Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 14558 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 14558 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME Gabriele nato a Cosenza il 12/11/1964 avverso la sentenza del 20/05/2024 della Corte d’appello di Catanzaro; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso; lette le conclusioni del difensore della parte civile, avv. NOME COGNOME che h chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi il ricorso; lette le conclusioni del difensore dell’imputato, avv. NOME COGNOME che ha insistito nel chiesto annullamento della sentenza impugnata, con o senza rinvio.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Catanzaro ha riformato la sentenza del Tribunale di Cosenza del 29/3/2017, rideterminando la pena irrogata a COGNOME NOME in euro 600,00 di multa, confermandone la responsabilità penale per il reato di diffamazione a mezzo di un blog su Internet, commesso il 4/10/2015 ai danni di COGNOME NOME
Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato.
2.1. Col primo motivo lamenta la violazione di legge, in particolare l’illegittimità della declaratoria di sua assenza nel giudizio di primo grado.
Il ricorrente sostiene di non aver ricevuto la rituale notifica del decreto di citazione a giudizio e che la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini ex art. 415-bis cod. proc. pen. non sarebbe sufficiente – contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza d’appello – a sanare tale nullità e a far presumere la conoscenza del processo. Il giudice si sarebbe dovuto attenere alle disposizioni di cui all’art. 420-quater cod. proc. pen., garantendo l’effettiva conoscenza del procedimento da parte dell’imputato.
2.2. Col secondo motivo parte ricorrente lamenta la carenza di motivazione.
In particolare, il ricorrente contesta che il giudice di primo grado si sia lasciato andare a considerazioni politiche e personali che esulavano dal contesto del reato, usando espressioni che, pur non inficiando di nullità la sentenza, erano sintomatiche della sua volontà di pervenire ad una condanna ingiustificata e a non riconoscere l’esercizio del diritto di critica e cronaca giornalistica.
Su tale censura la Corte d’appello aveva omesso del tutto qualsivoglia motivazione.
Così come si insiste nella richiesta di cancellazione di una grave affermazione contenuta nella sentenza di primo grado, come chiesto con atto di appello su cui nulla aveva statuito la Corte territoriale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è fondato nei termini di seguito precisati.
Al riguardo, la sentenza d’appello ha ritenuto che il difetto di prova di rituale notifica del decreto che dispone il giudizio dinanzi al Tribunale non comportasse alcuna conseguenza, per le seguenti ragioni: “il difetto di notifica del decreto che dispone il giudizio è stato correttamente superato dal primo giudice COGNOME che ha rigettato la relativa eccezione evidenziando come l’imputato, già dichiarato assente all’udienza preliminare, fosse a conoscenza della pendenza del processo per avere ricevuto a mani proprie, in data 18.12.2015, l’avviso ex art. 415-bis c.p.p. Infine, la mancata comparizione dell’imputato per rendere esame costituisce una rinuncia implicita all’incombente istruttorio”.
Orbene, a parte l’incomprensibile riferimento alla rinuncia implicita dell’imputato ad essere esaminato (non essendo dato sapere se la Corte d’appello intendesse, con questo, sostenere che lo stesso fosse a conoscenza della pendenza del processo), è palese l’errore di diritto in cui è incorso il giudice d’appello.
Invero, non si comprende come la declaratoria di assenza in sede di udienza preliminare e la ricezione a mani proprie dell’avviso ex art. 415-bis cod. proc. pen. – atti anteriori alla citazione innanzi al Tribunale per il dibattimento, contenente l’esatta formulazione dell’accusa della quale l’imputato era chiamato a rispondere – possano dare contezza, per l’appunto, del buon fine di quanto ancora non verificatosi.
Tanto che, come chiarito da questa Corte, in tema di rescissione del giudicato, l’incolpevole mancata conoscenza del processo non è di certo esclusa dalla notifica all’imputato dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, dovendo tale conoscenza essere riferita all’accusa contenuta in un provvedimento formale di “vocatio in iudicium” (Sez. 6, n. 43140 del 19/09/2019, Rv. 27721001; in senso analogo, tra le tante, Sez. 2, n. 30696 del 11/07/2024, non massimata, che ha ritenuto errata la decisione secondo cui l’avvenuta elezione di domicilio nel corso delle indagini avesse valore di elemento dimostrativo della conoscenza del processo, «omettendo di verificare se fosse stata raggiunta la prova della effettiva conoscenza dell’atto di citazione a giudizio da parte dell’imputato»).
