giudizio, avvenuta sempre ex art. 161, co. 4, c.p.p., senza considerare l’avvenuta notifica a mani dell’imputato in data 2.6.2020 presso l’indirizzo di Niscemi, INDIRIZZO., dell’avviso di rinvio d’ufficio dell’udienza preliminare per l’emergenza pandemica, dopo il vano tentativo di notifica del 16.5.2020 presso l’indirizzo di Niscemi, INDIRIZZO non andato a buon fine sempre a causa dell’insufficienza dell’indirizzo indicato e delle informazioni assunte in loco dal messo notificatore.
Di conseguenza la notificazione del decreto di citazione a giudizio doveva essere effettuata, ai sensi dell’art. 161, co. 2, c.p.p., nella formulazione allora vigente, presso l’indirizzo di Niscemi, INDIRIZZO, che si configura come domicilio determinato ex lege ovvero quale luogo ove eseguire le “successive notificazioni” per il caso in cui risulti mancante, insufficiente o inidoneo il domicilio dichiarato o eletto, laddove, invece, si è tentato vanamente di procedere alla notifica dell’atto presso il domicilio dichiarato in sede di identificazione, per poi procedere alla notifica nei confronti del difensore d’ufficio, senza indicare le ragioni per cui era diventata impossibile la notificazione nel domicilio determinato ex lege, ai sensi dell’art. 161, co. 2, c.p.p., con conseguente violazione del disposto dell’art. 161, co. 4, primo periodo, c.p.p.; 3) violazione di legge relativamente agli artt. 420 bis, 420 quater e 604, comma 5 bis, per nullità della dichiarazione di assenza dell’imputato effettuata all’udienza preliminare del 2.10.2019 e nel giudizio, in quanto, ove anche si volessero considerare legittime le notificazioni degli atti in precedenza indicati mediante la consegna al difensore di ufficio, ciò, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, non sarebbe sufficiente a dimostrare l’effettiva conoscenza del processo da parte dell’imputato e, di conseguenza, la sua volontà di sottrarsi ad esso, presupposti indefettibili per la dichiarazione di assenza, posto che numerosi sono gli elementi che dimostrano la mancanza di un’effettiva conoscenza del processo da parte del Musco e della volontà di sottrarsi alla conoscenza del processo, quali la condizione di reperibilità dello stesso; la dichiarazione di un domicilio valido ed esistente; la dichiarazione di residenza e il numero di telefono fornito all’atto dell’identificazione; l’assenza di elementi da cui poter dedurre l’instaurazione del rapporto professionale con il difensore di ufficio, la mancata attività di quest’ultimo mai presente alle udienze e sempre sostituito da altri difensori; la mancanza di una lista testi e di qualsivoglia attività difensiva. Ne consegue l’illegittimità della dichiarazione di assenza, in quanto, mancando la prova dell’effettiva conoscenza del processo in capo al prevenuto sulla base di un formale provvedimento di vocatio in
iudicium, e della sua volontà di sottrarsi alla conoscenza del processo, il giudice procedente avrebbe dovuto non dichiarare l’assenza dell’imputato, ma procedere agli adempimenti previsti dall’art. 420 quater, co. 1, c.p.p.; 4) mancanza e contraddittorietà della motivazione quanto alla ritenuta sussistenza della qualifica di amministratore di fatto del ricorrente nel periodo dal 16.9.2005 alla data del fallimento; 5) mancanza e contraddittorietà della motivazione in ordine alla ritenuta distrazione delle somme di denaro erogate a titolo di incentivo dal Ministero dello Sviluppo Economico; 6) contraddittorietà della motivazione e travisamento della prova quanto alla ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo della distrazione del ramo d’azienda sito a Niscemi, alla INDIRIZZO; 7) illogicità della motivazione quanto alla ritenuta sussistenza della distrazione del capannone con terreno pertinenziale, sito in Acate; 8) mancanza e contraddittorietà della motivazione per la ritenuta sussistenza della distrazione del capannone industriale sito in Caltagirone e dei canoni di locazione; 9) mancanza e contraddittorietà della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo del delitto bancarotta fraudolenta documentale; 10) mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta insussistenza del meno grave delitto di bancarotta documentale semplice e della circostanza attenuante del minimo contributo in relazione al reato di cui al capo b).
Con requisitoria scritta del 26.2.2025, da valere come memoria, essendo stata chiesta, nelle more, la discussione orale dei proposti ricorsi, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, dott.ssa NOME COGNOME chiede che entrambi i ricorsi siano rigettati.
Con memoria di replica del 19.3.2025, i difensori di fiducia del COGNOME, avv. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME insistono per l’accoglimento del ricorso.
Entrambi i ricorsi degli imputati appaiono fondati e vanno accolti nei seguenti termini.
Fondato, invero, deve ritenersi il primo motivo di ricorso articolato dal Musco, in esso assorbita ogni ulteriore doglianza.
5.1. Come si evince dalla lettura degli atti, consentita in questa sede di legittimità, essendo stato dedotto un error in procedendo (cfr. Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Rv. 220092), in data 12.1.2019 il COGNOME, in sede di redazione del verbale di identificazione, elezione di domicilio e nomina del difensore di fiducia, redatto dalla polizia giudiziaria, aveva eletto domicilio per le notificazioni “presso la propria abitazione, sita in Niscemi, INDIRIZZO, riservandosi la nomina di un difensore di fiducia. Sempre nel corpo del medesimo verbale, gli agenti operanti avevano proceduto alla identificazione del suddetto imputato, attestando che, come emergeva dalla carta di identità loro esibita dal COGNOME, quest’ultimo risiedeva in Niscemi, alla INDIRIZZO
Incontestata ed emergente dagli atti processuali è la circostanza che, una volta intervenuta l’elezione di domicilio nei sensi indicati, tutte le successive notificazioni degli atti processuali e, in particolare, dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, della richiesta di rinvio a giudizio, dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare e del decreto che dispone il giudizio, sono state eseguite, ai sensi dell’art. 161, co. 4, c.p.p., a mani del difensore d’ufficio dell’imputato e non nel domicilio eletto dal Musco, sul presupposto che tale domicilio fosse inidoneo per le notificazioni degli atti processuali, trattandosi di una zona di campagna molto vasta, e che le informazioni assunte in loco dagli agenti notificatori incaricati delle notifiche avevano dato esito negativo.
