Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 33838 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 33838 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOMENOME nato a Roma il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/02/2025 della Corte di appello di Roma letti gli atti, il ricorso e la sentenza impugnata; udita la relazione del AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udite le conclusioni del Pubblico ministero in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore, AVV_NOTAIO, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il difensore di NOME COGNOME ha proposto ricorso avverso la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza resa il 27 maggio 2024 dal locale Tribunale, che aveva dichiarato l’imputato responsabile del reato di cui all’art. 73 d.P.R. 309 del 90 – detenzione a fini di cessione di 126,50 grammi di cocaina, suddivisi in 224 involucri, e 20 grammi di crack, suddivisi in 50 involucri- e, riconosciute circostanze attenuanti
generiche equivalenti alla recidiva contestata, lo aveva condannato alla pena di 6 anni di reclusione e 27 mila euro di multa.
Ne chiede l’annullamento per i seguenti motivi:
1.1. nullità delle sentenze di primo e secondo grado per mancata concessione del termine a difesa richiesto ai sensi dell’art. 451, comma 6, cod. proc. pen. dopo l’instaurazione del giudizio direttissimo.
Si premette che all’esito della convalida dell’arresto, veniva instaurato il giudizio direttissimo e il difensore, munito di procura speciale, chiedeva l’ammissione al giudizio abbreviato condizionato all’esecuzione di una perizia sulla chiave rinvenuta dalla polizia giudiziaria, rigettata dal giudice, che disponeva di procedere nelle forme ordinarie, rigettando anche la richiesta di un termine a difesa, ritenuta incompatibile con l’opzione per il rito abbreviato.
Pur riconoscendo la sussistenza della nullità eccepita dalla difesa, qualificata come nullità relativa, la Corte di appello ha ritenuto l’eccezione tardiva. Si contesta detta soluzione, rimarcando la natura essenziale del termine a difesa per il pieno esercizio del diritto di difesa dell’imputato, segnalando che proprio i rigetto della richiesta di ammissione al rito abbreviato condizionato aveva determinato l’esigenza di fruire del tempo necessario a predisporre la difesa in sede dibattimentale con conseguente illegittimità dell’ordinanza di rigetto del primo giudice e di tutti gli atti successivi. Si contesta, altresì, la ritenuta tard dell’eccezione difensiva, attesa la peculiarità del caso concreto, che rende irragionevole l’applicazione dei limiti di deducibilità e della sanatoria previst dall’art. 182, comma 2, cod. proc. pen.; ancora, si contesta la asserita non rilevabilità d’ufficio della violazione di legge verificatasi nel caso di specie, att che ai sensi dell’art. 180 cod. proc. pen. le nullità a regime intermedio possono essere rilevate anche d’ufficio dal giudice procedente per evitare di compromettere la regolarità del processo, a prescindere dall’impulso di parte, sicché la Corte di appello avrebbe dovuto rilevare d’ufficio la violazione di legge. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.2. Vizi della motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità dell’imputato e inutilizzabilità parziale delle risposte fornite dai testi COGNOME a seguito delle domande vietate dalla legge perché suggestive, poste dal primo giudice.
Le sentenze di merito fondano l’affermazione di responsabilità sulle dichiarazioni degli operanti, che avrebbero visto l’imputato riporre nel vaso la chiave, poi rinvenuta, che consentiva l’accesso ad un vano tecnico posto al settimo piano dell’immobile, ove era custodito lo stupefacente sequestrato. A differenza di quanto ritenuto dai giudici di merito, le dichiarazioni dei testimoni smentiscono l’asserita assenza di incertezze ricostruttive, in quanto gli operanti hanno chiarito di non avere direttamente osservato l’imputato maneggiare la chiave e riconosciuto di essere stati condizionati dalla propria interpretazione dei
fatti e dei movimenti dell’imputato. Si riportano le dichiarazioni rese dai testimoni e si eccepisce l’inutilizzabilità delle risposte rese a seguito delle reiterate insistite domande del giudice, tendenti a suggerire le risposte in violazione dell’art. 499, comma 3, cod. proc. pen.; violazione, questa, che, pur non comportando l’inutilizzabilità della prova, incide sulla attendibilità del teste e sul motivazione che ne recepisce le dichiarazioni. Si deduce il travisamento della prova, avendo i giudici posto a fondamento della affermazione di responsabilità dell’imputato circostanze di fatto smentite o difformi da quelle riferite dai testimoni.
Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito illustrate.
Del tutto infondato è il primo motivo.
2.1. Dalla sentenza di primo grado risulta che dopo l’udienza di convalida dell’arresto e l’applicazione di misura custodiale, si procedeva al giudizio e, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, l’imputato rilasciava procura speciale al difensore che chiedeva il giudizio abbreviato condizionato all’espletamento di perizia sulla chiave, rinvenuta dalla p.g., che apriva il vano ove erano occultate le sostanze stupefacenti. Dopo il rigetto dell’istanza, la difesa chiedeva di procedere nelle forme del rito ordinario e, dopo l’ammissione delle prove, il processo veniva rinviato al 4 aprile 2024 (così testualmente la sentenza di primo grado). In tale udienza fu acquisita la consulenza tecnica di parte (tesa a
dimostrare l’incompatibilità dello stato dei luoghi con l’osservazione del COGNOME mentre riponeva la chiave nel vaso, riferita dagli operanti) e fu disposta, su richiesta della difesa, l’escussione dell’operante COGNOME, cui il P.m. aveva rinunciato.
Nell’atto di appello la difesa deduceva la violazione dell’art. 451, comma 6, cod. proc. pen. per avere il giudice omesso di avvisare l’imputato della facoltà di chiedere un termine a difesa e, soprattutto, per aver immotivatamente rigettato la richiesta di un termine a difesa, formulata dopo il rigetto del rito abbreviato condizionato, ritenendola tardiva. Dall’esame degli atti risulta che il giudice aveva respinto la richiesta di termine a difesa ritenendola incompatibile con l’opzione per il rito abbreviato, chiaramente indicativa della non necessità di un termine per preparare la difesa.
La Corte di appello ha ritenuto tardiva l’eccezione, in quanto, benché fondata, non era stata eccepita tempestivamente in udienza dopo il diniego del termine a difesa con conseguente decadenza, trattandosi di una nullità a regime intermedio soggetta ai termini di deducibilità di cui all’art. 182, comma 2, cod. proc. pen.
2.2. La valutazione è corretta.
La nullità invocata dal ricorrente è una nullità AVV_NOTAIO a regime intermedio, che attiene all’assistenza dell’imputato e non all’assenza del difensore e deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine di cui all’art. 182, comma 2, cod. proc. pen., dal difensore presente e, quindi, al più tardi, immediatamente dopo il compimento dell’atto che nega il termine o lo concede in misura che si sostiene incongrua (Sez. 1, n. 16487 del 23/01/2025 COGNOME, Rv. 288020; Sez. 1, n. 13401 del 5/2/2020, Garrach, Rv. 278823), mentre, nel caso di specie, è pacifico che il difensore nulla eccepì nell’immediatezza, deducendo la nullità solo nel corso della discussione del giudizio di primo grado e poi con apposito motivo di appello (così a pag. 2 del ricorso). Il principio trova, inoltre, conferma nell previsione dell’art. 183 cod. proc. pen., secondo il quale “salvo che sia diversamente stabilito, le nullità sono sanate: a) “se la parte interessata rinuncia espressamente ad eccepirle o accetta gli effetti dell’atto”; b) “si è avvalsa delle facoltà al cui esercizio l’atto omesso o nullo è preordinato”, sicché è l’interesse a segnare il limite di deducibilità per la parte e, nel caso di specie, la parte h dimostrato di non contestare il rigetto né di lamentare una lesione del diritto di difesa, stante l’ammissione delle prove richieste, l’acquisizione della consulenza di parte sullo stato dei luoghi e l’assunzione, su richiesta della difesa, del teste cui P.COGNOME. aveva rinunciato, che in concreto escludono illegittime compressioni del diritto di difesa.
Inammissibile è anche il secondo motivo, che riconduce ad una violazione di legge quella che in realtà è una contestazione della ricostruzione del fatto, fondata su una lettura alternativa e parziale delle dichiarazioni degli operanti, che, aldilà delle imprecisioni descrittive dovute alla posizione in cui si trovavano (sulle scale tra il sesto e il settimo piano) ed agli spostamenti frequenti per evitare di essere visti, concordemente hanno affermato di aver visto il ricorrente “accovacciarsi, chinarsi, protrarsi” verso il vaso posto a sinistra dell’ascensore e collocarvi una chiave, poi recuperata, che apriva il vano dell’ascensore (collocato proprio tra il sesto e settimo piano) ove erano custodite le sostanze stupefacenti.