Né, al riguardo, può essere valorizzato quanto evidenziato dalla difesa di parte civile nelle sue note difensive inviate a questa Corte. In esse si richiama la decisione del Tribunale di Cosenza all’udienza del 29/06/2016, nella quale l’eccezione era stata rigettata sia perché la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini era avvenuta a mani proprie dell’imputato, sia perché il decreto di citazione era stato indirizzato alla residenza dell’imputato e al domicilio dallo stesso dichiarato ed il plico, depositato presso l’ufficio postale, non era stato ritirato, con conseguente perfezionamento della notifica per compiuta giacenza. Tale circostanza, a dire della parte civile, in quanto richiamata dalla Corte d’appello e non contrastata dal ricorrente, determinerebbe l’inammissibilità del ricorso sul punto.
La tesi appena evidenziata è completamente destituita di fondamento.
Ribadita l’irrilevanza della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini, al fine della sanatoria della mancata rituale notifica del decreto di citazione in giudizio, va chiarito, anzitutto, che nessuna preclusione processuale si è determinata, dal momento che la difesa del ricorrente ha sostenuto la radicale “mancanza di notifica del decreto di citazione a giudizio” (pagina 2 del ricorso), eccezione già proposta sin dall’udienza dinanzi al Tribunale del 29/6/2016 (in cui è stata dichiarata l’assenza dell’imputato) e poi formulata anche con l’atto d’appello.
In secondo luogo, al di là di quanto dedotto dal Tribunale – il cui operato è,
per l’appunto, qui da vagliare e che, peraltro, parla, all’udienza del 29/6/2016, di omesso ritiro dell’atto presso l’ufficio postale, senza chiarire da dove abbia tratto tale dato, che non emerge in alcun modo – dall’esame officioso del fascicolo, consentito a questa Corte in ragione del vizio di procedura lamentato, si desume che in atti vi sia esclusivamente la relata con cui l’ufficiale giudiziario afferma aver eseguito la notifica del decreto di citazione a giudizio avvalendosi del servizio postale: senza alcun avviso di ricevimento che attesti se e dove l’atto sia effettivamente pervenuto.
Per vero, v’è in atti una copia dell’esito della spedizione estratto dal sito Internet di Poste Italiane, che, evidentemente, non dà alcuna certezza e non ha alcun valore certificatorio ed è, dunque, tamquam non esset (si vedano, in tal senso, tra le tante, Sez. 3, Sentenza n. 1236 del 18/11/2024, dep. 2025, e Sez. 4, Sentenza n. 42252 del 22/9/2022, non massimate).
Peraltro, anche a voler prendere per buono tale ultimo documento, da esso non si evince altro se non la giacenza del plico presso l’ufficio postale: senza che si sappia la ragione di ciò (ad esempio, se il destinatario sia stato rinvenuto e non abbia accettato la notifica, oppure se non sia stato rinvenuto e perché), e neppure se sia stata disposta, e che esito abbia avuto, la successiva spedizione della raccomandata di comunicazione di avvenuto deposito dell’atto presso l’ufficio postale e se siano stati effettuati tutti gli altri adempimenti connessi all’omessa ricezione dell’atto.
E basterebbe, invero, anche solo l’omessa allegazione dell’avviso postale relativo alla comunicazione di avvenuto deposito per comportare la nullità della notifica.
Infatti, in tema di notificazioni a mezzo posta, nel caso in cui l’atto notificando non sia consegnato al destinatario per il suo rifiuto a riceverlo ovvero per la sua temporanea assenza o per l’assenza o l’inidoneità di altre persone legittimate a riceverlo, non è sufficiente, per provare il perfezionamento della procedura notificatoria, la spedizione della raccomandata con la comunicazione dell’avvenuto deposito dell’atto presso l’ufficio postale, ma è necessario che l’organo notificante dia dimostrazione dell’avvenuta ricezione dell’atto da parte del destinatario, garantendo solo tale adempimento la sua effettiva conoscenza dell’atto processuale e l’esercizio dei diritti di difesa (Sez. 4, n. 4359 d 09/01/2024, Rv. 285752; Sez. 5, n. 21492 del 08/03/2022, Rv. 283429; Sez. 3, n. 36330 del 30/06/2021, Rv. 281947; Sez. 2, n. 24807 del 04/04/2019, Rv. 276968; Sez. 2, n. 13900 del 05/02/2016, Rv. 266718)» (Sez. 5, Sentenza n. 19968 del 19/3/2024, non massimata).
Ad ogni modo, come detto, nella specie non manca solo l’avviso di
ricevimento relativo alla comunicazione di avvenuto deposito, ma radicalmente l’avviso relativo al tentativo di notifica dell’atto: di cui, come detto, non si sa nul
Ed è pacifico che, in tema di notificazioni a mezzo posta, ai fini del perfezionamento della procedura notificatoria dell’atto rifiutato dal destinatario ovvero non consegnato per la sua temporanea assenza o per l’assenza o l’inidoneità di altre persone legittimate a riceverlo, non è sufficiente la sol spedizione della raccomandata con ricevuta di ritorno contenente la comunicazione dell’avvenuto deposito dell’atto presso l’ufficio postale, ma è necessario che l’operatore postale attesti, nella ricevuta della raccomandata, il compimento di tutti gli incombenti, quali l’affissione alla porta dell’abitazione o l’immissione nel cassetta della corrispondenza dell’avviso di deposito del piego raccomandato presso l’ufficio postale (Sez. 5, n. 14033 del 05/12/2022, dep. 2023, Rv. 28437701).