Del pari incontestato e risultante dagli atti processuali è il dato che l’ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Gela, in data 28.4.2020, procedendo in sede di udienza preliminare, aveva disposto il rinvio d’ufficio della celebrazione dell’udienza fissata per il 6.5.2020 al successivo 7.10.2020, veniva notificata a mezzo della polizia giudiziaria il 2 giugno 2020 a mani del Musco, al diverso indirizzo di Niscemi, INDIRIZZO, dopo che il tentativo di notifica da parte dell’ufficiale giudiziario del 16.5.2020 presso l’indirizzo di Niscemi, INDIRIZZO non era andato a buon fine, come si legge
nella relata di notifica, trattandosi di “zona di campagna molto vasta” e stante l’insufficienza delle informazioni assunte in loco dal messo notificatore.
5.2. Tanto premesso, la questione giuridica da risolvere attiene alla legittimità delle notificazioni degli atti processuali in precedenza indicati, effettuate ai sensi dell’art. 163, co. 4, c.p.p., al difensore d’ufficio dell’imputato, che non aveva nominato un difensore di fiducia, sul presupposto dell’insufficienza ovvero dell’inidoneità del domicilio originariamente eletto dal Musco.
Ad avviso della corte territoriale, che, sul punto, confermava la decisione di rigetto della relativa eccezione da parte del giudice di primo grado, e del sostituto procuratore generale nella richiamata memoria del 26.2.2025, la questione va risolta in senso opposto a quanto sostenuto dal ricorrente.
La corte territoriale, in particolare, attraverso una serie di richiami alla giurisprudenza di questa Corte, su cui si tornerà, ha osservato che nel caso in esame risulta “integrata un’ipotesi di impossibilità della notifica, legittimante la notifica sostitutiva al difensore, per non agevole individuazione del luogo di domiciliazione avendo il Musco indicato un’intera contrada di Niscemi, in assenza di migliori specificazioni ed avendo attestato l’ufficiale giudiziario, che ha proceduto alla notifica, che si tratta di una zona di campagna molto vasta”, ritenendo del tutto irrilevante la circostanza che “in altre occasioni la notifica da altri effettuata sia andata a buon fine e il COGNOME sia stato reperito dagli agenti di p.g. ai fini dell’identificazione dello stesso”, potendo ciò essere dipeso “da una svariata congerie di circostanze”.
Osserva al riguardo il pubblico ministero che il “testo dell’art. 161, comma 4, c.p.p., in vigore all’epoca dei fatti prevedeva che ove la notificazione nel domicilio eletto diviene impossibile (per inidoneità del domicilio) essa si esegue mediante consegna al difensore”, per cui, una volta sancita l’inidoneità del domicilio eletto dal Musco, posto che nessuna delle notificazioni presso il suddetto domicilio “ha avuto buon esito, e tutte per la medesima ragione, la vastità della zona che ha
impedito di individuare il luogo in cui eseguirla e l’assenza di persone cui attingere informazioni”, del tutto legittimamente esse sono state effettuate presso il difensore di ufficio, ai sensi della richiamata disposizione normativa.
“Non confuta tale assunto”, osserva il pubblico ministero, “quanto sostenuto dalla difesa, che vuole far discendere l’idoneità del domicilio eletto dall’esistenza di una notificazione a mani proprie – nel maggio 2020 – dell’avviso della udienza GUP del 7.10.2020 poiché tale notificazione non è avvenuta presso il domicilio eletto, bensì presso la residenza del ricorrente, in INDIRIZZO; dunque, semmai, essa costituisce riprova della strumentalità dell’imprecisione del luogo dichiarato dal ricorrente con la propria elezione di domicilio (effettuata presso un luogo diverso da quello di residenza)”
In conclusione, ad avviso del sostituto procuratore generale, “quanto all’inidoneità del domicilio eletto che ha comportato la notificazione dell’avviso ex art. 415 bis, c.p.p., presso il difensore d’ufficio ai sensi dell’art. 161, comma 4, c.p.p., correttamente il decidente ha ritenuto lo stesso non idoneo, riportando l’orientamento della Suprema Corte secondo il quale financo la temporanea assenza dell’imputato consente tale modalità di notificazione (Sez. U, Sentenza n. 58120 del 22/06/2017, COGNOME, Rv. 271772 – 01) e comunque per il caso in cui non è agevole l’individuazione dello specifico luogo in cui deve essere eseguita la notificazione (Sez. 1, Sentenza n. 23880 del 05/05/2021, Usai, Rv. 281419 – 01), senza dover ripetere il tentativo presso il luogo già accertato come inidoneo (Sez. 4, n. 3930 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 280383). L’orientamento è stato ribadito anche dalle Sezioni Unite in epoca più recente (Sez. U, n. 14573 del 25/11/2021, dep. 14/04/2022, D., Rv. 282848 – 02) che hanno affermato che: “la dichiarazione e l’elezione di domicilio possono essere ritenute “inidonee” in linea con il comune significato linguistico del vocabolo, non solo quando è praticamente “impossibile” la notificazione nel luogo indicato, ma anche quando, per cause diverse dal caso fortuito e dalla forza maggiore, le
stesse non sono “funzionali” ad assicurare il pronto ed efficace esito positivo dell’adempimento comunicativo”.