Come ritenuto dai giudici di merito, ciò che è risolutivo è che proprio in quel vaso fu rinvenuta la chiave di accesso al luogo di custodia dello stupefacente.
Manifestamente infondata è l’eccepita violazione dell’art. 499 codice di rito alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale, in tema di esame testimoniale, la violazione del divieto di porre domande suggestive non comporta né l’inutilizzabilità né la nullità della prova raccolta, non essendo una tale sanzione prevista dall’art. 499 cod. proc. pen., né potendo essere desunta GLYPH dal GLYPH disposto GLYPH dell’art. GLYPH 178 cod. proc. pen. GLYPH (Sez. 3, GLYPH n. 39482 del 02/07/2024, T., Rv. 287016).
Il ricorrente, consapevole di tale orientamento, sostiene l’inattendibilità delle dichiarazioni rese dagli operanti e l’inaffidabilità del risultato probatori trascurando di considerare sia che, in mancanza di una sanzione processuale, la violazione del divieto di porre domande suggestive rileva soltanto sul piano della valutazione della genuinità della prova, che può risultare compromessa esclusivamente se inficia l’intera dichiarazione e non semplicemente la singola risposta fornita, ben potendo il giudizio di piena attendibilità del teste essere fondato, come nel caso di specie, sulle risposte alle altre domande (Sez. 3, n. 42568 del 25/06/2019, B., Rv. 277988), sia che il Presidente del collegio ha il potere di intervenire nell’esame testimoniale, ai sensi dell’art. 499, comma 6, cod. proc. pen., al fine di assicurare la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte e la lealtà dell’esame medesimo, sicché non si configura alcuna violazione del diritto di difesa ove lo stesso chieda precisazioni al teste, ovvero circoscriva la formulazione delle domande ai temi di rilievo ed effettivo interesse in relazione ai fatti oggetto della contestazione. (Sez. 6, n. 6231 del 15/01/2020, P., Rv. 278343; conf. Sez. 1, n. 1344 del 15/12/1994, COGNOME e altri, Rv. 200241).
In ogni caso, va evidenziato che la difesa trascura la completa ricostruzione dei fatti, descritta nella sentenza di primo grado- pag. 8-, e l’esito del servizio osservazione svolto sin dal mattino presso l’immobile dagli operanti, che avevano verificato la contestuale presenza di un soggetto, intento ad effettuare varie cessioni, e del ricorrente, che con lo stesso interloquiva e si spostava di continuo,
allontanandosi subito dopo l’intervento degli operanti – che recuperavano una bustina contenente 26 involucri di cocaina e crack, identici per forma, peso e modalità di confezionamento a quelli rinvenuti e sequestrati al ricorrente- per poi farvi ritorno dopo appena mezzora prima di risalire al sesto piano e recuperare altre dosi nascoste nella tromba dell’ascensore tra il sesto e settimo piano.
La coordinata lettura dell’intero compendio probatorio esposto in sentenza giustifica ampiamente l’affermazione di responsabilità del ricorrente, specie in ragione del comportamento tenuto dal COGNOME, gravato da precedenti e ritornato nello stesso luogo, incurante della presenza degli operanti cui era sfuggito il pusher, nonché della inverosimiglianza della versione resa per giustificare la presenza in quello stabile (pag. 5 e 6 sentenza impugnata).
Parimenti inammissibile è il terzo motivo, già respinto in sentenza con motivazione congrua e corretta, che evidenzia sia la incompatibilità della perizia richiesta con le finalità di economia processuale del rito prescelto, sia la non decisività della prova alla luce delle dichiarazioni rese dagli operanti in udienza di convalida.
La valutazione è corretta ed in linea con il principio secondo il quale in tema di giudizio abbreviato condizionato, il giudice di appello deve valutare la legittimità del rigetto della richiesta presentata in primo grado dall’imputato, verificando, alla luce della prospettazione operata dal richiedente, la ricorrenza dei requisiti di novità e decisività della prova richiesta, secondo una valutazione “ex ante”, in considerazione della situazione esistente al momento della valutazione negativa, provvedendo ad applicare la diminuente prevista per il rito solo se tale rigetto non risulti fondato (Sez. 4, n. 3624 del 14/01/2016, Aoid, Rv. 265801).
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, equitativamente determinata in tremila euro.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, 18 settembre 2025
DEPOSITATO IN CANCELLERIA