Dunque, la mancanza del primo avviso, senza che si sia data contezza dei detti adempimenti, rende evidentemente nullo il procedimento notificatorio.
Insomma, nella specie lo stesso si è arrestato alla mera attestazione, da parte dell’ufficiale giudiziario, della spedizione della raccomandata contenente il decreto di citazione: il che è palesemente insufficiente a provare che l’imputato sia stato ritualmente citato innanzi al giudice penale in primo grado.
Tanto non ha nulla a che fare col volontario mancato ritiro dell’atto, evocato dal Tribunale, che sarebbe stato rilevante, evidentemente, solo una volta che il procedimento fosse stato portato correttamente a termine: posto che, per quanto detto, manca, nella specie, l’avviso di ricevimento postale da cui potersi desumere l’esito del tentativo di notifica, che l’atto sia stato effettivamente depositato press l’ufficio postale, che di tanto sia stato dato avviso al destinatario, che sia avvenuto il compimento di tutti gli incombenti previsti dalla legge (quali l’affissione alla por dell’abitazione o l’immissione nella cassetta della corrispondenza dell’avviso di deposito del piego raccomandato presso l’ufficio postale) e, solo alla fine, che lo stesso non sia stato ritirato nel termine di legge dal destinatario.
Ed ancora, va d’ufficio rilevato che, sempre il Tribunale, all’udienza del 29/3/2017, ha ritenuto tardiva l’eccezione circa l’omessa rituale notifica del decreto di citazione, in quella udienza riproposta, in quanto relativa a una nullità ex art. 181, comma 3, cod. proc. pen. e, dunque, da proporsi, in applicazione dell’art. 491, comma 1, cod. proc. pen., subito dopo l’accertamento per la prima volta della rituale costituzione delle parti.
Trattasi, nuovamente, di affermazione priva di fondamento.
A parte il fatto che l’eccezione, come detto, fu proposta tempestivamente alla prima udienza dalla difesa dell’imputato, è comunque noto che, in tema di
notificazione del decreto di citazione a giudizio, qualora non sussista in atti l’avviso di ricevimento della raccomandata spedita dall’ufficiale giudiziario, si è in presenza di una irrituale notifica, la quale, sempre che non appaia in astratto o risulti i concreto inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte del destinatario, determina una nullità di ordine generale a regime intermedio, ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.: eccezione che, solo se non ritualmente dedotta in primo grado, risulta sanata, laddove sussiste in concreto la prova della conoscenza del processo da parte dell’imputato (così Sez. 2, n. 5479 del 08/01/2020, Rv. 278240-01).
Dunque, la menzionata preclusione processuale non ha ragion d’essere.
In definitiva, va rilevata la nullità del decreto di citazione a giudizio innanz al Tribunale e, per conseguenza, delle sentenze di primo e secondo grado.
Deve, altresì, prendersi atto che, nelle more, il reato contestato è estinto per intervenuta prescrizione.
In atti v’è dichiarazione, depositata dinanzi alla Corte d’appello all’udienza in data 11/10/2023, a nome dell’imputato, di rinuncia alla prescrizione, autenticata dal difensore d’ufficio.
Tuttavia, reputa il collegio che la stessa non sia valida.
È pacifico che la rinuncia alla prescrizione sia un atto personalissimo riservato all’imputato, non rientrante, pertanto, nel novero degli atti processuali che possono essere compiuti dal difensore a norma dell’art. 99 cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 21666 del 14/12/2012, dep. 2013, Rv. 256076-01). Tale atto dispositivo, dunque, deve essere accompagnato da rigide formalità, tanto che è stata più volte evidenziata l’inefficacia di una siffatta rinuncia se proveniente dal difensore privo di procura speciale alla presenza dell’imputato che resti silente (Sez. 6, n. 12380 del 21/09/2004, dep. 2005, Rv. 231030-01; Sez. 2, n. 23412 del 09/06/2005, Rv. 231879-01; Sez. 5, Sentenza n. 8213 del 4/12/2017, dep. 2018, non massimata) e che persino la richiesta di applicazione di pena concordata non implichi rinuncia alla prescrizione maturata (Sez. U, Sentenza n. 18953 del 25/02/2016, Rv. 266333-01; così pure Sez. 5, n. 26425 del 30/04/2019, Rv. 276517-01, che, però, limita il rilievo della prescrizione alla fase in cui l’accordo è sottoposto al giudice
A fronte di tale quadro, il problema che la presente vicenda pone è se possa essere considerata valida la rinuncia scritta, autenticata dal difensore d’ufficio, depositata da tale difensore che sia privo di procura speciale all’uopo, in relazione ad un imputato non presente al relativo deposito e, anzi, mai presente in giudizio sino a quel momento, anche in ragione dell’invalidità della notifica del decreto di citazione a giudizio di primo grado, come detto.