5.3. Le svolte considerazioni appaiono solo in parte convincenti.
In tema di conoscenza del processo da parte dell’imputato derivante dalla notifica degli atti processuali, l’evoluzione della giurisprudenza della Suprema Corte, tesa a una piena attuazione dei principi costituzionali e convenzionali in tema di giusto processo, è nel senso di assicurare con sempre maggior rigore che la conoscenza del processo da parte dell’imputato sia effettiva, anche attraverso la circolazione di notizie tra quest’ultimo e il suo difensore, riducendo al minimo l’operatività di meccanismi processuali di natura presuntiva, che consentano di dare per acquisita tale conoscenza, a prescindere da ogni indagine sulla reale consapevolezza dell’imputato dell’esistenza di un processo a suo carico; evoluzione, confermata dalla c.d. riforma Cartabia, che trova il suo punto di arrivo nella nota sentenza delle Sez. U. n. 23948, del 28/11/2019, Ismail, Rv. 279420.
Operata questa necessaria premessa, passando ad approfondire lo sguardo sulla portata del precetto di cui all’art. 161, co. 4, c.p.p., non è revocabile in dubbio che, come affermato in un condivisibile arresto di questa Corte, senza la previa verifica dell’insufficienza o dell’inidoneità della dichiarazione o elezione di domicilio dell’imputato, sia affetta da nullità assoluta e insanabile la notifica del decreto di citazione a giudizio eseguita presso il difensore, ai sensi dell’art. 161, comma 4, c.p.p.
Come è stato puntualmente osservato “nel sistema previsto dall’art. 161 cod. proc. pen. l’elezione di domicilio è funzionale all’individuazione di un sicuro punto di riferimento per le comunicazioni processuali prescelto dall’accusato che, con l’atto di elezione si assume la responsabilità della “idoneità” del luogo indicato, e corre il rischio che la notifica sia effettuata in via mediata nei casi in cui, in concreto, il luogo eletto per le notificazioni non risulti idoneo. In tale sistema la puntuale verifica della idoneità del luogo assume una rilevanza centrale, dato che solo ove tale controllo dia esito negativo diventa possibile attivare la notifica sostitutiva, mentre, ove tale verifica manchi, la notifica mediata non ha
alcuna base legale e si risolve nella consegna dell’atto di citazione a persona “diversa” dall’imputato, ovvero in una omessa citazione (cfr. Sez. 2, n. 3967 del 20/12/2022, Rv. 284310).
I parametri ai quali deve attenersi la verifica dell’idoneità del luogo dichiarato o eletto dall’imputato come domicilio per la notificazione degli atti processuali, possono dirsi fissati dal Supremo Collegio, a partire dalla sentenza “Pedicone”, in cui è stato affermato il principio che la notificazione di un atto all’imputato, non eseguita presso il domicilio eletto per il mancato reperimento, nonostante l’assunzione di informazioni sul posto e presso l’ufficio anagrafe, del domiciliatario, che non risulti risiedere o abitare in quel Comune, deve essere eseguita mediante consegna al difensore e non mediante deposito nella casa comunale con i correlati avvisi, perché detta situazione si risolve in un caso di inidoneità dell’elezione di domicilio. (La Corte ha precisato che allo stesso modo occorre procedere nel caso in cui il domiciliatario rifiuti di ricevere l’atto e, ove vi sia invece dichiarazione di domicilio, nel caso in cui al domicilio dichiarato non sia reperito l’imputato né vi siano altre persone idonee a ricevere: cfr. Sez. U, n. 28451 del 28/04/2011, Rv. 250120).
Il punto di approdo dell’interpretazione giurisprudenziale in materia può essere individuato nel principio affermato dalla successiva sentenza “Tuppi” delle Sezioni Unite, secondo cui l’impossibilità della notificazione al domicilio dichiarato o eletto, che ne legittima l’esecuzione presso il difensore secondo la procedura prevista dall’art. 161, comma 4, cod. proc. pen., è integrata anche dalla temporanea assenza dell’imputato al momento dell’accesso dell’ufficiale notificatore o dalla non agevole individuazione dello specifico luogo, non occorrendo alcuna indagine che attesti l’irreperibilità dell’imputato, doverosa invece qualora non sia stato possibile eseguire la notificazione nei modi previsti dall’art. 157 cod. proc. pen. (cfr. Sez. U, n. 58120 del 22/06/2017, Rv. 271772).
Ai GLYPH fini GLYPH dell’integrazione del GLYPH presupposto dell’impossibilità della notificazione nel domicilio eletto o dichiarato, legittimante la notificazione sostitutiva al difensore ai sensi dell’art. 161, co. 4, c.p.p.,
sono, dunque, sufficienti anche solo la temporanea assenza dell’imputato al momento dell’accesso dell’ufficiale notificatore o la non agevole individuazione dello specifico luogo (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 23880 del 05/05/2021, Rv. 281419).
In questo solco interpretativo si colloca un interessante arresto di questa Sezione, che fa discendere l’insufficienza della dichiarazione o dell’elezione di domicilio, legittimante la notificazione mediante consegna al difensore a norma dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen., dall’imprecisione della manifestazione di volontà dell’imputato, il quale, nello scegliere l’indirizzo dove ricevere le notificazioni degli atti processuali, aveva indicato la strada, ma non il relativo quartiere, con riferimento a una stessa città, in cui, in due zone diverse, vi erano due strade omonime (cfr. Sez. 5, n. 50166 del 30/09/2019, Rv. 278044).
Il sistema delineato dalle Sezioni Unite, trova, infine, la sua chiusura nella sentenza n. 14573 del 25/11/2021, Rv. 282848, secondo cui la mancata notifica a mezzo posta per irreperibilità del destinatario nel domicilio dichiarato, eletto o determinato per legge, attestata dall’addetto al servizio postale, comporta, a norma dell’art. 170 cod. proc. pen., senza necessità di ulteriori adempimenti, la consegna dell’atto al difensore ex art.161, comma 4, cod. proc. pen., salvo che l’imputato, per caso fortuito o forza maggiore, non sia stato nella condizione di comunicare il mutamento del luogo dichiarato od eletto, dovendosi, in tal caso, applicare le disposizioni degli artt. 157 e 159 cod. proc. pen.
