Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 33804 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 33804 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato Albania.il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del Giudice di Pace di Arezzo del 3.1.2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, il Giudice di Pace di Arezzo ha condannato RAGIONE_SOCIALE alla pena di 7.000 euro di ammenda per il reato di cui all’art. 10 – bis D.Lgs. n. 286 del 1998 per aver fatto ingresso ed essersi trattenuto nel territorio italiano in violazione della disciplina in materia immigrazione.
Avverso la predetta sentenza, il difensore dell’imputato ha proposto ricorso, articolando quattro motivi.
2.1 Con un primo motivo, deduce erronea applicazione dell’art. 20 D.Lgs. n. 274 del 2000.
Il difensore lamenta che non vi sia prova della tempestiva notifica all’imputato del decreto di citazione a giudizio: notifica che, peraltro, il Giudice Pace all’udienza dell’8.3.2023 aveva tratto solo dalla circostanza che, con pec del 6.3.2023, lo stesso difensore di fiducia dell’imputato aveva trasmesso la sua nomina, cui era allegata la copia del decreto di citazione. Tuttavia, il Giudice d Pace aggiungeva che, mancando il riscontro documentale della notifica, la data in cui l’imputato l’aveva ricevuta doveva essere fatta coincidere con la data della nomina del difensore, risalente al 23.2.2023, e aveva ulteriormente specificato, che pur non essendoci i trenta giorni liberi tra la notifica e la celebrazion dell’udienza, il difensore tuttavia non lo aveva eccepito.
Ma – si sostiene nel ricorso – il giudice, in difetto della relata, avreb dovuto disporre la nuova notifica del decreto di citazione all’imputato, con la conseguenza che la mancata rinnovazione della notifica ha determinato una nullità assoluta e insanabile della citazione a giudizio.
2.2. Con un secondo motivo, si deduce la violazione degli artt. 62-bis, 163, 133 e 163 cod. pen., nonché dell’art. 445 cod. proc. pen., con la conseguente errata o illogica motivazione della determinazione della pena.
In particolare, il Giudice di Pace ha giustificato il diniego delle attenuan generiche e la quantificazione della pena in misura superiore al minimo edittale, richiamando il disinteresse dell’imputato rispetto alla propria condizione di illegalità e i suoi precedenti penali e amministrativi.
In realtà – lamenta il ricorso – si tratta di un solo precedente relativo a un sentenza di patteggiamento per il reato di tentato furto, dichiarato estinto nei termini di cui all’art. 445 cod. proc. pen. con provvedimento precedente alla condanna del Giudice di Pace di Arezzo.
2.3 Con un terzo motivo, si deduce l’erronea applicazione degli artt. 10-bis D.Lgs. n. 286 del 1998 e 34 D.Lgs. n. 274 del 2000 per non avere il Giudice di Pace riconosciuto la particolare tenuità del fatto.
Il giudice ha errato a non riconoscere la particolare tenuità del fatto, trattandosi di fatto di scarsa offensività, solo che si consideri che, in occasione dell’accertamento del reato, l’imputato ha esibito il passaporto ai Carabinieri nel corso di un normale controllo su strada, così consentendo la sua identificazione.
2.4 Con un quarto motivo, si deduce, ai sensi dell’art. 6061 lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 143 cod. proc. pen. e la manifesta illogicit della motivazione.
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Si censura, in particolare, che gli atti non siano stati tradotti all’imputa straniero, benché il Giudice di Pace nulla dica circa la conoscenza della l italiana da parte di COGNOME. A tal proposito, si deve ritenere non sufficiente che i Carabinieri abbiano attestato, con formula di stile in sede di identificazione, che “il nominato in oggetto comprende la lingua italiana”.
Con requisitoria scritta del 24.4.2024, il AVV_NOTAIO Procuratore generale ha chiesto che il ricorso fosse dichiarato inammissibile, evidenziando, in primo luogo, che l’effettività della notifica del decreto di citazione è stata correttament argomentata dal Giudice di Pace e comunque che era comprovata la conoscenza del processo da parte dell’imputato, e, in secondo luogo, che la motivazione sul diniego delle attenuanti generiche sia congrua.