Il collegio ritiene che alla domanda vada data risposta negativa.
È evidente che la ratio della rigidità richiesta dalla giurisprudenza, in tema di rinuncia alla prescrizione, sia, da un lato, quella di rimarcare l’importanza di tale atto, di cui l’ordinamento vuole che l’imputato sia reso pienamente edotto e, dall’altro lato, che esso sia correttamente portato a conoscenza di chi giudica, che deve essere altrettanto certo che l’imputato effettivamente intenda rinunciare alla maturata prescrizione: tanto che, come detto, viene considerata inefficace persino la rinuncia alla prescrizione effettuata dal difensore di fiducia, in presenza dell’imputato, ove pure questi nulla deduca in senso contrario.
Orbene, se, dunque, non è valida la manifestazione di volontà dell’imputato che sia portata a conoscenza del giudice oralmente, da parte del difensore di fiducia, non munito di procura speciale all’uopo, ma alla presenza dell’interessato, che nulla in contrario manifesti, vieppiù si reputa che non possa considerarsi rispettosa delle rigide formalità anzidette (al fine di garantire il corretto soprattutto, consapevole formarsi ed esplicarsi del volere dell’interessato) la rinuncia che sia portata a conoscenza del giudice da parte del difensore che ciò faccia non solo sfornito di qualsivoglia procura (essendo, appunto, difensore d’ufficio), ma in assenza dell’interessato, seppure con atto scritto da lui autenticato, ma formatosi al di fuori del processo.
Ed allora deve prendersi atto del maturarsi del termine di prescrizione estintivo del delitto in esame.
Quanto precede, in definitiva, comporta l’annullamento della sentenza impugnata e della sentenza di primo grado senza rinvio perché, da un lato, come detto, il giudizio di primo grado risulta inficiato dall’omessa rituale notifica d decreto di citazione innanzi al Tribunale, con conseguente nullità della stessa e degli atti conseguenti da essa dipendenti (ex art. 185, commi 1 e 3, cod. proc. pen.), mentre, dall’altro lato, il reato risulta oramai certamente estinto per intervenuta prescrizione.
E comporta, infine, la revoca le statuizioni civili.
Invero, come si desume chiaramente dall’art. 578, comma 1, cod. proc. pen., solo in caso di condanna penale emessa in primo grado (ovvero, ora per allora, in appello, laddove si rilevi l’erronea declaratoria di prescrizione prima della sentenza di primo grado: così Sez. U, Sentenza n. 28911 del 28/03/2019, COGNOME, Rv. 275953-01, in motivazione e Sez. U, Sentenza n. 36208 del 28/03/2024, Calpitano, Rv. 286880-01, in motivazione) è possibile un accertamento ai fini della responsabilità civile.
E, per converso, «il giudice di appello che, nel pronunciare declaratoria di estinzione del reato per prescrizione del reato, pervenga alla conclusione – sia sulla base della semplice “constatazione” di un errore nel quale il giudice di prime cure
sia incorso, sia per effetto di “valutazioni” difformi – che la causa estintiva maturata prima della sentenza di primo grado, deve revocare le statuizioni civili in
essa contenute» (Sez. U, n. 39614 del 28/04/2022, COGNOME, Rv. 283670-01).
In estrema sintesi, solo ove il reato si estingua dopo la sentenza di primo grado è possibile emettere condanna ai fini civili: il che nella specie non è.
Ed allora, conformemente a quanto di recente deciso in un caso analogo, il giudice dell’impugnazione che dichiari la nullità della sentenza di primo grado (in
quel caso per incompetenza) deve revocare le statuizioni civili in essa contenute
(Sez. 5, n. 38352 del 11/07/2023, Rv. 285772-01): non essendo più possibile alcun accertamento del reato, nel detto grado.
2. Il secondo motivo è assorbito dalla decisione sul primo.
Tuttavia, è appena il caso di precisare che non rientra tra i poteri del giudice dell’impugnazione disporre cancellazioni di frasi ritenute sgradite da una delle
parti, nessuna norma prevedendo ciò, men che meno in relazione ad un provvedimento emesso da un altro giudice.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e la sentenza di primo grado perché il reato è estinto per prescrizione. Revoca le statuizioni civili. Così è deciso, 11/02/2025
Il onsigliere estensore r,\c