Orbene, ad una prima lettura da svolgere alla luce degli esposti principi, non appare contestabile che, nel caso in esame, sembrerebbero sussistere i presupposti per la notificazione da eseguire ai sensi dell’art. 161, co. 4, cod. proc. pen., a mani del difensore del COGNOME in considerazione dell’evidente impossibilità di procedere alla notificazione degli atti processuali presso il domicilio eletto dall’imputato nel verbale di identificazione del 12.1.2019, evidenziata, sia dai reiterati fallimenti dei tentativi di notificazione presso tale luogo operati dagli agenti
notificatori a ciò incaricati, che si erano reiteratamente recati inutilmente presso l’indirizzo indicato dal COGNOME, sia dalla condotta del ricorrente.
Come si è visto, infatti, al COGNOME era stata notificata, a mezzo della polizia giudiziaria, il 2 giugno 2020, a mani proprie, la citata ordinanza di rinvio dell’udienza preliminare al diverso indirizzo di Niscemi, INDIRIZZO circostanza che rafforza la valutazione operata dai giudici di merito sull’originaria imprecisione del ricorrente nella generica indicazione della contrada del comune di Niscemi dove avrebbe potuto essere rintracciato ai fini della notificazione degli atti processuali, imprecisione che, a tutto voler concedere, ha reso non agevole l’individuazione dello specifico luogo dove eseguire le notificazioni, ovvero dimostra la violazione dell’onere su di lui incombente, ai sensi dell’art. 163, co. 1, cod. proc. pen., nella formulazione antecedente alla riforma legislativa intervenuta nel 2022, “di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto”, pena l’esecuzione delle notificazioni mediante consegna al difensore dell’imputato.
Se ciò è vero, è altrettanto vero, tuttavia, che da tempo nella giurisprudenza di legittimità si è affermato il principio, più volte ribadito, secondo cui, in caso di impossibilità della notificazione al domicilio eletto non può procedersi alla notifica mediante consegna di copia al difensore se, contestualmente all’elezione, l’imputato ha dichiarato anche la propria residenza (cfr. Sez. 5, n. 5522 del 30/10/2008; Sez. 6, n. 36416 del 09/07/2015, Rv.264611), come avvenuto nel caso in esame, in cui il COGNOME, contestualmente all’elezione di domicilio, aveva dichiarato la propria residenza in Niscemi alla INDIRIZZO con indicazione sufficientemente specifica.
Come è stato osservato, già con la sentenza n. 41280 del 17 ottobre 2006, Rv. 234905, le Sezioni Unite di questa Corte avevano negato la prevalenza dell’elezione di domicilio sulla dichiarazione di residenza o dimora, osservando che l’una e l’altra hanno pari rango e che l’imputato ha diritto di scelta tra le due alternative, inverando entrambe ipotesi di manifestazione di volontà finalizzate alla produzione di precisi effetti giuridici, di modo che se è inequivoca la direzione della volontà, la
manifestazione effettuata per ultima è quella che identifica il criterio di scelta delle modalità delle notificazioni, principio sostanzialmente ribadito e puntualizzato dalle stesse Sezioni Unite con la sentenza n. 19602 del 27 marzo 2008, COGNOME.
Dalla GLYPH sostanziale GLYPH equiparazione GLYPH dell’elezione GLYPH di GLYPH domicilio GLYPH alla dichiarazione di domicilio deve trarsi l’implicazione che venuta meno l’utilizzabilità del domicilio eletto, resta la validità ed efficacia della dichiarazione di residenza, ove devono essere effettuate le notificazioni Ne consegue che nel caso di specie, rivelatasi inutilizzabile l’elezione di domicilio per inidoneità della stessa, doveva tenersi comunque conto della dichiarazione di residenza, che ha mantenuto integra la sua validità proprio perché resa contemporaneamente all’elezione di domicilio, di modo che la notificazione degli atti processuali, a partire dall’avviso di conclusione delle indagini, ex art. 415 bis, cod. proc. pen., avrebbe dovuto essere tentata presso il luogo di residenza dichiarato dal Musco, vale a dire in Niscemi, alla INDIRIZZO prima di procedere alla notificazione ex art. 161, co. 4, cod. proc. pen., a mani del difensore di ufficio, ma a tanto non si è provveduto.
Più recentemente, in altri condivisibili arresti, si è, inoltre, ribadito un principio già affermato in passato dalla giurisprudenza di legittimità, (cfr. Sez. 4, n. 41998 del 20/09/2016, Rv. 268040; Sez. 2, n. 45565 del 21/10/2009, Rv. 245629; Sez. 2, n. 25671 del 19/05/2009, Sistro, Rv. 244167), ma con orientamento non dominante, alla luce del quale, in tema di notificazioni, la disposizione di cui all’art. 161, comma 4, cod. proc. pen., che consente la notifica degli atti mediante consegna al difensore, trova un temperamento, nella sua rigida applicazione, quando si abbia “aliunde” notizia precisa del luogo in cui il destinatario abbia trasferito la sua residenza o dimora, perché in tal caso la notifica deve essere effettuata – a pena di nullità assoluta e insanabile – in tale luogo, in modo da assicurare l’effettiva e non meramente presunta conoscenza dell’atto (cfr. Sez. 6, n. 46788 del 18/10/2023, Rv. 285565; Sez. 6, n. 46371 del 19/10/2023, Rv. 285480).
Si tratta di un orientamento, che, ad avviso del Collegio, riacquista centralità nel mutato “spirito dei tempi”, che, come si è detto, privilegia l’effettiva conoscenza del processo da parte dell’imputato, rispetto alla rigida applicazione di meccanismi presuntivi.