In data 19.5.2024, il difensore dell’imputato ha trasmesso note di trattazione scritta, riportandosi ai motivi di ricorso e insistendo p l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto nell’interesse di RAGIONE_SOCIALE è da considerarsi infondato per le ragioni di seguito esposte.
Quanto al primo motivo, la sentenza impugnata dà atto effettivamente in motivazione di ciò che riporta il ricorso sul profilo relativo all’intempestività de notifica del decreto di citazione.
In particolare, il Giudice di Pace, premettendo che non fosse pervenuto riscontro circa la notifica introduttiva nei confronti dell’imputato, ha attestato c il buon fine della notifica si potesse ricavare comunque dalla allegazione di copia del decreto di citazione alla nomina fiduciaria e che, sebbene non potesse considerarsi intercorso il termine di trenta giorni tra l’adempimento in questione e la data dell’udienza, il difensore presente tuttavia nulla aveva eccepito al riguardo.
Dal verbale dell’udienza dell’8.3.2023, risulta più precisamente che il Giudice di Pace avesse dato atto in quella occasione che “la notifica disposta alla precedente udienza è andata a buon fine avendo l’imputato nominato un difensore di fiducia e quindi è a conoscenza del processo”.
Ora, l’inosservanza del termine per comparire determina una nullità della citazione relativa all’intervento dell’imputato ai sensi dell’art. 178, lett. c),
proc. pen.; si tratta, quindi, di nullità a regime intermedio da dedurre prima della deliberazione della sentenza di primo grado ex art. 180 cod. proc. pen.
E’ stato affermato, in particolare, che, in tema di citazione a giudizio dinanzi al giudice di pace, il mancato rispetto del termine di comparizione di trenta giorni è causa di nullità a regime intermedio dell’atto, sanabile ove la parte interessata compaia o rinunci espressamente a comparire. (Sez. 5, n. 43443 del 28/10/2008, Rv. 241691 – 01).
Ma, in generale, la violazione del termine a comparire comporta una nullità di ordine generale a regime intermedio, che è sanata ai sensi dell’art. 184 cod. proc. pen. se la parte interessata è comparsa e non l’ha fatta rilevare (cfr. Sez. 5, n. 16732 del 31/1/2018, Rv. 272865 – 01).
A tal proposito, va solo ricordato che per “parte” sulla quale grava l’onere di eccepire una qualsiasi nullità deve intendersi il difensore (o il pubblico ministero), e non l’indagato o imputato di persona (Sez. U, n. 5395 del 29.1.2015, COGNOME).
Dalla consultazione degli atti, consentita in ragione della natura dell’eccezione, risulta che il difensore di COGNOME, presente all’udienza in cui rilevata la intempestività della notifica, non eccepì la nullità della citazione, la conseguenza che la violazione non può essere più fatta valere in sede di legittimità.
Quanto al secondo motivo, la sentenza impugnata richiama, oltre a quanto già riportato nel ricorso, anche il fatto che i Carabinieri avessero dato atto che in banca dati figuravano a carico dell’imputato “precedenti penali nonché due allontanamenti per rimpatrio eseguiti nel 2014”.
Si tratta complessivamente di una motivazione senza dubbio esauriente innanzitutto sotto il profilo della determinazione del trattamento sanzionatorio, ove si consideri, in particolare, che la pena concretamente irrogata dal Giudice di Pace è più prossima al minimo che al massimo edittale: da questo punto di vista, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione del giudice nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale (Sez. 3, n. 29968 del 22/2/2019, Rv. 276288 – 01).