Anche sotto questo profilo, pertanto, l’utilizzazione della notifica “mediata” degli anzidetti atti processuali al difensore di ufficio del COGNOME non era consentita, integrando una nullità assoluta e insanabile, posto che, da un lato, con riferimento all’avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415 bis, cod. proc. pen., alla richiesta di rinvio a giudizio, all’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, sin dall’elezione di domicilio era noto anche il luogo di residenza dell’imputato; dall’altro, quanto meno in relazione al decreto che dispone il giudizio, era noto il (nuovo) luogo di residenza del Musco, sito in Niscemi, alla contrada INDIRIZZO
Né l’avvenuta notifica in tale luogo della più volte richiamata ordinanza di rinvio emessa in sede di udienza preliminare dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Gela, può essere utilizzata come argomento per sostenere che il COGNOME avesse conseguito una conoscenza, anche solo indiretta, del processo a suo carico, con conseguente esclusione di ogni pregiudizio per il suo diritto di difesa.
Costante, infatti, appare l’orientamento formatosi nella giurisprudenza di legittimità, in tema di rescissione del giudicato, con cui è stato affermato il principio, dotato di portata generale, secondo cui l’effettiva conoscenza del procedimento deve essere riferita all’accusa contenuta in un provvedimento formale di “vocatio in iudicium”, sicché non può desumersi dalla mera dichiarazione o elezione di domicilio operata nella fase delle indagini preliminari, quando ad essa non sia seguita la notifica dell’atto introduttivo del giudizio in detto luogo, ancorché a mano di soggetto diverso dal destinatario, ma comunque legittimato a ricevere l’atto.
In motivazione la Corte ha precisato che, nel caso di sopravvenuta impossibilità di notifica al domicilio eletto o dichiarato, la notifica della “vocatio in iudicium”, effettuata ai sensi dell’art.161, comma 4,
cod.proc.pen., in particolare presso il difensore d’ufficio, in quanto eseguita in luogo diverso dal domicilio indicato, non consente di ritenere la sicura conoscenza del procedimento da parte dell’imputato, (cfr. Sez. 6, n. 21997 del 18/06/2020, Rv. 279680; Sez. 1, n. 47373 del 12/11/2024, Rv. 287291).
Ribadito, pertanto, che il COGNOME non ha avuto conoscenza alcuna, neppure indiretta, del processo di primo grado, è agevole rilevare che l’illegittimità della procedura seguita per le notificazioni ha comportato l’assoluto pregiudizio del diritto di difesa dell’imputato, il che vizia irrimediabilmente la celebrazione dell’udienza preliminare, il decreto che dispone il giudizio del 2.3.2021 e gli atti conseguenti, vizio cui consegue la nullità assoluta.
La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata, in uno con la sentenza del tribunale di Gela del 15.6.2023, con rinvio per nuovo giudizio al tribunale di Gela, ufficio del giudice per l’udienza preliminare.
Parzialmente fondato appare il ricorso del COGNOME, che va accolto nei seguenti limiti.
6.1. Infondato appare il primo motivo di ricorso, in quanto, come affermato dalla Suprema Corte, nella sua espressione più autorevole, la disciplina dell’art. 601, comma 3, cod. proc. pen., introdotta dall’art. 34, comma 1, lett. g), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che individua in quaranta giorni il termine a comparire nei giudizi di appello, è applicabile ai soli atti di impugnazione proposti a far data dal 10 luglio 2024″ (cfr. Sez. U, n. 42124 del 27/06/2024, Nafi, Rv. 287095 e Rv. 287096), mentre nel caso in esame l’appello del COGNOME è stato proposto in un momento anteriore rispetto a tale data.
6.2. Fondato, invece, appare il secondo motivo di ricorso, con cui, come si è detto, viene aggredita l’affermazione di responsabilità del ricorrente in ordine alla utilizzazione dei finanziamenti ricevuti dalla società fallita a titolo di incentivo alle imprese dal Ministero dello Sviluppo Economico, di cui il COGNOME contesta la natura distrattiva.
6.3. Al riguardo si ritiene opportuno ribadire, sia pure sinteticamente, i punti fermi cui è pervenuta la giurisprudenza della Corte di Cassazione
in sede di interpretazione della fattispecie normativa del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione.
Si tratta di principi costantemente affermati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione qualunque operazione diretta a distaccare dal patrimonio sociale, senza immettervi il corrispettivo e senza alcun utile, beni ed altre attività, così da impedirne l’apprensione da parte degli organi fallimentari e causare un depauperamento del patrimonio sociale, in pregiudizio dei creditori (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 36850 del 06/10/2020, Rv. 280106).
Ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, in altri termini, il distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito (con conseguente depauperamento in danno dei creditori), in cui si concreta l’elemento oggettivo del reato di cui si discute, può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene attraverso l’esperimento delle azioni apprestate a favore della curatela (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 44891 del 09/10/2008, Rv. 241830; Sez. 5, n. 48872 del 14/07/2022, Rv. 283893).
Integrano, pertanto, il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione tutte le operazioni economiche che, esulando dagli scopi dell’impresa, determinano, senza alcun utile per il patrimonio sociale, un effettivo depauperamento di questo in danno dei creditori (cfr. Sez. 5, n. 15679 del 05/11/2013, Rv. 262655).
Se ne deduce, ai fini della configurabilità del reato di cui si discute, l’irrilevanza delle cause economiche del fallimento e degli eventi successivi alla dichiarazione di fallimento, posto che, al fine di individuare la finalità distrattiva perseguita dagli agenti, anche l’esercizio di facoltà legittime, comprese nel contenuto di diritti riconosciuti dall’ordinamento (nel caso di specie nel diritto d’iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost.), può costituire uno strumento di frode per pregiudicare o frodare le ragioni dei creditori, in quanto la liceità di ogni
operazione che incide sul patrimonio dell’imprenditore dichiarato fallito può essere affermata solo all’esito di un accertamento in concreto in relazione alle conseguenze prodotte sulle ragioni del ceto creditorio (cfr. Sez. 5, n. 15803 del 27/11/2019, Rv. 279089).
Come è stato ribadito anche recentemente dalla giurisprudenza di legittimità, invero, in tema di bancarotta fraudolenta, la condotta di “distrazione” si concreta in un distacco dal patrimonio sociale di beni cui viene data una destinazione diversa da quella di garanzia dei creditori, non rilevando se in quel momento l’impresa versi in stato di insolvenza, mentre quella di “dissipazione” consiste nell’impiego dei beni in maniera distorta e fortemente eccentrica rispetto alla loro funzione di garanzia patrimoniale, per effetto di consapevoli scelte radicalmente incongrue con le effettive esigenze dell’azienda, avuto riguardo alle sue dimensioni e complessità, oltre che alle specifiche condizioni economiche ed imprenditoriali sussistenti (cfr. Sez. 5, n. 7437 del 15/10/2020, Rv. 280550).
Costante nella giurisprudenza della Suprema Corte è, inoltre, l’orientamento, secondo cui il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare è un reato di pericolo concreto, in quanto l’atto di depauperamento, incidendo negativamente sulla consistenza del patrimonio sociale, deve essere idoneo a creare un pericolo per il soddisfacimento delle ragioni creditorie, che deve permanere fino al tempo che precede l’apertura della procedura fallimentare (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 50081 del 14/09/2017, Rv. 271437).
Proprio la natura di reato di pericolo del delitto di cui si discute rende del tutto irrilevante ai fini della sua configurabilità, sotto il profilo dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato, l’assenza di un danno per i creditori (cfr. Sez. 5, n. 13382 del 03/11/2020, Rv. 281031).
6.4. Ciò posto, non è revocabile in dubbio che il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale può essere integrato dalla distrazione o dalla dissipazione di finanziamenti ottenuti, anche illecitamente, dal fallito ed entrati a far parte del suo patrimonio, non rinvenuti all’atto della dichiarazione di fallimento ovvero ai quali sia stata data una
destinazione diversa rispetto a quella che ha costituito la ragione del finanziamento.
Si è, invero, affermato che, in tema dì reati fallimentari, il delitto di truffa avente ad oggetto il conseguimento di finanziamenti bancari mediante falsificazione dei bilanci e di altra documentazione relativa alla situazione economico-patrimoniale di una società non assorbe la condotta di bancarotta successivamente realizzata dal medesimo imputato attraverso la sottrazione al ceto creditorio delle somme derivanti dall’anzidetta condotta illecita, trattandosi di fatti illeciti naturalisticamente differenziati (cfr. Sez. 5, n. 13399 del 08/02/2019, Rv. 275094).
E ancora, che il reato di malversazione a danno dello Stato, di cui all’art. 316-bis cod. pen., concorre con quello di bancarotta impropria distrattiva, di cui all’art. 223, comma 1, legge fall., in quanto l’autore dapprima si appropria delle risorse erariali immettendole nel patrimonio della società, e successivamente le sottrae alla garanzia generica dei creditori, destinando le somme a finalità diverse sia rispetto a quelle per le quali era stato concesso il contributo o il finanziamento, sia rispetto a quelle proprie dell’attività imprenditoriale della società (cfr. Sez. 5, n. 49992 del 17/07/2017, Rv. 271436).
Orbene, ad avviso della corte territoriale, nella fattispecie in esame è configurabile la bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, derivante dalla “mancata destinazione dei finanziamenti alle finalità previste e, segnatamente, anche quella di adibire l’azienda per il periodo prescritto all’attività economica predeterminata”.
Ciò in quanto, con provvedimento n. 3854 del 28.11.2018, il Direttore Generale del Ministero dello Sviluppo Economico, premesso che erano state effettuate in favore della società fallita erogazioni di somme di denaro per un importo di euro 1.045.825,21, su di un importo astrattamente concedibile per un ammontare di euro 197.726,33 e che “la ditta beneficiaria aveva distolto dall’uso previsto i beni agevolati durante il prescritto periodo d’obbligo quinquennale, utilizzando i beni stessi per 30 mesi sui 60 prescritti”, aveva rideterminato “il contributo
legittimamente elargito in euro 598.863,16”, con conseguente revoca parziale delle agevolazioni, “in misura proporzionale alle spese ammesse e al periodo di mancato utilizzo, per euro 598.863,16.
Di conseguenza, ad avviso del giudice di appello, è configurabile una condotta distrattiva con riferimento all’ammontare del finanziamento oggetto di revoca, mentre, in relazione all’ammontare di pari importo, non oggetto di revoca, destinato per un tempo limitato alla finalità prevista dal Patto territoriale di incentivo alle imprese “RAGIONE_SOCIALE“, posto alla base del provvedimento con cui si dispose l’elargizione della complessiva somma di euro 1.045.825,21 in favore della “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“, non è configurabile alcuna condotta illecita, essendo stata destinata allo scopo per cui l’erogazione era stata concessa, ragione per la quale, limitatamente a tale somma, la corte territoriale assolveva l’imputato con la formula perché il fatto non sussiste (cfr. pp. 6-7 della sentenza oggetto di ricorso).
Il percorso motivazionale seguito dalla corte territoriale, presenta una serie di aporie, che impongono un ulteriore sforzo motivazionale da parte del giudice del rinvio.
Appare, prima facie, contradditoria la condanna per la ritenuta distrazione del finanziamento di euro 598.863,16, che rappresenta la metà non di quanto effettivamente erogato alla società, pari, per stessa ammissione del giudice di merito, ad euro 1.045.825,21, ma di quanto astrattamente concedibile, e non concesso, pari a un importo di euro 197.726,33, sicché, tenuto conto dell’intervenuta assoluzione per la distrazione della somma di pari importi di cui si è detto, il COGNOME sembra essere stato condannato per la distrazione di una somma di denaro in parte superiore a quanto realmente entrato nel patrimonio della società fallita a titolo di incentivo.
Va, inoltre, considerata meramente apodittica, dunque tale da integrare gli estremi di una motivazione apparente, l’affermazione secondo cui dal menzionato provvedimento di revoca si evince, con certezza, la mancata destinazione dei finanziamenti ricevuti alle finalità perseguite con il Patto
territoriale, sol perché, per un limitato periodo di tempo, l’attività di impresa, finanziata dai suddetti incentivi, non si era svolta.