Ma la medesima motivazione serve a supportare adeguatamente anche il diniego delle circostanze attenuanti generiche, in quanto, ai fini della determinazione della pena, il giudice può tenere conto più volte del medesimo dato di fatto sotto differenti profili e per distinti fini senza che ciò comp lesione del principio del “ne bis in idem”: di conseguenza, è immune da vizi la motivazione che faccia riferimento ai medesimi elementi sfavorevoli in ordine alla capacità a delinquere dell’imputato per determinare la pena in misura superiore
al minimo e per negare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (Sez. 3, n. 17054 del 13/12/2018, dep. 2019, Rv. 275904 – 03).
Peraltro, deve rilevarsi, con specifico riguardo alla doglianza difensiva relativa alla estinzione del precedente reato ex art. 445 cod. proc. pen., che dal certificato del casellario giudiziale presente nel fascicolo del Giudice di Pace di Arezzo risultava ancora la condanna per tentato furto (della cui estinzione, del resto, il difensore non ha fornito dimostrazione); in ogni caso, la estinzione del reato per cui l’imputato ha riportato una precedente condanna non impedisce di valutare la relativa sentenza ai fini del diniego delle attenuanti generiche e del compiuto della pena.
Su questo aspetto, è stato già affermato in sede di legittimità che, ai fini del diniego delle circostanze attenuanti generiche, la sentenza di applicazione della pena, in quanto equiparata a sentenza di condanna, è valutabile anche nell’ipotesi in cui sia già intervenuta, ai sensi dell’art. 445, secondo comma, cod. proc. pen., l’estinzione del reato cui essa si riferisce (Sez. 3, n. 23952 del 30/4/2015, Rv. 263850 – 01). E che tra gli effetti penali che si estinguono, ai sensi dell’art. 445, comma 2, cod. proc. pen., non rientrano le valutazioni ai fini della pericolosità sociale (Sez. 3, n. 43095 del 12/10/2021, Rv. 282377 – 01).
Quanto al terzo motivo, dalla sentenza impugnata non risulta che in sede di conclusioni del processo di primo grado fosse stata formulata una specifica richiesta difensiva di declaratoria, ex art. 34 D.Lgs. n. 74 del 2000, della particolare tenuità del fatto.
Di conseguenza, correttamente il Giudice di Pace non ha affrontato la relativa questione, in quanto, nel procedimento davanti al giudice di pace, la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto non può essere dichiarata d’ufficio dal giudice, in assenza di deduzione specifica della difesa, richiedendosi ai fini del “decisum” di improcedibilità la mancata opposizione dell’imputato e della persona offesa e, pertanto, una partecipazione non compatibile con la pronuncia officiosa. Ne deriva che la doglianza relativa all’improcedibilità per particolare tenuità del fatto non è proponibile per la prima volta in sede di legittimità (Sez. 1, n. 49171 del 28/9/2016, Rv. 268458 – 01).
Quanto, infine, al quarto motivo, risulta nel verbale di identificazione (presente nel fascicolo) che sia stato lo stesso imputato a dichiarare alla polizia giudiziaria procedente di comprendere, leggere e parlare la lingua italiana.
E’ principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui, in tema di traduzione degli atti, l’accertamento relativo alla conoscenza da parte dell’imputato della lingua italiana può essere effettuato anche sulla base degli
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elementi risultanti dagli atti di polizia giudiziaria ed in assenza di dati ogget indicativi della mancata conoscenza (Sez. 3, n. 9354 del 15/1/2021, Rv. 281479 – 01).
Si tratta, infatti, di accertamento che non deve necessariamente essere compiuto personalmente dall’autorità giudiziaria, rimanendo comunque salva la facoltà per il giudice di compiere ulteriori verifiche ove gli elementi risulta dagli atti di polizia giudiziaria non siano concludenti (Sez. 5, n. 52245 de 09/10/2014, Rv. 262101 – 01).
Ma, nel caso di specie, non si ha evidenza di elementi oggettivi che contrastino con l’accertamento della polizia giudiziaria relativo alla conoscenza della lingua italiana da parte dell’imputato.
Consegue, a quanto fin qui considerato, il rigetto del ricorso proposto nell’interesse di RAGIONE_SOCIALE, che, pertanto, deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 24.5.2024