La corte territoriale, invero, non ha illustrato specificamente il percorso logico-giuridico seguito per giungere a siffatta conclusione.
Il giudice di appello, in particolare, non ha chiarito in termini esaustivi quali fossero gli specifici obiettivi perseguiti attraverso il suddetto Patto territoriale e, soprattutto, in che termini, una volta entrato nel patrimonio della società fallita il finanziamento pubblico per un ammontare di euro 1.045.825,21, l’ipotizzata condotta dell’imputato, ove anche si fosse tradotta nel mancato rispetto di una o più delle condizioni previste per beneficiare delle agevolazioni economiche contemplate dal Patto territoriale (nella specie l’obbligo di svolgere attività d’impresa nel settore ortofrutticolo per cinque anni), avrebbe costituito un concreto pericolo per le ragioni del ceto creditorio.
Si tratta di un profilo di non poco momento, perché, come si è visto, le condotte distrattive o dissipative sono solo quelle che, esulando dagli scopi dell’impresa, determinano, senza alcun utile per il patrimonio sociale, un effettivo depauperamento di questo in danno dei creditori, rimanendo del tutto estranei alla fattispecie tipica gli eventi successivi alla dichiarazione di fallimento, (come, ad esempio, la possibilità di recupero del bene attraverso l’esperimento dell’azione revocatoria), rientrando in tale categoria il menzionato provvedimento di revoca, recante una data successiva alla dichiarazione di fallimento del 4.7.2015, posto che la liceità o meno di ogni operazione che incide sul patrimonio dell’imprenditore dichiarato fallito può essere affermata solo all’esito di un accertamento in concreto in relazione alle conseguenze prodotte sulle ragioni del ceto creditorio, accertamento che nel caso in esame difetta e che sarebbe stato doveroso svolgere.
Sul punto, pertanto, si impone l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Caltanissetta, per nuovo giudizio, finalizzato a colmare le evidenziate lacune motivazionali, impregiudicata l’indagine sull’elemento soggettivo del reato, da svolgersi in conformità ai principi di diritto in precedenza indicati.
Inammissibile, deve ritenersi il terzo motivo di ricorso, perché versato in fatto.
Come è noto, in questa sede di legittimità è precluso ogni percorso argomentativo seguito che si risolva in una mera lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio, palese nell’articolazione del terzo motivo di ricorso, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758; Sez. 5, n.3,. 26455 del 09/06/2022, Rv. 283370).
Va, peraltro, osservato che, conformemente ai principi di diritto enunciati in precedenza al punto 6.3, risulta conforme nella giurisprudenza di legittimità l’orientamento, secondo cui, integra gli elementi costitutivi della bancarotta fraudolenta per distrazione la stipula, in epoca precedente la dichiarazione di fallimento, di un contratto di locazione di beni aziendali dell’impresa fallita senza che i relativi canoni siano versati nelle casse aziendali (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 49489 del 15/06/2018, Rv. 274370; Sez. 5, n. 12456 del 28/11/2019, Rv. 279044).
La corte territoriale ha reso una motivazione del tutto conforme a tale orientamento, evidenziando con motivazione affatto mancante, manifestamente illogica o contraddittoria, come, da un lato, il contratto di locazione tra la società fallita e la “RAGIONE_SOCIALE“, sia stato stipulato in data 22.10.2014, pochi mesi prima della sentenza dichiarativa di fallimento del 4.7.2025, quando era evidente lo stato di decozione della società; dall’altro, come il mancato rinvenimento di ogni traccia nelle scritture contabili e nelle casse della società fallita dei relativi canoni di locazione, pari a euro 9600,00 annui, dimostri il mancato versamento del corrispettivo previsto, che, inoltre, non poteva ritenersi oggetto della compensazione fino alla concorrenza dell’importo necessario per l’esecuzione dei lavori di manutenzione ordinaria da eseguirsi a cura
della locataria all’interno del capannone, prevista nel contratto di locazione, per la decisiva ragione che tali lavori, a differenza di quanto previsto nello stesso contratto di locazione, non erano stati indicati in una separata scrittura tra le parti, senza tacere che per l’esecuzione degli stessi non era stato previsto, né un termine, né l’ammontare, nemmeno di massima, della relativa spesa (cfr. pp. 9-10 della sentenza di appello).
Accertata, dunque, la diminuzione del patrimonio della società fallita attraverso un’operazione che ha messo in pericolo le ragioni del ceto creditorio, perché priva di remunerazione, appare evidente come i rilievi difensivi siano inammissibili, anche perché manifestamente infondati e meramente reiterativi delle censure già dedotte in appello e puntualmente disattese dalla corte di merito (cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Rv. 277710).
Va, invece, rigettato il quarto motivo di ricorso.
8.1. La particolare posizione assunta dal COGNOME di amministratore di diritto della società fallita rappresenta indubbiamente il presupposto necessario per fondare la sua responsabilità per il reato di cui si discute, in quanto sussiste il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le scritture contabili, in modo da consentire la ricostruzione del movimento degli affari della società fallita.
Al riguardo non appare condivisibile il rilievo difensivo con cui si attribuisce all’amministratore che ha preceduto il ricorrente nella carica di amministratore di diritto della società fallita, prima che quest’ultimo tornasse alla guida della “RAGIONE_SOCIALE” fino al fallimento, la responsabilità dell’irregolare tenuta delle scritture contabili, posto che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità in un condivisibile arresto, in tema di bancarotta fraudolenta documentale, in caso di avvicendamento nella gestione di una società, il nuovo amministratore ha l’obbligo di verificare l’effettiva e corretta tenuta delle scritture contabili da parte del predecessore, nonché di ricostruire la documentazione eventualmente mancante o inidonea, di ripristinare i libri e le scritture contabili mancanti e di regolarizzare le scritture
erronee, lacunose o false, ferma restando la responsabilità dell’amministratore cessato per la tenuta della contabilità nel periodo in cui ha ricoperto la carica e per l’eventuale occultamento, in tutto o in parte, della documentazione al momento del passaggio di consegne (cfr. Sez. 5, n. 39160 del 04/10/2024, Rv. 287061).
Nel resto i rilievi svolti dal difensore dimostrano un’incertezza ricostruttiva, che ne inficia la fondatezza.
Pur censurando la motivazione della corte territoriale con particolare riferimento all’elemento psicologico del reato, il ricorrente, sostenitore della tesi che, a tutto voler concedere, nella condotta dell’imputato sarebbe configurabile l’elemento soggettivo della bancarotta semplice, non contesta, sul piano oggettivo, la scelta operata dalla corte territoriale, che ha ritenuto sussistente un’ipotesi di fraudolenta tenuta delle scritture contabili, sorretta, come è noto, dal dolo generico, che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dagli organi fallimentari, distinta, in seno all’art. 216, comma primo, lett. b), I. fall. in tema di bancarotta fraudolenta documentale, dall’occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è, invece, necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, (cfr. ex plurimis, Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Rv. 269904; Sez. 5, n. 26379 del 05/03/2019, Rv. 276650; Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Rv. 279838).
Al riguardo deve osservarsi che gli elementi dai quali desumere la sussistenza del dolo specifico nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale specifica e del dolo generico nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale generica non possono coincidere con la scomparsa dei libri contabili o con la tenuta degli stessi in guisa tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, che rappresentano semplicemente gli eventi fenomenici, dal cui verificarsi dipende l’integrazione dell’elemento oggettivo del reato.
Dovendo, piuttosto, consistere in circostanze di fatto ulteriori, in grado di illuminare la ratio dei menzionati eventi alla luce della finalità di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto ovvero di recare pregiudizio ai creditori, nel caso della bancarotta fraudolenta documentale specifica; della consapevolezza che l’irregolare tenuta della documentazione contabile è in grado di arrecare pregiudizio alle ragioni del ceto creditorio, nel caso della bancarotta fraudolenta documentale generica.
Appare, pertanto, evidente che tra le suddette circostanze assume un rilievo fondamentale la condotta del fallito nel suo concreto rapporto con le vicende attinenti alla vita economica dell’impresa (cfr., in questo senso, Sez. 5, n. 2228 del 04/11/2022, Rv. 283983; Sez. 5, n. 33575 del 08/04/2022, Rv. 283659; Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Rv. 279838).
Tale profilo risulta sufficientemente affrontato e risolto dalla corte territoriale, che riconduce l’incompleta ed irregolare tenuta delle scritture contabili, ai disegni distrattivi del COGNOME (poco importa, per quanto di interesse, se condivisi o meno con il COGNOME, nei confronti del quale il giudizio di merito andrà di nuovo celebrato), che emergono dalle condotte distrattive contestate nel capo A), di cui va tenuto conto, ad eccezione, ovviamente di quella per cui deve disporsi l’annullamento con rinvio.
In questo contesto anche l’accertata omessa tenuta dei bilanci per gli anni di esercizio dal 2012 al 2015, non integrante il reato di bancarotta fraudolenta documentale, che non può avere ad oggetto il bilancio, non rientrando quest’ultimo nella nozione di “libri” e di “scritture contabili” prevista dalla norma di cui all’art. 216, comma primo, n. 2, L. fall. (cfr. Sez. 5, n. 42568 del 19/06/2018, Rv. 273925), assume valore per disvelare le finalità fraudolente dell’irregolare tenuta della documentazione contabile.
Pertanto può affermarsi che la decisione della corte territoriale sul punto appare del tutto conforme al condivisibile orientamento giurisprudenziale, alla luce del quale, in tema di bancarotta fraudolenta documentale di cui alla seconda ipotesi dell’art. 216, comma 1, n. 2
legge fall., il dolo, generico, può essere desunto, con metodo logicopresuntivo, dall’accertata responsabilità dell’imputato per fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in quanto la condotta di irregolare tenuta dei libri o delle altre scritture contabili, che rappresenta l’evento fenomenico dal cui verificarsi dipende l’integrazione dell’elemento oggettivo del reato, è di regola funzionale all’occultamento o alla dissimulazione di atti depauperativi del patrimonio sociale” (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 33575 del 08/04/2022, Rv. 283659).
Proprio l’atteggiarsi dell’elemento psicologico del reato nei termini evidenziati, consente di escludere, nel caso in esame, la configurabilità della bancarotta semplice, ex art. 217, comma secondo, legge fall., che può essere indifferentemente costituito dal dolo o dalla colpa, ravvisabili quando l’agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture contabili, non, dunque, per finalità distrattive e senza la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore (cfr. Sez. 5, n. 2900 del 02/10/2018, Rv. 274630).
9. Il quinto motivo, sul trattamento sanzionatorio, è da ritenersi assorbito nel primo, posto che il nuovo giudizio potrebbe condurre all’esclusione di una delle contestate condotte distrattive, con inevitabili conseguenze sulla determinazione dell’entità della pena, pur nella consapevolezza che il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale ha natura di reato a condotta eventualmente plurima, che può essere realizzato con uno o più atti, senza che la loro ripetizione, nell’ambito dello stesso fallimento, dia luogo ad una pluralità di reati in continuazione, non venendo meno il carattere unitario del reato quando le condotte previste dall’art. 216 legge fall. siano tra loro omogenee, perché lesive del medesimo bene giuridico, e temporalmente contigue (cfr. Sez. 5, n. 13382 del 03/11/2020, Rv. 281031)
La non completa soccombenza del COGNOME, implica che quest’ultimo non sia condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e la sentenza di primo grado in relazione a NOME COGNOME con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Gela,
Ufficio GUP. Annulla la sentenza impugnata in relazione a COGNOME
NOME COGNOME limitatamente alla distrazione della somma ricevuta dal Ministero dello Sviluppo Economico, con rinvio per nuovo giudizio sul
punto ad altra sezione della corte di appello di Caltanissetta. Rigetta nel resto il ricorso del COGNOME.
Così deciso in Roma il 26.3.2025.